Biologico in Toscana: crescono produttori (+8%) e consumi

Agricoltura, Genomica e Prevenzione dei Tumori in un convegno a Firenze

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 ottobre 2015 22:54
Biologico in Toscana: crescono produttori (+8%) e consumi

Oltre 4mila operatori (dato 2015) con una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente, ed una superficie totale di 102mila ettari coltivati (dato 2014), in leggera flessione (-4,7%) rispetto a dodici mesi prima (2013). Sono 129 i milioni di euro in arrivo dal PSR 2014-2020 per il biologico toscano (misura 11), pari al 13,4% delle risorse complessive del Piano di sviluppo rurale che investirà la Regione Toscana nei prossimi anni. Sono questi in estrema sintesi i numeri del biologico in Toscana, al centro di un workshop organizzato da Cia Toscana e Anabio, che si è svolto quest’oggi a Firenze.«Per la Cia – ha sottolineato il presidente Cia Toscana Luca Brunelli – il biologico non è sicuramente una moda, dal momento che con 1.600 aziende agricole, rappresentiamo il 43% delle aziende biologiche in Toscana, un dato di grande responsabilità per noi.

C’è bisogno di innovazione e di ricerca al servizio dell’agricoltura – ha aggiunto -; dobbiamo poi dare un valore aggiunto alle nostre produzioni biologiche ed arrivare ad una vera semplificazione in agricoltura, tema che ovviamente riguarda tutte le tipologie di produzione agricola nella nostra regione». Filippo Legnaioli, vicepresidente Cia Toscana che ha introdotto i lavori ha spiegato i mercati del biologico «in Toscana prevalgono mercatali e vendita diretta in azienda – ha affermato – ma ci sono altri canali di vendita molto importanti, con esempi di grande distribuzione, che noi agricoltori non posiamo lasciare ad altri».

La Toscana – come ha ricordato Alessandra Alberti, Cia Toscana – è la quarta regione come numero di produttori biologici (dietro a Sicilia, Calabria e Puglia); ma prima regione italiana per numero di trasformatori di prodotti bio (con 800); la seconda in Italia per produzione di grano tenero e farro bio; la prima per produzione di noci e prugne; e con 600 mila quintali di uve da vino biologiche rappresenta il 12% della produzione nazionale. Dei 102.443 ettari di coltivazioni biologiche in Toscana, sono 13.614 gli ettari a cereali; 27mila di colture foraggere; 12.110 ad olivo; 8.748 di vigneti; 1.303 ettari di ortaggi e 870 ha di colture frutticole. Per quanto riguarda i consumi, la Toscana è in linea con la media nazionale: +11% in valore nel 2014; con le migliori performance per i derivati dei cereali (+18%) e ortaggi (+14%); mentre per quanto riguarda le vendite forte incremento rispetto al 2013 della pasta bio (+21%). «Ma ci sono alcuni aspetti da migliorare – ha sottolineato Piero Tartagni di Cia Toscana e coordinatore regionale Anabio -; intanto ci vuole più semplificazione burocratica, eliminando per esempio le doppie registrazioni; e poi agevolare l’accesso diretto delle imprese ad alcune procedure amministrative informatizzate (Artea) senza l’obbligo di intermediazione.

Inoltre – ha aggiunto Tartagni – chiediamo alla Regione Toscana la creazione di un tavolo di lavoro regionale che accompagni lo sviluppo complessivo del bio con il coinvolgimento di tutti i protagonisti del settore». Un coordinamento regionale sul biologico con Regione e produttori che è possibile, come ha confermato l’assessore regionale all’agricoltura Marco Remaschi, che ha sottolineato come la Regione punti su prodotti di nicchia, eccellenze come simboli culturali dei nostri territori, e le produzioni biologiche sintetizzano molto bene questi concetti. Cinzia Pagni, vicepresidente di Cia nazionale ha ricordato come la Cia ad Expo 2015 «abbia fatto una scelta politica e strategica ben precisa – ha detto – stando sei mesi nel Padiglione del Biologico e della Biodiversità di Expo; oltre ad aver proposto questo modello di agricoltura per l’emergenza del Lago Ciad, che si affronta con più agricoltura e garanzia di sviluppo sostenibile». Dopo molti anni alla Cia, è stata la prima volta per Roberto Scalacci, ad un convegno Cia, in veste di direttore agricoltura e sviluppo rurale Regione Toscana.

Scalacci ha parlato dell’unità dell’Italia, fra Governo ed associazioni agricole, per il settore biologico, per quanto riguarda le proposte di modifica del Regolamento europeo sul bio; mentre grandi differenze ci sono in Europa, con la contrapposizione dei paesi del Nord Europa da una parte e la Germania dall’altra. Ha parlato, infine, del piano strategico nazionale per il biologico, il presidente Anabio,Federico Marchini.

Questo pomeriggio, nella sede dell’Accademia dei Georgofili, si è svolta un’ importante giornata di studio su “Agricoltura, Genomica e Prevenzione dei Tumori”, con la partecipazione di molti autorevoli e illustri relatori provenienti dal mondo della ricerca italiana in campo medico, agricolo e zootecnico. Le stime a venti anni della mortalità per cancro nel mondo sono purtroppo destinate a crescere. L’ impatto economico del fenomeno, tra costi diretti e indiretti, rischia di diventare insostenibile anche per i paesi a reddito medio-alto.

I grandi progressi dell’oncologia e la disponibilità di nuovi farmaci che consentono significativi aumenti delle sopravvivenze ad altissimo costo, rischiano oltre tutto di approfondire le disuguaglianze sociali ed escludere milioni di persone da trattamenti potenzialmente risolutivi. In questo quadro, l’attenzione delle politiche sanitarie di molti Stati si sta concentrando sempre di più sulla ricerca e sulla prevenzione primaria, grazie anche al fatto che le informazioni sul ruolo della genetica nella genesi del cancro sono cresciute in modo formidabile in pochi decenni: dalla scoperta degli oncogeni negli anni Ottanta al progetto ‘Genoma’ di fine millennio, per arrivare alle odierne nozioni di epigenetica. Siamo ancora lontani dall’avere un quadro completo delle alterazioni dei geni e della modulazione della loro attività nelle cellule del cancro e, al riguardo, l’interazione ‘ambiente – geni’ sta divenendo un terreno di studi sempre più fertile.

I fattori ambientali, tra i quali in primo piano gli inquinanti e la dieta, possono causare cambiamenti nella miscela di modificazioni epigenetiche e modificare di conseguenza cellule e tessuti. Tali modifiche potrebbero favorire la genesi del cancro ma potrebbero parimenti impedirla, ritardarla o determinarne una regressione. Si chiama per l’esattezza “Fattore Mediterraneo” quello che gli scienziati stanno studiando, ovvero come la dieta mediterranea nel suo complesso e non un singolo ingrediente, può sviluppare nell’organismo umano modifiche epigenetiche che possono risultare protettive nei confronti del cancro.

L’attenzione della ricerca negli ultimi anni si è dunque spostata dai microingredienti (es. flavonoidi) agli stili di vita. Pertanto l’agricoltura, che condiziona massicciamente a livello planetario l’ambiente in cui viviamo e fornisce gli alimenti di cui ci nutriamo, può senza dubbio apportare un determinante contributo a questa prospettiva. E’ importante la collaborazione tra genetisti animali e genetisti vegetali per la produzione di alimenti funzionali alla salute umana.

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