Nel cuore delle Crete senesi, ad Asciano, apre il “Palazzo Corboli”, dimora duecentesca sede del Museo civico archeologico e d’Arte Sacra

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 giugno 2001 18:49
Nel cuore delle Crete senesi, ad Asciano, apre il “Palazzo Corboli”, dimora duecentesca sede del Museo civico archeologico e d’Arte Sacra

Una nuova, fondamentale, tessera che si aggiunge al ricco mosaico del Sistema dei Musei Senesi, la cui inaugurazione ha avuto luogo ieri. Fondamentale per il valore architettonico ed urbanistico del palazzo; per gli affreschi di inestimabile pregio che sono stati recuperati al suo interno; per il contributo che “casa Corboli” dà nella ricostruzione del ruolo di Asciano nella storia economica del contado del senese di epoca medievale. Ambrogio Lorenzetti, il Maestro dell’Osservanza, Giovanni Pisano, Il Valdambrino, Sano di Pietro, Taddeo di Bartolo: sono solo alcuni dei nomi degli artisti le cui opere esposte nel Museo d’arte Sacra di Palazzo Corboli, opere che rappresentano delle pietre miliari nella storia dell’arte e che attualmente sono esposte nel museo d’arte sacra presso la Collegiata.
IL PALAZZO
“Casa Corboli” non è un “semplice” museo nell’accezione più classica del termine: dall’arte sacra, alla parte archeologica, alla ceramica, è lo stesso palazzo ad essere la prima, vera, opera d’arte.

Un forziere ricco di gioielli, che già di per sé rappresenta un “oggetto” prezioso, di valore inestimabile. un caleidoscopio di forme, di ritrovamenti, di reperti ricchi di storia, fondamentali anche per ricostruire la storia dell’area delle crete senesi che ospita, tra l’altro, la celebre Abbazia di Monte Oliveto Maggiore.
L’EDIFICIO
risalente alla prima metà del XIII secolo-, si sviluppa su tre piani che hanno restituito, nel corso dei lavori di restauro - curati dalla Soprintendenza ai beni artistici e storici di Siena, dalla Soprintendenza archeologica di Firenze e dal Dipartimento di archeologia medievale dell’università di Siena -, tesori inestimabili di pittura, di archeologia e, in genere, informazioni storiche sull’intero abitato di Asciano.
LA GRANDE SORPRESA
Un rarissimo esempio di affreschi profani trecenteschi, con soggetti ispirati alle virtù morali, opera, forse, di un grande pittore dell’epoca.

Uno dei “reperti” più stupefacenti, venuti alla luce nel corso dei restauri è rappresentato dai cicli di affreschi della sala delle Quattro Stagioni e del Granaio. Gli esperti si sono riservati di svelare il nome del misterioso autore sino alla data dell’inaugurazione, ma si pensa ad ambienti vicini alla scuola del senese Ambrogio Lorenzetti, il celebre autore del ciclo del Buon Governo e Cattivo Governo di Palazzo Pubblico a Siena.
IL MUSEO
La struttura divisa su tre piani di palazzo Corboli sarà interamente dedicata all’allestimento museale: al piano terreno spazio allle strutture complementari al museo con bookshop, sala convegni, punto informatico di collegamento con la rete dei musei della provincia di Siena e spazi di relax in cui verranno esposti i numerosi reperti rinvenuti all’interno del palazzo nel corso dei lavori di restauro.
Al primo piano del Museo un percorso cronologico, con l’esposizione di opere del Maestro dell’Osservanza, Giovanni Pisano, del Valdambrino e Ambrogio Lorenzetti.
Salendo al secondo piano le opere che sono state conservate fino al 1952 nell’ex oratorio della Compagnia della Croce: paramenti sacri e pittura del ‘500- ‘600, da Rutilio Manetti a Bernardino Mei.

