Soffici e Sironi, dall’Avanguardia al Ritorno all’ordine

Il percorso pittorico dei due artisti, in 42 tele, alcune delle quali mai esposte prima al pubblico. A Poggio a Caiano, al Museo Soffici e del ’900 italiano, fino 19 luglio 2015. Tutte le informazioni su orari e biglietti, al sito www.museoardengosoffici.it.

27 marzo 2015 16:28
Soffici e Sironi, dall’Avanguardia al Ritorno all’ordine
Soffici - Paesaggio toscano 1960

POGGIO A CAIANO (Prato) - Il panorama artistico del Novecento italiano è fra i più variegati in Europa, e anche la toscana vi ha contribuito non poco con figure di alto spessore. Fra queste, Ardengo Soffici, che dalla natia Rignano sull’Arno raggiunse la Parigi cubista, e si ritagliò un posto da protagonista nella cultura europea. Lo fece non da artista isolato, ma da uomo in costante contatto con i colleghi artisti, con molti dei quali nacquero anche rapporti umani profondi.

La piccola ma raffinata mostra Ardengo Soffici e Mario Sironi. Silenzio e inquietudine, curata da Luigi Cavallo, ricostruisce in 42 tele - alcune delle quali inedite, ed equamente ripartite fra i due pittori -, il percorso artistico di due fra i più importanti esponenti dell’arte italiana del Novecento. Una mostra che s’inserisce in un più ampio progetto del museo poggese di valorizzazione dell’arte del Secolo Breve, pur mantenendo al centro delle rassegne l’illustre concittadino.

Ardengo Soffici (1879-1964) e Mario Sironi (1885-1961), vicini per dato anagrafico, ebbero, come vedremo,numerosi punti in comune. Il primo di formò a Firenze all’Accademia di Belle Arti e alla Scuola del Nudo, dove assorbì i caratteri dell’arte primitiva toscana, che emergono nella bella tela Contadini toscani (1907),

dove esprime l’operosità della vita rurale, e la genuinità dei valori familiari, personificati, questi ultimi, nella “maternità laica” della giovane contadina con il figlio in braccio. Sironi, invece, ebbe una formazione culturale di carattere spiccatamente mitteleuropeo, essendo stato un attento lettore di autori quali Schopenhauer, Nietzsche, Zola e Balzac, nonché un estimatore delle sinfonie di Richard Wagner. Marcò i suoi inizi pittorici nel 1914 partecipando alla “Libera Esposizione Internazionale Futurista”, a Roma.

Ad accomunare i due artisti, quella fede interventista che li vide ferventi sostenitori dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, Soffici dalle pagine di Lacerba, Sironi da quelle del periodico futurista Gli avvenimenti. Da notare come Sironi facesse parte dell’ambiente marinettiano milanese, mentre Soffici se ne staccò dopo aspra polemica proprio con Marinetti. Ed è con quest’ultimo che Sironi si arruola nel Battaglione Volontari Ciclisti, combattendo direttamente in prima linea.

Soffici, in qualità di Tenente di Complemento, sarà aggregato allo Stato Maggiore della II Armata. È nel corso dell’esperienza bellica, che entrambi approfondiranno l’amicizia personale con Benito Mussolini, anch’egli volontario al fronte. Un’amicizia che porterà i due artisti all’adesione al Fascismo, in modo però coerente e mai opportunistico, e anche dopo l’8 settembre, pur restando fedeli al Duce, lo faranno principalmente per l’antica amicizia che a lui li lega. Infatti, consultando carteggi, scritti privati, documenti ufficiali, mai si trovano elementi che rimandino a velleità di carriera politica da parte dei due pittori.

Che furono, è opportuno ribadirlo, uomini coerenti con le proprie idee, figure rare in un’Italia che, come ebbe a scrivere Giovanni Guareschi nel 1945, spiegava con estrema facilità la questione dei “45 milioni di fascisti e dei 45 milioni di antifascisti”.

Riportando la questione sul piano artistico, vediamo che sia Soffici sia Sironi seguivano con attenzione il clima dell’Avanguardia europea del primo Novecento.

Dal 1903 al 1907 Soffici soggiornò a Parigi. Quattro anni che lo videro collaborare, come illustratore, per riviste quali L'Assiette au beurre, e intanto ebbe la possibilità di incontrare artisti emergenti e già affermati come Apollinaire, Picasso e Jacob, e frequentare il mondo vivace che si era formato intorno alla rivista La Plume. Sironi trascorse quattro mesi nella Ville Lumière, dal maggio all’agosto del 1906, e due anni dopo si recò a Erfurt, in Germania, ospite dell’amico scultore Felix Tannenbaum.

