Alla Strozzina, la famiglia nell’ottica dell’arte contemporanea

Nucleo primario della società, fondamento dei rapporti personali e primo universo con il quale sin dall’infanzia ci si confronta con gli altri, quasi parrebbe non possa esistere niente che sia più tradizionale della famiglia

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
13 marzo 2014 19:48
Alla Strozzina, la famiglia nell’ottica dell’arte contemporanea

FIRENZE - Nucleo primario della società, fondamento dei rapporti personali e primo universo con il quale sin dall’infanzia ci si confronta con gli altri, quasi parrebbe non possa esistere niente che sia più tradizionale della famiglia. Eppure, proprio questo pilastro della società, per citare Ibsen, è al centro, negli ultimi venti anni, di un dibattito particolarmente vivace, che ne sta ridefinendo i canoni. Attraverso Questioni di famiglia. Vivere e rappresentare la famiglia oggi, curata da Franziska Nori e Riccardo Lami, il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina pone l’attenzione su un tema, la famiglia, appunto, solitamente poco frequentato nel mondo dell’arte, confermando la sua vocazione a centro espositivo aperto a questioni sociali e politiche.

In questo frangente, undici artisti contemporanei s’interrogano sulle dinamiche e le immagini che caratterizzano il nucleo familiare, attraverso fotografie, video, e istallazioni: Guy Ben-Ner, Sophie Calle, Jim Campbell, John Clang, Nan Goldin, Courtney Kessel, Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Trish Morrissey, Hans Op de Beek, Chrischa Oswald, Thomas Struth. La mostra si apre con la serie fotografica Familienleben, realizzata dal tedesco Struth fra il 2002 e il 2007. In ognuno degli scatti, l’artista ritrae famiglie di amici, ognuna delle quali ha scelto liberamente il contesto in cui essere ritratti, e la disposizione di ogni singolo membro.

Una libertà lasciata dall’artista, per indagare a fondo il contesto autentico della famiglia in questione, e i rapporti fra i suoi membri; infatti, secondo una teoria psicanalitica sviluppata nel Novecento, le distanze spaziali che, più o meno inconsciamente, si assumono nei confronti degli altri, è specchio del feeling che abbiamo con quelle stesse persone. In tal modo, a livello visivo l’artista ci fa “conoscere” una famiglia nel suo ambiente, ma in realtà le dinamiche interne ci restano ignote.

C’è quindi il forte contrasto fra la chiarezza dell’immagine e la reale conoscenza delle persone, un contrasto con cui ogni giorno abbiamo a che fare. Quanto realmente conosciamo le persone che incontriamo ogni giorno? Incuriosisce e disturba l’opera-video Mother Tongue di Chrischa Oswald, che esplora l’intenso rapporto madre-figlia sfruttando il gioco di parole, in lingua inglese, fra la lingua madre, e la lingua della madre; da una parte, si allude alla finalità educativa della famiglia, che insegna una sorta di linguaggio per confrontarsi con la realtà circostante.

Dall’altro lato, attraverso un elegante bianco e nero, due filmati ritraggono l’artista e la propria madre che si leccano il volto. Un comportamento affettivo,e protettivo, che nel mondo animale è la norma, mentre se trasportato nell’ambito degli esseri umani, risulta disturbante se non addirittura ripulsivo. L’artista incuriosisce quindi l’osservatore, che s’interroga se la complicità fra le due donne non scivoli nell’ambiguità. Un’opera che alza un velo sui tanti tabù della società contemporanea, che condizionano anche i rapporti familiari. Suggestivo e ---, il trittico fotografico Les Tombes, della francese Sophie Calle, una sorta di poetica elegia della famiglia, che ne sottintende l’eternità.

Attraverso tre scatti di altrettante sepolture, presi da un cimitero nelle vicinanze di San Francisco, l’artista richiama l’idea di famiglia concentrando l’immagine sul ruolo familiare del defunto, padre, madre, figlio, inciso sulla lapide in marmo. Tre parole che sottintendono una vita familiare fatta di affetti e di lutti, ma che comunque va oltre l’esperienza della morte. Ecco che il cimitero, nella sua dolorosità, diviene un estremo, commovente luogo familiare, fatto di simbolica vicinanza.

A colpire, in particolare, il foro sulla tomba della madre, dove di consueto si pongono fiori o candele, In questo caso è vuoto, come se l’artista invitasse l’osservatore a riempirlo idealmente, perché a ognuno di noi spetterà di raccogliersi davanti alle tombe dei propri genitori. Tuttavia, il soggetto dell’opera non è la morte, bensì la rappresentazione della rappresentazione della morte, perché anche la fotografia, in sé stessa, immortala un istante che è stato e che non sarà più. Ne risulta, nel complesso, una mostra interessante, emotivamente abbastanza coinvolgente, ma che forse avrebbe potuto osare di più.

Nel senso che le opere esposte propongono un’iconografia familiare tradizionale, basata sullo schema padre-madre-figli. Uno schema che oggi non è necessariamente sempre valido, considerando come le relazioni interpersonali, anche quelle affettive, abbiano subita una forte ridefinizione; il matrimonio non è più l’istituto fondativo per eccellenza della famiglia, mentre aumentano sensibilmente le coppie di fatto. E ancora, esistono famiglie composte da partner separati o divorziati, e famiglie nelle quali i genitori appartengono allo stesso sesso.

Si tratta di famiglie che, rispetto a quelle tradizionali, portano responsabilità diverse, forse maggiori, nel tentativo, non sempre riuscito, di farsi accettare da una società che ancora non è completamente progredita da un punto di vista del rispetto degli altri. Eppure, la mostra in questione affronta solo marginalmente tematiche che avrebbero potuto suscitare un maggiore interesse del pubblico. La mostra è visitabile fino al 20 luglio prossimo, dal martedì alla domenica. Ulteriori informazioni su orari e biglietti, al sito www.strozzina.org.

Niccolò Lucarelli

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