Sempre al secondo piano inizia la parte archeologica del museo che si chiude al terzo piano: i reperti provengono dal tumulo del Molinello, dalla necropoli di Poggio Pinci e dall’area archeologica di Campo Muri, in ordine topografico. Urne cinerarie, vasi, coppe, fibule, monili torneranno, finalmente, da Firenze dove erano stati archiviati e custoditi. In molti casi sarà la prima volta che verranno esposti al pubblico. Anche la parte archeologica, dunque, rappresenterà un percorso di notevole importanza per conoscere la storia antica del territorio dell’alto corso del fiume Ombrone.

Asciano, il paese del garbo
Situato su una collina nell’alta valle dell’Ombrone e immerso nel suggestivo paesaggio delle crete senesi, Asciano si trova lungo l’antica via Lauretana, una strada in cui si alternano lande argillose e casolari rustici, boschetti di querce e castelli medievali, selve di cipressi e piccole pievi di campagna.

Il paese, che è stato un importante centro commerciale, è di origine etrusca e il suo nome deriva dalla famiglia Haxia, proprietaria delle terre poste tra il fiume Ombrone e il torrente Asso. Dopo la colonizzazione romana, il toponimo assunse la forma latina di Axus. In epoca longobarda Asciano divenne una curtis regia, per poi passare ai conti della Scialenga durante la dominazione carolingia.
Con l’avvento dei comuni, il feudo fu gradualmente assorbito nell’orbita della Repubblica di Siena.

Milizie ascianesi si distinsero nella battaglia di Montaperti del 1260, in cui i ghibellini senesi inflissero una dura sconfitta ai guelfi fiorentini. Proprio a seguito di questo episodio, narrano gli storici locali, i cittadini si guadagnarono l’epiteto di “garbati ascianesi”, che da allora qualifica il piccolo borgo immerso tra le crete senesi. Secondo un’altra versione, tuttavia, l’appellativo deriva dal nome delle lane che nel XIV secolo venivano importate dalla regione portoghese dell’Algarve.

Comunque sia, è certo che tra Medioevo ed età moderna Asciano assunse un importante ruolo economico. Il paese non era solo una famosa piazza commerciale, ricca di fiere e mercati in cui si smerciavano cereali, foraggi, vino e olio, ma anche un luogo rinomato per le industrie tessili, del cuoio e della ceramica, la cui produzione è durata fino alla metà del XIX secolo.
Anche nella fase discendente, il borgo ha seguito il percorso di Siena, passando sotto il dominio dei Medici prima e dei Lorena dopo.

Con il plebiscito dell’11 e del 12 marzo 1860, infine, fu annesso al regno di Sardegna, diventando successivamente un centro dinamico della provincia senese. Oggi il comune di Asciano conta più di seimila abitanti e una discreta vitalità socio-economica: il centro storico conserva immutato il suo aspetto medievale, ricco di memorie e di tradizione, mentre nelle sue vie si respira ancora un’atmosfera semplice e genuina.

Quattro passi nel borgo
Per arrivare ad Asciano, partendo da Siena, si attraversa l’incantevole via Lauretana, una strada ricca di verde e di scenari suggestivi.

In prossimità del paese si incontra il ponte del garbo, fatto ricostruire subito dopo la seconda guerra mondiale seguendo lo schema medievale. Superato questo passaggio, si giunge ai margini del centro storico, che si snoda lungo un anello posto tra la basilica di Sant’Agata e la porta senese.
Iniziamo l’itinerario da via Cassioli. Fatti pochi metri incrociamo sulla destra piazza del grano, il cuore medievale del borgo. La piazza ha al centro una bella fontana quattrocentesca, opera di Antonio di Paolo Ghini, e in fondo il palazzo del Podestà, adornato da numerosi stemmi araldici.

Proseguiamo sulla destra, imboccando via Bartolenga, e deviamo in via Magi: qui si può ammirare un raro esempio di fornace per vasi. Torniamo quindi a salire lungo la via Bartolenga, fino a scorgere l’antico palazzo Tolomei. Poco più avanti si eleva la Collegiata di Sant’Agata. La basilica, riferibile alla fase di transizione tra romanico e gotico, ha un bel campanile merlato e un’originale cupola ottagonale. Al suo interno spiccano, invece, un grande affresco raffigurante la Madonna in trono, attribuito a Girolamo del Pacchia, il Deposto di croce del Sodoma e un crocifisso ligneo del XV secolo.

