Giovanni Colacicchi, pittore fra l'Uomo e il Mito

A Villa Bardini l’epopea novecentesca di una formidabile stagione creativa e la riscoperta di un geniale pittore nella prima antologica a 22 anni dalla scomparsa

17 aprile 2014 22:32
Giovanni Colacicchi, pittore fra l'Uomo e il Mito

FIRENZE - A 27 anni dall'antologica dell'86, nella Sala d'Arme di Palazzo Vecchio, la città di Firenze rende omaggio a uno dei suoi artisti "adottivi", che per decenni fu tra i protagonisti della vita culturale cittadini. Giovanni Colacicchi. Figure di ritmo e di luce nella Firenze del 900, a cura di Mario Ruffini e Susanna Ragionieri - e promossa dal Comune di Firenze, la Fondazione Bardini-Peyron, e il Kunsthistorisches Institut in Florenz con la collaborazione dell'Ente Cassa di Risparmio -, racchiude in circa ottanta opere la parabola artistica di Giovanni Colacicchi, un artista a torto poco frequentato dal grande pubblico, ma che seppe parlare attraverso la tela del legame indissolubile fra l'uomo mediterraneo e le sue radici arcaichee filosofiche, sullo sfondo di paesaggi al limite del mitologico, immersi in una luce incontaminata.

Si tratta della prima personale dedicata a Colacicchi dopo la sua scomparsa, che è un importante arricchimento per la cultura fiorentina, che continua la sua (ri)scoperta dell'arte contemporanea. Fiorentino d'adozione - nacque ad Anagni il 19 gennaio del 1900 -, si trasferì nel capoluogo toscano ad appena sedici anni, e scoprì l'universo della pittura sotto la guida di Francesco Franchetti; sin dagli esordi, dimostrò profondo interesse per il figurativo, sviluppando una sua particolare cifra artistica che coniugava con originalità paesaggi, natura morta, figura e mito, la luce, i colori, la natura talora aspra del Mezzogiorno - che portò idealmente con sé -, con la divina proporzione rinascimentale, e quell'ombra dei chiostri quattrocenteschi che gtanto contrastava con le sue origini mediterranee.

Suggestioni arricchite anche traendo suggerimenti dall'esperienza dei simbolisti quali Böcklin e Hildebrandt, che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento avevano a lungo soggiornato in città. Ma Colacicchi seppe inserirsi nel vivace clima intellettuale dell'epoca, entrando nella crchia di Montale e Dallapiccola, de Chirico e Calamandrei, Landolfi e Pratolini, e collaborando con Alberto Carocci alla fondazione della rivista Solaria, nel 1926. Il Caffè delle Giubbe Rosse aveva sostituito il Caffè Michelangelo quale luogo dove tastare il battito artistico della città, ed era a tutte le ore raffinato ritrovo di personaggi quali Palazzeschi, Savinio, Svevo.

Fu, quella fra le due guerre, una stagione densa di significato, che dette importanti contributi al pensiero culturale italiano, anche se ancora oggi si fa fatica a riconsocerlo. Colacicchi vi s'inserì con intelligenza, e nel 1930 allestì la sua prima personale nella galleria cittadina "Saletta Fantini".

Si trattava di una Firenze attiva, attenta ai cambiamenti di un'Italia che stava vivendo anni difficili, fra contraddizioni di ogni sorta. E Colacicchi osserva il Paese, e osservandolo ne trae materia di speculazione, quella speculazione sull'uomo che nei escoli ha animata la ricerca artistica, in particolare da Michelangelo in avanti, con quella dialettica degli opposti che ha le sue radici nella classicità. Dopo una breve fase legata alla metafisica, mutuata da de Chirico, Colacicchi concentrò la sua produzione pittorica sulle radici medietarranee arcaiche, giocata su contrasti quali ombra e luce, Eros e Thanatos, Apollo e Dioniso, ovvero un'attenzione alla proporzione matematica, e un'interpretazione più libera dei rapporti spaziali.

Dalle tele di Colacicchi emerge la sua anima di uomo profondamente mediterraneo, legato all'introspezione di sé stesso, al mito, alla poesia. E un poeta del pennello lo possiamo definire, prendendo a esempio anche un'opera soltanto, ovvero quell'Allegoria della danza, della musica, della commedia, della filosofia (che un tempo decorava lo storico cinema Gambrinus), dove la proporzione aurea incontra la bellezza classica dei corpi, immersa in una luce marina della quale si avverte quasi il calore sulla pelle, il sapore salmastro del vento, e quel silenzio arcaico della ricerca.

Quel suo continuare con coerenza un percorso legato al figurativo, in un'epoca in cui si stavano affermando l'informale, lo strutturalismo e poi il concettuale, dal '48 in avanti lo relegò a torto ai margini della vita artistica italiana, e fu soltanto attorno alla metà degli anni Ottanta, per opera di un attento critico quale Carlo del Bravo, che Colacicchi ritornò all'attenzione dell'opinione artistica nazionale.

Legato sentimentalmente prima ad Amalia Zanotti, e poi a Flavia Arlotta, con quest'ultima, pittrice a sua volta, visse un sodalizio d'arte e d'amore, come dimostra la profonda influenza che la bellezza della donna ebbe sulla sua arte, una bellezza che Colacicchi cerca con garbata insistenza quasi in ogni tela di soggetto femminile, non ultima quell'Allegoria accennata di sopra, dove Flavia vi appare al centro. Anche da dettagli del genere, è possibile cogliere, ancora a distanza di oltre vent'anni dalla scomparsa, la gentile personalità dell'artista, fiero assertore della libertà individuale, che prese la tessera del PNF a malincuore, seguendo il consiglio di Croce, per il quale la dittatura si poteva combattere solo dall'interno.

Membro del Partito d'Azione dal '44, continuò l'impegno culturale e civile negli anni Cinquanta, dirigendo l'Accademia di Belle Arti di Firenze, e scrivendo per La Nazione in qualità di critico d'arte. Ma le tele ci parlano anche di un uomo che fu amante della vita, delle donne, del mare, del cibo, della musica, passioni che seppe tradurre in forme, colori, concetti, intercettando il pensiero filosofico dei pitagorici e dei pre-socratici, lontano dalle elucubrazioni sperimentaliste dell'astrattismo, dello strutturalismo, dell'informale.

La sua è una pittura dell'uomo, per l'uomo. E l'Italietta del boom economico, troppo presto si dimenticò di questo silenzioso assertore del rapporto fra uomo e Natura, dell'importanza del silenzio e della contemplazione. Mentre le chiassose Biennali esaltavano Fontana e Scheggi, Colacicchi continuò imperterrito a ragionare sull'uomo.

La mostra è visitabile fino al 19 ottobre. Tutte le informazioni su orari e biglietti al sito www.giovannicolacicchi.com. Ad arricchire l'omaggio all'artista, la mostra Flavia Arlotta. Donna e pittrice del Novecento. 26 voci per una biografia, dal 9 maggio all'Accademia delle Arti del Disegno. Il 24 maggio, invece, apre al pubblico I disegni di Giovanni Colacicchi a Casa Siviero, ospitata appunto a Casa Siviero, mentre l'11 settembre sarà la volta di Giovanni Colacicchi dal disegno all'opera. Una lezione di stile, ancora all'Accademia delle Arti del Disegno. Inoltre, concerti e conferenze, a cura della sezione Progetti di Musica e Arti figurative del Kunsthistorisches Institut in Florenz.

In evidenza