Fundamentals, uno sguardo sull’essenza dell’architettura

Un titolo che è un omaggio a Venezia e alle radici dell’architettura. Fino al 23 novembre, negli spazi dei Giardini e dell’Arsenale.

07 giugno 2014 13:04
Fundamentals, uno sguardo sull’essenza dell’architettura

VENEZIA - Il Novecento è stato un secolo travagliato, anomalo per lunghezza temporale, iniziato con gli spari di Sarajevo, e terminato per convenzione con la caduta del Muro di Berlino. In questi decenni si sono succeduti conflitti d’inaudita violenza, dittature sanguinarie, la guerra atomica, la fantasia al potere, la pillola, l’aborto, l’affermazione dell’economia finanziaria, e la fine della millenaria società agro-pastorale europea. Sulla scorta di queste mille rivoluzioni che hanno interessata l’umanità, è evidente che nemmeno l’architettura ne sia uscita indenne, ma anzi ha conosciuto un repentino processo di modernizzazione, che ha lasciate tracce profonde sui popoli e i territori coinvolti.

Dall’Europa all’America Latina, fino all’Africa post-coloniale, il Novecento è stato il Secolo della modernità, che a sua volta è stata il traguardo di tante concezioni dell’ordinamento statale. L’architettura si fa vieppiù mezzo e specchio del pensiero politico, basti pensare ai progetti di Albert Speer per la follia hitleriana, o agli sventramenti dell’urbanistica sovietica. Niente di nuovo, del resto: su scala minore, ma con risultati estetici decisamente migliori, era accaduto con la monumentalità neoclassica dell’Impero di Napoleone.

Come esce l’architettura, da esperienze del genere? C’è stata una via “responsabile” al modernismo? Partendo da queste considerazioni, il curatore Rem Koolhaas ha pensata la XIV Biennale d’Architettura come una grande lezione sul pensiero di questa disciplina, un momento di riflessione per sottoporre all’attenzione della comunità internazionale una sintesi organica di quanto accaduto nel secolo passato e per quali ragioni, e di come i vari Paesi abbiano fatta propria la modernità.

Una Biennale, spiega il curatore, che non guarda soltanto all’oggi, ma getta uno sguardo anche su quanto accaduto ieri, per poter guardare con più cognizione al domani. L’assunto è quello, raro di questi tempi, di costruire qualcosa (in tutti i sensi), sulla scorta di una coerente logica di pensiero che prosegue in ragionata armonia, anche critica, con quanto di buono accaduto prima. Nel bene e nel male, il Novecento ha forgiato il Duemila, ha spezzati abitudini e cicli millenari, e per questi suoi meccanismi è necessario comprenderlo appieno.

A partire da elementi fondamentali, perché anche l’architettura è una sorta di scienza artistica con i propri cardini fondamentali, cui appunto si riferisce il titolo della Biennale.

Sono questi i presupposti di Elements of architecture - la prima delle due grandi mostre collettive di questa Biennale, ospitata nel Padiglione Centrale dei Giardini dell’Arsenale -, che ripercorre la storia globale dei vari elementi architettonici - porte, finestre, scale, corridoi, eccetera -, analizzando come la loro foggia sia mutata nel tempo, così come il loro utilizzo, a seconda delle nuove esigenze funzionali abitative e industriali, che si sono presentate agli architetti nel corso del tempo.

Una mostra tecnica, incentrata sul concetto puro di architettura, che non prende in considerazione il territorio su cui l’architettura insiste. Ma il fascino di Elements of architecture sta proprio in questa purezza concettuale, quasi come se ogni elemento fosse platonicamente idealizzato, privato della dimensione (quasi un punto matematico), per diventare oggetto di ragionamento sull’evoluzione dell’architettura. L’idea di elemento originario, ammanta la mostra di un particolare fascino filosofico, legandosi ai presocratici che identificavano nei quattro elementi dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco, l’essenza della Natura e dell’Uomo.

Non casualmente, la mostra è il risultato di una lunga ricerca presso la Harvard Graduate School of Design, e della collaborazione con accademici ed esperti del mondo industriale.

Dopo questo propedeutico punto di partenza, questa “Biennale di ricerca”, come l’ha definita a ragione Paolo Baratta, concentra la sua riflessione attorno alle vicende del Novecento, su un focus interamente dedicato all’Italia. Come osserva acutamente Koolhaas, la Penisola è, in un certo senso, un caso emblematico del XX Secolo, e non solo, per quanto riguarda le vicende architettoniche, ma anche politiche e sociali.

Con questo spirito è stata pensata Monditalia, una sistematica mostra documentaria sull’Italia contemporanea, attraverso 82 film e 41 progetti di ricerca, ognuno dei quali si focalizza su un aspetto del nostro Paese. Ne nasce un viaggio affascinante, doloroso e istruttivo nella millenaria storia italiana. La mostra si apre con la riproduzione di parti del grande affresco di Lorenzetti Allegorie ed effetti del buono e del cattivo governo in città e in campagna, nell’istallazione The room of Peace.

Un’opera importante, perché sottolinea, a metà del Trecento, la rivoluzione cui sta andando incontro l’Italia, ancora politicamente inesistente, ma che di lì a poco inizierà ad esercitare il suo dominio culturale. La prima grande entità cittadina fu la Chiesa, che esprimeva il suo potere attraverso la magnificenza delle cattedrali. Ma con la fine del feudalesimo, e l’avvio delle prime attività economiche su larga scala, si ebbe la rinascita dei centri urbani, e Siena fu tra questi.