Intorno all’edificio, inoltre, si possono osservare i resti delle antiche mura cittadine.
Dopo aver finito la visita della cattedrale, prendiamo la ripida ascesa che conduce alla chiesa di San Francesco. L’edificio religioso, costruito tra XIII e XIV secolo, conserva alcuni affreschi di Giovanni d’Asciano e una sublime pala di terracotta policroma del XV secolo, proveniente dai forni del paese. Dal piazzale si ammira anche un magnifico panorama sulle colline circostanti. Ritorniamo sui nostri passi e avviamoci lungo corso Matteotti: sulla destra scorgiamo la chiesa di San Bernardino, un piccolo edificio in stile gotico.

Superiamola e imbocchiamo, subito a destra, via Mazzini. Spuntiamo così davanti al museo Cassioli, dedicato al pittore ascianese del XIX secolo Amos Cassioli. Dal retro di questo luogo, scendendo una scala di pietra, ci dirigiamo alla piccola cascata della lama: qui si può godere uno scorcio sul fiume Bestina. Prima di rientrare nel corso principale, attraversiamo via del Canto e soffermiamoci davanti al pavimento a mosaico policromo, ciò che resta di un grande stabilimento termale d’epoca domiziana.

In corso Matteotti spuntiamo di fronte alla Torre della Mencia, costruita nel 1586, con ai piedi una fontana molto amata dagli abitanti. Raggiungiamo quindi la chiesa di Sant’Agostino, la cui facciata conserva le originarie linee gotiche, mentre l’interno ha subito un intervento in epoca barocca. Anche il cortile interno merita un’attenzione particolare. Continuiamo fino alla fine del corso: ecco la porta Senese, da cui è possibile scorgere un’altra parte delle mura castellane risalenti alla metà del XIV secolo.

A questo punto incamminiamoci lungo via Peschiera fino a rispuntare in via Cassioli, da dove è partita la nostra visita. Siamo pronti a lasciare il borgo medievale di Asciano, senza dimenticare una breve tappa alla vicina chiesa di Sant’Ippolito.

L’abbazia di Monte Oliveto Maggiore
Incastonata tra le bellezze di una natura cupa e selvaggia, l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore spicca per la suggestione mistica della sua storia e per l’imponenza della mole. Le radici del monastero benedettino, infatti, affondano in piena epoca medievale, quando il beato Bernardo - al secolo Giovanni, della nobile famiglia senese dei Tolomei - abbandonò lussi e ricchezze mondane per dedicarsi a una vita di povertà e solitudine, passata nelle umili grotte di Accona.

In questo luogo inospitale, che ben presto divenne meta privilegiata di eremiti e viandanti, nel 1319 fu fondata la congregazione dei monaci olivetani, che da allora in poi si sarebbe distinta per l’abito bianco, segno di purezza.
Anche oggi, la casa degli Olivetani mantiene la sua configurazione originaria: vi si accede attraverso un’esile lingua di terra posta tra balze ripide e fossi, i cui declivi s’adornano di rovi, ginestre e una fitta vegetazione. La parte esterna del monastero è dominata da una grande torre, costruita alla fine del XIV secolo e decorata con due terracotte invetriate della scuola dei Della Robbia.

Nel prospetto nord è raffigurata una Madonna con bambino e in quello sud un San Benedetto Benedicente. Superata la torre, ci si avventura lungo un sentiero fiancheggiato da alberi di cipresso, al cui centro si trova una peschiera cinquecentesca. In passato, i monaci utilizzavano questa vasca per ricavare alimento nei periodi in cui la “regola” vietava il consumo di carne.
Alla fine della strada si scorge l’austero e maestoso profilo dell’abbazia gotico-romana, la cui costruzione fu avviata nel 1401.

