FIRENZE- Che cosa spinge un gigante da 20 milioni di bottiglie prodotte ogni anno a puntare su un’azienda agricola da cui esce poco più di una bottiglia su mille? Probabilmente l’intuizione, quella di Massimo Sensi, ad dell’azienda di vigne e vini di Lamporecchio, di disporre di una punta di diamante per incrementare le esportazioni sui mercati internazionali. Questo apripista è la Fattoria di Calappiano, antica struttura agricola nel territorio di Vinci. Costruita intorno al 1500 su commissione del Granduca Francesco I de’ Medici, è da allora un esempio di fattoria vitivinicola sulle colline del Montalbano, tra le province di Firenze, Prato e Pistoia, una delle aree più affascinanti, ma non altrettanto note della Toscana.
Perché Firenze ha sempre guardato piuttosto verso sud, in direzione del Chianti, o verso est al Valdarno Superiore, così che nel capoluogo il Montalbano non è molto conosciuto. Eppure questa sequenza di colline, dal punto di vista orografico, è una sorta di ponte tra l’appennino e alture del Chianti, sopra il quale scorrono spesso le perturbazioni meteorologiche in transito sulla regione. Sul versante geologico il Montalbano in epoca remota fu sbarramento del mare Tirreno, di cui restano tracce nelle conchiglie fossili che tanto incuriosirono Leonardo Da Vinci.
Il genio infatti su queste colline passeggiava da bambino e nel Codice Leicester, così le ricorda: “Come si mostra nel taglio di ColleGonzoli, deripato dalfiume Arno, ...nel quale taglio si vede... nichi in fango azzurreggiante”. Questo terreno, un greticcio cretoso ricco di conchiglie e minerali, vede alterarsi le pinete intorno ad Artimino, con una natura quasi appenninica tra il passo del San Baronto e Montevettolini, sino alle sorgenti calde della Grotta Giusti.
Anche se la coltivazione della vite e dell’olivo, hanno trasformato il paesaggio nella “campagna-giardino” tipica del paesaggio toscano.
Oggi il complesso del Montalbano è lo scenario di rinomate produzioni vinicole, come quelle di Artimino, Carmignano e delle colline di Vinci e Cerreto Guidi. Tra di esse, la Fattoria di Calappiano è una dimora di proprietà della Famiglia Sensi e un’azienda agricola composta da 200 ettari tra vigneti, uliveti e bosco ed è patrimonio naturale per la riproduzione della fauna locale e laboratorio di eccellenza dove si producono vini territoriali e innovativi. Qui la famiglia Sensi coltiva le uve secondo i dettami dell’agricoltura biologica, in una sorta di laboratorio etico a sviluppo sostenibile, attento all’ecosistema e alla riduzione dell’impatto ambientale. Le uve prodotte sono quelle autoctone della zona del Chianti: Sangiovese, Canaiolo, Ciliegiolo, Malvasia bianca e Trebbiano.
I vini in degustazione al Guné di San Frediano
Ieri sera Nove da Firenze è stato ospite di una cena-assaggio in abbinamento ai piatti del ristorante fiorentino Guné. Quattro i vini proposti dalla Fattoria di Calappiano. Il menu si è aperto con un amouse bouche abbinato con il Vinciano 2018. L’antipasto, una schiuma di ribollita con salsiccia lucana “pezzente” croccante, olio al rosmarino e crumble salato, era proposto con il Vinciano Riserva 2015 (tonneaux per 12-14 mesi, più 12 mesi in bottiglia).
Ad accompagnare il primo, uno spaghetto con scoltellato d’Anatra e foie gras con pomodori secchi, il Lungarno Toscana Igt 2016 (60% cabernet sauvignon, 10% merlot, colorino). Per il secondo, il galletto in due cotture, petto con il bardiccio (la tipica salsiccia della Rufina) e cosciotto con pera, canestrato e porri con patate alla cenere, era proposto l’abbinamento con il Collegonzi Igt Toscana 2015. Il dessert è stato selezionato dai giornalisti ospiti tra espressionismo di tiramisù, cheese cake al Vinsanto, Sfera (ovvero una zuppa inglese Alchermes, pere cotte al cioccolato e cioccolato rosso), tortino di carote e mandorle e degustazione di Formaggi.
Tra le bottiglie spicca il Vinciano Chianti Docg 2018, 80% sangiovese, 20% altri vitigni come Canaiolo, Malvasia, Colorino. 14,5° maturati in acciaio. È la versione di Chianti base della Fattoria dal colore rosso brillante. E’ un sangiovese beverino, caratterizzato in bocca da una piacevole freschezza.
Ma il protagonista della serata è il Collegonzi 2015, Crù 100% sangiovese, con 12-14 mesi di invecchiamento in botte grande e altri 12 mesi in bottiglia. Prodotto da una selezione delle migliori uve coltivate su un terreno collinare composto da substrati arenacei, calcareo-marnosi e con scisti sabbiose ricche di fossili marini e ciottoli, presenta un colore rubino trasparente e luminoso. In bocca è fresco, ma con una lunga persistenza. L’etichetta disegna uno scrigno, con la chiave dell’antica Lega di Collegonzi, ma ci si può intravedere una conchiglia.
RISTORANTE GUNE’ SAN FREDIANO
Il menù firmato dallo chef Mirko Margheri si basava sul sapere artigianale delle ricette antiche. Il ristorante del quartiere di San Frediano è animato dalla volontà di contaminazione tra due culture regionali, lucana e toscana, grazie alla conoscenza delle tradizioni dei due territori da parte di Nicola Langone, patron del locale. Il comun denominatore fra le due culture sta nella forza creatrice delle donne a cui il ristorante dedica il suo nome, dal greco γυνή.
Ma i piatti di Mirko Margheri propongono anche ingredienti meno usuali, frutto di anni di studio e lavoro in Francia sulla nouvelle cuisine. La volontà della proprietà è quella di puntare non solo al vino, ma anche alla mixology proponendo un menù in abbinamento a cocktail studiati ad hoc, dando così un taglio più internazionale al locale, proponendo di pasteggiare con speciali drink o classici senza tempo. E parte da questo la scelta di avere una professionista dietro al bancone, ovvero la barlady Veronica Costantino. La parola contaminazione si ritrova inoltre nell’interior design del ristorante, che pur inserendosi in un quartiere storico, all’interno di un edificio rinascimentale, mostra una vena fortemente contemporanea.
Alle pareti i ritratti delle donne più famose del ventesimo secolo che guidano i clienti all'interno del locale. Una serie di acrilici e spray di chiara matrice street, realizzati su tela da Andrea Pomini (in arte Pomo) che ritraggono una selezione di figure femminili a rafforzare il concetto.