Donne sulle sponde del Mediterraneo

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
23 ottobre 2000 19:43
Donne sulle sponde del Mediterraneo

La cantante marocchina Najat Aatabou, stella di prima grandezza della musica etnica, si esibirà in concerto al Teatro Verdi di Firenze, domenica 19 novembre, in una delle sue rare apparizioni in Italia, la prima assoluta in Toscana. E’ lo spettacolo che apre il ciclo di eventi dedicato alle Donne sulle sponde del Mediterraneo organizzato dall’associazione culturale EuroForum Firenze.
Regina dello Zenith di Parigi, Najat Aatabou richiama folle entusiaste di giovani maghrebini oltre a un pubblico crescente di appassionati occidentali.

Artista di straordinario vigore e temperamento, si esibisce con un complesso di otto musicisti (percussioni, basso, chitarra, batteria, tastiera e violino), tre coristi e altrettanti ballerini. La sua musica affonda a piene mani nella tradizione culturale del suo Paese, ma riflette anche il desiderio prorompente di emancipazione delle donne berbere rispetto alla tradizionale egemonia maschile.
Nella canzoni di Najat Aatabou il cliché del Marocco dal magico passato e degli splendori della colonizzazione araba cede il passo a una ricerca sofferta sulle origini, nel tentativo di riappropriarsi, in chiave etnologica e sociologica, di un’identità culturale troppo a lungo conculcata.

Casablanca, la città di tutte le modernità della vita marocchina, diventa un teatro popolare aperto che accoglie le musiche di commistione sacro-profana seguendo la tradizione, ma mostra anche l’evidente esigenza di un miglioramento delle condizioni dell’universo femminile.
Figlia di questo contesto votato all’emancipazione, Najat Aatabou incanta con la sua forza e il suo carisma, uscendo dalla canzone lamentosa delle donne berbere per esplodere in un grido di rabbia e di speranza: “j’en ai marre”, ne ho abbastanza.
Ben oltre la musica d’intrinseca natura religiosa e quella popolare di struttura poliritmica che sprigiona ora energia fisica, ora psichica, i testi di Najat Aatabou riescono a imprimersi nelle coscienze di una realtà spesso stagnante.

La cantante si ispira all’immediatezza delle composizioni semidialettali delle donne berbere, le quali giudicano, partendo da assai lontano, le diverse civiltà che hanno attraversato il loro Paese – talvolta calpestandone i diritti femminili – con una trasgressività assolutamente moderna ed elegante.
Il suo apporto allo stile musicale originale Zayan è in realtà abbastanza anonimo rispetto a cantanti dai testi più edulcorati che da sempre, anche in Marocco, seguono la moda, sull’effluvio dei grandi compositori provenienti dal Cairo (come Abdelwahab, il maestro di Oum Kelthoum e Warda sempre trasmessi dalla radio ufficiale di Rabat).

Lo stile di Najat Aatabou consiste soprattutto in un approccio diverso e coraggioso che guarda costantemente all’ineguaglianza dei sessi e alla conseguente denuncia dell’egemonia esercitata dall’uomo sulla donna a tutti i livelli.
“Un regard pour une histoire”
Costretta all’esilio in Francia dalle minacce degli integralisti islamici, l’algerina Samta Benyahia è un’artista tra le più espressive della sua generazione, personaggio interprete di due culture, Europa e Maghreb, scelta per questo dall’associazione culturale EuroForum per figurare tra i protagonisti della manifestazione dedicata alle Donne sulle sponde del Mediterraneo in programma a Firenze dal 19 al 25 novembre.
Pittrice, legata alla corrente chiamata “pittura del Segno” nata dal movimento artistico Awsham (tatuaggi), Samta Benyahia esporrà una sua complessa installazione alla galleria La Corte Arte Contemporanea (23 novembre – 9 dicembre), primo approdo italiano importante dopo una fugace apparizione a Napoli qualche anno fa.
La sua opera armonizza un fluire di molteplici influssi, rielabora la parte moderna ante-litteram e sofisticata della tradizione, partecipa alla sperimentazione delle arti contemporanee.

Algerina del suo tempo, Samta Benyahia ci fa riscoprire i segni raffinati che scaturiscono dalla memoria iconografica delle arti del nord Africa, segni e motivi che ispirarono Klee e Kandinskij e che, nella loro geometrica purezza, hanno impressionato tanti artisti astratti europei. E’ importante che a recuperarli e a esprimerli sia una donna, un’artista, e che lo faccia con piena validità moderna e con la consapevolezza di appartenere a un secolo capace di sollecitare tutte le culture.
La madre è un’icona liturgica che Samta Benyahia ripropone come memoria struggente del passato e come simulacro di un Paese in guerra, un volto sofferente, ma votato alla speranza.

Le grate a losanga (mucharabiyah), realizzate in acrilico su carta con la tecnica del pochoir, alludono a uno degli elementi formali più belli dell’arte islamica, a un ornamento tradizionale riproposto come semantismo polemico di ‘chiusura’ nel discorso repressivo integralista. I dipinti su tela rappresentano invece un ritorno ai segni tradizionali e all’arabesco.
“Un regard pour une histoire” (uno sguardo per una storia) è il titolo dell’installazione che Samta Benyahia presenta a Firenze e che occupa tutto lo spazio della galleria con una serie di oltre cinquanta pochoir.

Collocato al centro dell’opera, lo spettatore ne diventa un attore. Filtrata dalle losanghe dei pochoir, troneggia sullo sfondo una gigantografia della madre dell’artista col suo sguardo severo di donna-coraggio.
“Questi motivi geometrici e astratti”, ricorda Samta Benyahia, “hanno alimentato il mio vocabolario plastico durante molti anni di lavoro sulla rinascita delle forme ancestrali. Sono un paesaggio immaginario, una memoria del sangue che si ripropone incessante”.

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