Al suo interno, rivisitato in stile barocco, hanno un particolare rilievo il leggio ligneo di Raffaele da Brescia e il magnifico coro ligneo intarsiato da fra’ Giovanni da Verona, che occupa tutta la navata. L’attenzione dei visitatori, però, è concentrata soprattutto sul chiostro grande, un gioiello ornato da uno dei cicli più importanti dell’arte rinascimentale: le Storie di san Benedetto. Sono 36 grandi scene, iniziate nel 1497 da Luca Signorelli e terminate tra 1505 e 1508 da Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma.

L’armonia dei colori, l’incisività delle forme e l’espressività delle figure non nascondono le diversità stilistiche dei due autori: solenne ed elegante Signorelli, seducente e ironico il Sodoma.
Il monastero ha anche una ricchissima biblioteca, che custodisce circa 40mila volumi, opuscoli e incunaboli (ancora oggi i monaci sono impegnati nel restauro di pergamene e di carte antiche), e un’antica farmacia, dove i frati continuano a produrre miele, liquori a base di erbe, unguenti e rimedi vari.

Alla scoperta delle crete senesi
Un invito finalizzato a scoprire le bellezze artistiche e storiche delle crete senesi, ma anche a vivere la campagna incontaminata e ricca di flora e fauna tipica delle colline toscane.

E’ questo il senso del “Sistema di sentieri” della Val d’Arbia che, attraverso strade sterrate, sentieri di campagna e tratti boscosi, collega i comuni di Asciano, Buonconvento, Monteroni d’Arbia, Rapolano Terme, San Giovanni d’Asso e Trequanda. Si tratta di 67 vecchi percorsi, estesi su una superficie di 600 chilometri quadrati, che sono stati recuperati e trasformati in itinerari turistici da percorrere a piedi, in Mountain bike o a cavallo. Una vera e propria “rete” naturale, insomma, che si ispira alla logica di un turismo sempre più compatibile con la valorizzazione delle risorse ambientali.

Percorrere uno di questi itinerari significa, per il visitatore attento, entrare nella cultura e nella storia di questi luoghi. Già a partire dal Trecento, infatti, pittori importanti della scuola senese hanno raffigurato il paesaggio delle crete. Oggi questa realtà si mostra intatta e conservata come allora, tanto da risvegliare la memoria delle balze dipinte da Ambrogio Lorenzetti nel celebre affresco del Buongoverno, che si trova nel palazzo pubblico di Siena, o quella delle biancane descritte da Sano di Pietro nella famosa Annuncazione.

Successivamente, il paesaggio lunare delle crete è diventato metafora di luogo mistico e visionario: il Sassetta vi ha ambientato Le tentazioni di Sant’Antonio, seguito nel 1440 dal Maestro dell’Osservanza. E anche in epoca contemporanea, numerosi artisti, poeti, pittori e scultori sono venuti in questo luogo aspro alla ricerca d’ispirazione. Mario Luzi, che per un breve periodo della giovinezza ha anche abitato a Rapolano, ha scritto delle splendide poesie sulle Crete. Nelle sue strade si girano continuamente servizi fotografici, spot televisivi e pellicole cinematografiche, tra le quali quelle di Mario Monicelli e Bernardo Bertolucci.

Sono molti anche i personaggi famosi che hanno la seconda dimora fra queste colline, dai politici tedeschi Oskar Lafontaine, Otto Schilly e Joschka Fischer, al premier francese Lionel Jospin (spesso ospite del pittore Gerard Fromanger), da Antonio Banderas e Melanie Griffith a Marco Columbro.
I 67 sentieri hanno un carattere tematico e guidano il visitatore a esplorare luoghi nascosti, antiche pievi di campagna, scavi archeologici d’epoca etrusca e romana, oltre a splendidi poderi, molti dei quali sono rimasti intatti dopo la “fuga dalle campagne” degli anni Sessanta.

