FIRENZE - Pittore di corte della Sublime Porta, apprezzato anche dall’aristocrazia di Costantinopoli, nonché artista costantemente aggiornato sulle correnti pittoriche a lui contemporanee. Nonostante ciò, nel vasto panorama della pittura italiana di fine Ottocento, Fausto Zonaro non è un nome noto. Ed è per colmare questa lacuna, che Palazzo Medici Riccardi ospita Vita e luce tra fasti ottomani e la Belle Époque italiana, la mostra - promossa dall'Istituto Italiano di Cultura Istanbul e Mirabili Arte d’Abitare insieme alla Città Metropolitana Firenze e la Municipalità di Besiktas - che fa luce sul caleidoscopico percorso pittorico di un artista a torto poco frequentato dal grande pubblico.
Viaggiatore in Italia e nell’Impero Ottomano, con in mezzo un soggiorno a Parigi fra il 1888 e il 1889, Zonaro fu pittore straordinariamente attento alle tendenze dell’arte europea a lui contemporanea, e infatti il suo stile contempla con disinvoltura la Macchia, il Naturalismo, l’Impressionismo e l’Orientalismo.
Dalla natia Masi, dove venne alla luce nel 1854, Zonaro si formò a Verona, all’Accademia Cignaroli, ed ebbe come compagni di corso Giacomo Favretto, Angelo Dall’Oca Bianca, Alessandro Milesi, importanti esponenti della pittura ottocentesca di scuola veneta. Il suo stile è quindi votato all’insegna del più schietto naturalismo, ed è con questo bagaglio che si trasferisce a Venezia, dove apre una piccola scuola di pittura nei locali di Palazzo Pesaro, fra gli allievi della quale c’è anche Elisa Pante, che diverrà in seguito sua moglie e sarà la vera promotrice della sua pittura.
È per perfezionare il suo stile, che attorno al 1885 si trasferisce a Napoli, dove stringe amicizia con Attilio Pratella, noto pittore. Fra le tele più significative di questo periodo, il Banditore (1886), caratterizzata da una spiccata teatralità, che prende le mosse dalla figura del titolo, nella sua rutilante, quasi murattiana, divisa ufficiale. In questo momento, sta annunciando la vendita di vino per cinque Lire al litro. Siamo nel cuore di Napoli, in quel quartiere Pendino che il risanamento edilizio del 1887 farà demolire per decreto comunale. Un quartiere popolare, che denota l’attenzione di Zonaro per la veracità napoletana, colorata e rumorosa, e che le sue pennellate rendono appieno. A questi bozzetti popolari, si aggiungono le vedute della campagna, che Zonaro dipingeva en plein air, alle falde del Vesuvio. Tele dalle quali è evidente l’influenza macchiaiola.
Nel 1888 si trasferì a Parigi, abitando in Boulevard de Clichy, ai piedi di Montamartre, allora cuore pulsante della Belle Époque con i suoi cafè e cabaret, ma soprattutto era il “quartier generale” degli Impressionisti, che Zonaro studiò attentamente, perfezionando la maniera di utilizzare i contrasti luminosi sulla tela.
Nel 1891, la svolta della vita: spinto dalla moglie Elisa, decide di trasferirsi a Costantinopoli, dove la sua carriera conoscerà importanti sviluppi.
In quella fine d’Ottocento, l’Oriente era oggetto di una vera e propria infatuazione. L'attenzione e la curiosità dell'Occidente verso l'Oriente hanno radici lontane, basti pensare all'aura leggendaria che avvolse le spedizioni in Cina di Marco Polo e, più tardi, dei Gesuiti. Ma senza spingersi nelle estremità della vasta Asia, anche l'Oriente arabo ha destato nei secoli l'interesse di letterati, commercianti, artisti europei, in particolare a partire dalla fine del Settecento, all'indomani della spedizione egiziana di Napoleone, durante la quale Champollion riportò alla luce quella Stele di Rosetta che svelò il mistero della decifrazione dei geroglifici.
La corrente si sviluppò nei decenni successivi, anche a seguito dell'estendersi del colonialismo europeo nell'Africa Settentrionale e in Medio Oriente. A livello pittorico, l’orientalista di riferimento in Italia era l’emiliano Alberto Pasini. Zonaro s’inserì in questo clima di fascinazione orientale, spintovi anche dalla lettura di testi quali Costantinopoli - che De Amicis aveva pubblicato fra il 1877 e il 1878 -, e l’omonimo racconto di viaggio di Gautier, del 1891.