Contemporaneamente, nascono i Comuni, che prenderanno poi la strada della Signoria. Le città italiane sono piccoli ma efficienti potentati, che, grazie alle ricchezze accumulate con le banche e il commercio, hanno la possibilità di finanziare importanti opere di rinnovamento architettonico, come documenta appunto il ciclo di affreschi del Lorenzetti. Il Comune italiano medievale, con le sue divisioni fra Guelfi e Ghibellini, contiene in sé quelli che saranno i vizi di forma della politica italiana.

All’ombra di torri e cattedrali, si forma il popolo che cinque secoli dopo condurrà l’Italia all’indipendenza. Un’indipendenza che richiede il mantenimento di precisi equilibri interni, che però in Italia si traducono in disponibilità al compromesso.

La poca trasparenza della politica è piaga endemica, (non solo in Italia), e Max Cohen e David Mulder propongono un’originale considerazione su ciò, dal punto di vista dell’architettura, paragonando attraverso piantine filmati, le diverse strutture dei luoghi deputati all’esercizio della democrazia, fra cui la nostra Camera dei Deputati. Il primo di questi, era il teatro della polis greca, uno spazio che fisicamente favoriva il dibattito pubblico, vera anima della democrazia. I moderni parlamenti sono invece luoghi chiusi, quasi nascosti, che scoraggiano la dialettica popolo-classe dirigente.

Un chiaro esempio di come le esigenze politiche modifichino le strutture architettoniche. Ma l’Italia, nell’immaginario collettivo, resta comunque il Bel Paese, dal clima dolce e gli splendidi paesaggi. Monditalia concentra l’attenzione sul suggestivo scenario dell’isola di Capri, che nel corso del tempo è stata scelta quale residenza dall’Imperatore Tiberio, dal barone tedesco Fersen e da Curzio Malaparte. Attraverso le differenti architetture di Villa Iovis, Villa Lysis, e Casa Malaparte, riproposte in fotografia, è possibile comprendere il diverso rapporto con il territorio, più o meno legate a esigenze di promozione della propria persona e personalità.

Memorie storiche delle quali Pompei è forse ancora oggi lo scrigno più affascinante, la cui conservazione richiede un costante sforzo di ricerca per affinare le tecniche in materia, che spesso l’incuria della gestione rende vane. Vicende del genere l’Italia ne ha conosciute tante, legate al patrimonio antico come a quello moderno. Fra le ultime in ordine di tempo, quella dell’ex arsenale sull’Isola della Maddalena, restaurato e utilizzato per il G8 del 2009, ma che oggi versa in condizioni di degrado e abbandono.

Il documentario di Ila Beka e Louise Lemoine contrappone questa vicenda alla testimonianza di Mauro Morandi, solitario guardiano dell’Isola di Budoni, che da 25 anni continua la sua missione silenziosa di salvaguardia di questa piccola terra incontaminata, senza necessità d’investimenti miliardari, come invece è stato il caso della Maddalena. Storie del genere riflettono il malcostume nazionale, che è diventato una vera e propria logica di pensiero. Ed ecco che in quest’ottica, Cinecittà occupata, (nella foto), l’istallazione di Ignacio Galàn, cerca di comprendere se l’Italia riesce a guardarsi allo specchio, a capire di quali male soffre.

Cinecittà è il luogo di studio della società post-industriale, è il gran teatro dove grandi registi hanno raccontata l’Italia, e dove giullari da Strapaese ne hanno fornita una versione edulcorata.

E ancora, la recente storia architettonica italiana passa per gli insediamenti provvisori sorti all’indomani del terremoto che colpì l’Aquila nel 2009, una provvisorietà mal gestita, come accaduto anche in analoghe situazioni passate, nelle considerazioni di L’Aquila’s post-quake landscapes, il reportage di Andrea sarti e Claudia Faraone. Il provvisorio rischia di diventare definitivo, con conseguenti consumo di suolo e deturpazione di paesaggio, mentre invece una ponderata strategia progettuale avrebbe potuto conciliare ricostruzione e ripresa della vita cittadina.

È l’Italia della speculazione, dell’ingerenza della corruzione e della malavita, malavita che ha una sua particolare mappa architettonica. Il reportage di Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco e Fabio Severo, traccia l’evoluzione stilistica delle abitazioni dei membri della mafia, che, dalle tradizionali roccaforti siciliane - con l’irradiarsi sul territorio di questa piaga sociale -, evolve in ville, villette e moderni appartamenti di tante città italiane, Roma e Milano in primis.

Monditalia si rivela una mostra coraggiosa, che fuor di retorica e con onestà intellettuale, affronta le problematiche e le bellezze italiane, viste attraverso l’inconsueta ma efficace lente dell’architettura.

Nel suo complesso, questa XIV edizione della Biennale si dimostra particolarmente affascinante, nella sua capacità di fare del passato materia di ragionamento e background di partenza per esprimere quelle necessità umane che non sempre, nel corso del Novecento, è riuscita a toccare. Considerando l’intensità e la bellezza dei padiglioni europei (dei quali parleremo in un articolo a parte), si può idealmente interpretare questa Biennale come un appello all’Europa, a cento anni dall’inizio della Grande Guerra, a rafforzare le sue istituzioni democratiche, sulla scorta della Bellezza concettuale pensata da Platone, che riguarda certo la politica, ma dalla quale nemmeno l’architettura dovrebbe esimersi.

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