Così, solo per fare qualche esempio, si possono seguire i seguenti percorsi: 1) Itinerario della via Francigena, medievale arteria di collegamento tra il nord e Roma. Oggi sull’antico tracciato vi corre la Cassia, ma è ancora possibile percorrere a piedi alcuni tratti alla scoperta di ospizi di rifugio per i pellegrini e di pievi di campagna quali la chiesa intitolata al Santo Pellegrino di Cuna. 2) Itinerario delle Grance del Santa Maria della Scala, che collega attraverso reti secondarie tutte le strutture fortificate di Cuna, Monteroni, Serre e Montisi.
3) Itinerario etrusco della valle dell’Ombrone, che unisce gli scavi archeologici del Molinello, di Poggio Pinci, di Campo Muri e de La Befa. 4) Itinerario del travertino e delle terme, che unisce le cave di travertino di Serre agli antichi stabilimenti termali, fino ad arrivare a quello, ancora attivo, di Rapolano Terme.
5) Itinerario dei mulini, che si snoda lungo i principali corsi d’acqua.

Queste strutture erano utilizzate, fin dall’epoca medievale, per macinare il grano coltivato nelle crete.
6) Itinerario dei borghi tra la Val d’Orcia e le crete, che conduce alle fortificazioni di Montisi, Montelifré, Castelmuzio e Trequanda. 7) Itinerario dei borghi tra il Chianti e la Val di Chiana, che presenta alcuni tipici esempi di architettura rurale quali Gallico, Castelnuovo Grilli, Casabianca e Montecalvoli.

A tavola con genuinità e tradizione
Genuinità abbinata alla tradizione: sono queste le caratteristiche delle produzioni tipiche delle crete senesi.

Così i pici, una variante rustica degli spaghetti, affondano le loro radici nella storia e nella cultura più antiche di questa terra. In una tomba etrusca, infatti, è stato ritrovato un affresco in cui è raffigurato un servo intento a portare a tavola proprio un piatto di pici fumanti. L’origine del nome, comunque, deriva dal verbo “appicciare” o fare le “piccie”, cioè delle matasse di pasta che venivano poste vicino al camino per asciugare meglio e più velocemente. Così i rivolti, gli antichi avi delle più famose crepes, nascono all’interno delle congregazioni religiose medievali.

In questi luoghi, meta di pellegrini e viaggiatori, si usava diluire il brodo per soddisfare le tante richieste, rendendolo più sostanzioso con l’aggiunta di alcune pastelle tonde. Farina, acqua, un pizzico di sale, un goccio di olio o di grasso di maiale erano gli ingredienti iniziali, che poi venivano amalgamati e rivoltati in una padella rustica. Esportati a Firenze e dopo in Francia, i rivolti furono fatti con uova e non più con farina, trasformandosi in crepes.
Al di là di questi esempi, i prodotti delle crete hanno una corrispondenza diretta con il contesto economico circostante.

Da sempre hanno grande rilievo le colture di oliveti, di vigneti e soprattutto di cereali, tanto che nell’antichità Asciano era considerato il granaio di Siena. Non stupisce, allora, che un buon vino – il rosso “Chianti colli senesi” e il bianco “Val d’Arbia” – un ottimo olio d’oliva, grano, orzo e foraggio costituiscano le produzioni più diffuse di questa terra. Una particolarità è rappresentata dal pecorino delle crete, il cui sapore tipico viene dato dalle pianticelle selvatiche di assenzio e altre erbe di cui si cibano le pecore.

Gli allevamenti di vacche chianine, la cui carne è incomparabilmente consistente e saporita, e quelli di suini “cinte senesi” sono in rapida espansione. Nei luoghi freschi e umidi delle colline di Asciano, infine, si trova il tartufo bianco delle crete. Questo tubero, che è tra le varietà più pregiate della specie, è buono da gustare sia come protagonista assoluto in piatti di alto spessore culinario, sia come condimento a supporto di pietanze dal gusto forte e definito.

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