Gli esordi di entrambi, nel clima dell’Avanguardia, sono documentati in mostra, per quanto riguardo Soffici, in particolare dalla tela I giuocatori (1909), dove è chiara l’influenza di Paul Cézanne e del suo stile che precorre il Cubismo; scena d’osteria in cui la pastosa pennellata traccia due figure intente a giocare a carte, e dove le radici toscane sono sottolineate dal fiasco che spicca sulla tavola. L'adesione all'Avanguardia, in particolare quella cubista, è mutuata dalle radici toscane, ovvero di quelle proporzioni quattrocentesche che Picasso e Jacob rileggono alla luce di un nuovo sentire di respiro europeo.

Pur radicato in Toscana, Soffici non subì il provincialismo, ma fu anzi artista attento e interessato alle correnti artistiche contemporanee del Vecchio Continente, e lo dimostrò l'interesse verso gli Impressionisti, per i quali organizzò, nel 1909, una mostra a Firenze, la prima in Italia. Vedeva in loro quei cantori della natura e della luce, che anch'egli avrebbe voluto essere, e che di fatto sarà. Di natura più squisitamente concettuale, fra i pochi quadri di Soffici del genere, la Scomposizione di piani di zuccheriera e bottiglia (1913), concepito nel più puro stile del Cubismo analitico.

Per Sironi, invece, l’Avanguardia s’identificò nel Futurismo, ma in quelle tele emerge sempre un’atmosfera scusa e inquietante, di stampo secessionista tedesco, mutuata dalle sue letture, e dall’amicizia con Tannenbaum. Emblematico il Volto femminile (1913), che riecheggia i volti febbricitanti di Schiele e Kokoschka.

L’esperienza della guerra inciderà profondamente sul sentire artistico di Soffici e Sironi, che dagli anni Venti sperimenteranno quell’idea del Ritorno all’ordine inteso come presa di coscienza della realtà, declinato attraverso due diversi stili pittorici: Soffici si orientò infatti verso il cosiddetto Realismo sintetico, mentre Sironi approfondì il lato psicologico ed esistenziale dell’individuo, muovendosi nell’ambito dell’Informale.

Alla produzione soffi ciana del primo dopoguerra, appartengono le due nature morte Mele e calice di vino, e Pera e bicchier di vino, entrambe del ’19, dalle quali si sprigiona un silenzio contemplativo degno di Chardin. Le due tele, sin qui mai esposte, apparvero nel 1920 sulla rivista Valori plastici. Da qui al ’64, anno della scomparsa, la pittura di Soffici sarà imperniata sulla rappresentazione del paesaggio toscano e delle sue figure, con sguardo se vogliamo strapaesano, ma mai con accenti retorici.

Osservando le tele di Soffici, l'ampia e pastosa pennellata che dà vita a case, cipressi, olivi e stradine di campagna sembra d'immergersi in una prosa di Idilio Dell'Era, anch'egli cantore di una Toscana agreste, al limite dell'arcaico, dove le radici dell'uomo trovano un fondamento e un perché. La natura silenzionsa che accoglie l'esistenza, e la rende grata con la bellezza di cui la circonda. Ne è prova l'armonia delle case coloniche immerse nei cipressi e negli oliveti, le marine assolate, elementi che ritornano nell'opera sofficiana, rassicuranti presenze all'apparenza immutabili. Paesaggio, un tema che è sintomo, pretesto e contesto della poetica artistica di Soffici. Infatti, ancora nel Novecento, a differenza dei nostri giorni, la poesia era parte integrante dell'opera dei pittori, autori di un'arte dell'uomo per l'uomo.

Mario Sironi, invece, concepì il Ritorno all’ordine come il metodo formale per interpretare quella modernità urbana che anche in Italia cominciava a stravolgere la società. Da Periferia. Il tram e la gru (1921), a Paesaggio urbano (1943) e Periferia (1944), l’artista si fa cantore del nuovo scenario quotidiano, immerso però in una luce scura e inquieta. Parimenti inquieti e inquietanti, i Bevitori (1924), figure quasi spettrali, appena abbozzate, e che sembrano più in attesa della morte, che di vuotare il bicchiere.

Con i tardi anni Trenta, la pittura di Sironi acquista una cupa, suggestiva grandiosità, dove le figure, uomini, monumenti o edifici che siano, esprimono un plasticismo scultoreo proveniente dall’età arcaica della civiltà. Tele come Composizione con Colosseo (1940), Alpini (1940), Nudo di schiena (1942), e i paesaggi urbani, che sono metafore della dura esistenza contemporanea, sulla quale si ripercuotono timori della storia passata, a ricordare quell’età dell’angoscia già vissuta dall’Impero Romano alla vigilia della caduta, fra Commodo e Diocleziano.

Fino a quel’ultimo Idolo, (1955) che riassume un cammino artistico pienamente cosciente del sentire contemporaneo.

Mentre Soffici, infatti, cerca disperato rifugio nell’arcadia campestre, Sironi affronta le problematiche e la solitudine dell’uomo nell’ambiente urbano, con derive metafisiche che ricordano il primo Savinio.

Una mostra, quella poggese, che accosta due figure fra loro vicine, anche se all’apparenza lontane, e costituisce una buona occasione per approfondire la conoscenza del Secolo Breve.

Foto gallery
In evidenza