Grazie all’instancabile opera di promozione della moglie, Zonaro diviene il ritrattista più apprezzato e richiesto dall’aristocrazia cittadina, e persino dalla Corte; donna moderna e dinamica, Elisa comprende l’importanza della pubblicità (da poco nata), e realizza numerose fotografie delle opere del marito che invia ai giornali di tutta Europa; uno di questi, l’Illustrierte Zeitung di Lipsia, è molto letta anche a Costantinopoli, e fu qui che vi compare la tela napoletana del Banditore. Fu questo episodio a farlo conoscere e apprezzare negli ambienti aristocratici. Ma accanto ai ritratti di ambasciatori e principi, Zonaro seppe realizzare anche splendide vedute di Costantinopoli.
In quelle tele, che ritraggono il Bosforo, la moschea di Ortaköy, Santa Sofia, Zonaro si lascia trasportare dalla magnificenza delle architetture e dei paesaggi, e vi traspone una calda luminosità che sembra lasciare sulla pelle l'effetto del sole onnipresente in quell'immenso Impero Ottomano, che dalla Turchia si estendeva fino in Siria, Egitto, Libia, Palestina. Un Impero e un popolo che Zonaro ci restituisce anche attraverso le scene quotidiane, con scene di pescatori e barbieri, o la festa religiosa del Bayram.
Scene di vita che hanno in sé un po’ di quella teatralità che Zonaro conobbe ai tempi del soggiorno a Napoli, e sottolineata anche dalla luminosità dei colori, mentre la pennellata pastosa è a metà fra la Macchia e l’Impressionismo. E ancora, gli struggenti panorami dei cimiteri musulmani, con le lapidi dipinte in delicato rosso e oro. Ne scaturisce un realismo venato di poesia,un Oriente arcaico, affascinante, ma soprattutto pacifico, che dopo la colonizzazione occidentale perderà quell'equilibrio fra popoli e culture diverse, su cui si era fondata l'unità ottomana.
Immagini che però restano nell'immaginario collettivo, e non è infrequente, ammirando un caravanserraglio o un cavaliere turco, ripensare alle pagine di Andric, mirabile cantore dei Balcani islamizzati.
La stagione orientale è importante anche per quanto riguarda la produzione dei ritratti di familiari, fra cui spiccano quello della moglie Elisa, e della figlia Jolanda, dipinti con amore e puntigliosa eleganza, in linea con la ritrattistica più raffinata di Corcos e Boldini. Sono questi, probabilmente, gli unici punti di contatto fra Zonaro e i due colleghi, perché la Belle Époque del pittore di Masi non ha un afflato mondano, ma sempre, al contrario, votato alla rappresentazione del quotidiano, di quell’Italia popolare tanto cara ai bozzettisti.
A testimoniare quanto Zonaro amasse la Turchia, l’autoritratto del 1901, dove indossa il fez, ormai per lui consueto, e le decorazioni per meriti artistici ottenute dalla Corte; un modo per testimoniare riconoscenza verso il paese ch l’ha accolto.
A cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’Impero Ottomano visse la sua ultima crisi; nel 1909, i Giovani Turchi, promotori di un liberalismo ottomano che chiedevano l’entrata in vigore della Costituzione stilata nel 1876, deposero il Sultano Abdülhamid II, sostituendolo con il più malleabile Mehmet V. Di lì a poco, nel 1912, rovesciarono definitivamente la dinastia imperiale, instaurando un triumvirato dittatoriale politicamente legato all’Impero Tedesco. Zonaro, che non nascondeva le sue simpatie per i liberali, restò deluso dalla piega che avevano presa gli eventi turchi, e in quello stesso 1912, non senza rimpianti, decise di rientrare in Italia. Con il suo volontario esilio, finì anche in Turchia l'epoca dei pittori di corte.
La sua ultima stagione artistica prende le mosse da Sanremo e la Riviera ligure, da dove compie brevi spostamenti in Costa Azzurra. Il paesaggio non manca di affascinarlo, tuttavia da queste vedute ampie e luminose, di tagli fotografico, che spaziano da Sanremo a Monaco, emerge tuttavia un silenzio meditativo e malinconico, causato dalla nostalgia per Costantinopoli. Anche in Italia, infatti, non smetterà di portare il fez che era entrato a far parte del suo vestiario negli anni trascorsi in Turchia, e soprattutto continuerà a dipingere quegli scorci orientali che per due decenni gli erano stati così familiari.
Niccolò Lucarelli