Natale: è tempo di struffoli

Un viaggio alla ricerca di curiosità e tradizioni di questo dolce natalizio che è diventato ambasciatore ufficiale della cucina napoletana, ma sembrerebbe avere un’origine diversa

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 dicembre 2019 10:10
Natale: è tempo di struffoli

di Emilia Fortunato

Antropologa, studiosa di Tradizioni Popolari

Mo’ vene Natale e facimme e struffoli (adesso viene Natale e faremo gli struffoli). Le famose palline di pasta fritte e immerse nel miele sono un piatto tipicamente natalizio protagonista delle tavole partenopee, ma non solo. Si tratterebbe, infatti, di un cibo migrante ed interculturale, come l’altrettanto famoso babà, di origine polacca (baba). Come suggerisce l’etimologia strongoulos (arrotondato) sembra che ad inventarli siano stati i Greci, ai tempi della fondazione di Partenope. A conferma di questa ipotesi esiste nella cucina ellenica una preparazione simile, differente solo per le dimensioni: i loukoumades (ghiottonerie): frittelle cosparse di zucchero, sciroppo, cannella e noci tritate. Altri sostengono che il nome dello struffolo, ossia la singola pallina che compone il dolce, derivi dal verbo strofinare, in riferimento al gesto compiuto per dar loro la caratteristica forma conica.

Un’altra teoria richiama, invece, l’azione compiuta dagli aromatici gnocchetti sotto il palato. L’unica testimonianza scritta parla di strufoli alla romana (Ricettario del Crisci,1634) preparati come quelli napoletani dalle suore per ringraziare la nobiltà della carità ricevuta. Si può dibattere sulle origini, ma come tutti gli evergreen, esistono caratteristiche immutabili: sono piccoli e devono esserlo (massimo un centimetro) perché così aumenta la superficie che entra in contatto con il miele rendendoli più saporiti.

Il nettare degli dei è da sempre associato all’abbondanza, all’amore e alla fertilità. La stessa espressione Luna di miele (mese di miele) nasce dall’usanza di offrire agli sposi durante il primo mese di matrimonio cibi e bevande a base della sostanza prodotta dalle api. Le aromatiche palline sono diffuse in tutta Italia, con termini differenti. Abruzzo, Umbria, Marche, Molise, propongono una pietanza simile chiamata cicerchiata la cui struttura ricorda le cicerchie, legumi velenosi simili a lenticchie. A Viterbo vengono preparati a Carnevale e chiamati castagnole, da castagna che ricordano nella forma e nella dimensione. Scendendo lungo lo Stivale se cercate le sannacchiudere dovete fermarvi a Taranto e fare in fretta se si devono chiudere (nascondere) per evitare che finiscano subito; gli amanti di Peppa Pig possono fare un salto a Lecce per assaggiare purcedduzzi (piccoli porcellini). Per chi si trova a Cosenza e dopo il peperoncino, vuole concludere il pranzo con un dessert può ordinare i turdiddi, piccoli ma altrettanto saporiti. Approdando sulle isole perdono una f (strufoli siciliani) o si allontanano dalle origini anche nella nomenclatura per diventare i giggeri sardi di Carloforte.

Per allargare la nostra indagine c’è chi ha ravvisato una somiglianza degli struffoli con il pinonate della cucina gastronomia andalusa. Ricordiamo che gli Spagnoli hanno dominato a lungo nel regno di Napoli (1504 -1707). La domanda con mille risposte non è solo da dove vengono e come si chiamano, ma perché piacciono così tanto pur non essendo facili da servire: non si possono tagliare e non sono un piatto da cucchiaino. La verità è che mettono d’accordo tutti perché sono semplici da preparare, colorati, di buon auspicio per l’anno avvenire, ma più saporiti delle lenticchie. In passato, erano chiamati il torrone dei poveri perché per quello vero ci volevano ingredienti troppo dispendiosi. Un altro vantaggio è che oltre ad essere poco costosi, si conservano a lungo.

Se volete rispettare la tradizione si cucinano la sera della vigilia di Natale, aspettando l’arrivo del Bambinello. Una filastrocca campana dice che farli è un piacere e al giorno d'oggi non occorre essere Master chef o rispolverare il ricettario della nonna per prepararli. Gli ingredienti principali sono i classici della cultura contadina: farina, zucchero, lievito, uova, olio, sale, burro e l’immancabile miele che sembra migliori i rapporti familiari e durante le feste non guasta. Viene lasciata alla fantasia e bravura della cuoca la possibilità di scegliere il liquore da mettere nell’impasto (anice, rum), se aggiungere cannella, vaniglia, o agrumi grattugiati (scorza di arancia limone), ma non deve assolutamente mancare la decorazione superficiale con canditi e confetti colorati, rossi (diavulilli) bianchi e argentati.

Le nonne fanno sapere che il segreto per una buona riuscita è la frittura con olio extra vergine abbondante e ben caldo. Per ottenere struffoli più gonfi, bisogna invece aggiungere lo strutto (grasso animale) e un pizzico di bicarbonato, lasciando riposare l’impasto almeno due ore. Per chi ha uno Spirito Green le bucce d’arancia usate in cucina per gli squisiti dolcetti possono essere riciclate per la tombola o usate per creare un profumatore naturale. Basta lasciarle essiccare e metterle a contatto con una fonte di calore. Il nostro viaggio culinario si conclude con tante curiosità in più ed un’unica sicurezza: gli Italiani possono risparmiare sui regali, ma non rinunceranno mai alle loro tradizioni culinarie. Gli struffoli che siano di origine greca o napoletana, con o senza la f, sono pezzi di cuore e fanno proprio Natale! Cinque (tombola), trenta (struffoli) e trentadue (il capitone), sono il terno secco napoletano, che alla Vigilia non potrà mai mancare.

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