Roberto Andò e Moni Ovadia nel ''Mercante di Venezia'' di Shakespeare

"Shylock. Il mercante di Venezia in prova" è il lavoro di Moni Ovadia e Roberto Andò.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
13 dicembre 2010 19:23
Roberto Andò e Moni Ovadia nel ''Mercante di Venezia'' di Shakespeare

La Feltrinelli Librerie di via Garibaldi 92/94 a Prato ospiterà Moni Ovadia e Shel Shapiro interpreti di "Shylock. Il mercante di Venezia in prova", lavoro del quale Moni Ovadia firma anche la regia insieme a Roberto Andò. Lo spettacolo è in scena al Teatro Metastasio di Prato dal 16 al 19 dicembre. L'appuntamento in libreria è per il 16 dicembre alle ore 17. Il Mercante di Venezia in prova ha inizio in un luogo che non è identificabile, potrebbe essere un mattatoio o un teatro, uno di quei luoghi che la contemporaneità ha sublimato e convertito, inscenando il Bene lì dove era di casa il Male, un luogo dove un regista dovrebbe provare il suo Mercante di Venezia, finanziato da un mercante odierno, delle cui immense fortune nessuno sa rintracciare l'origine, all'infuori del sospetto che le vuole certamente generate dal crimine.

L'ossessione del regista e quella del mercante sono speculari, il primo vorrebbe restituire a Shylock la libbra di carne che gli è stata negata cinquecento anni fa, l'altro vorrebbe acquisire un altro pezzo speciale nella sua collezione di libbre, catturando il cuore di un artista. Uno vorrebbe profanare il confine tra l'Arte e la Vita, l'altro vorrebbe sondare un'ultima chance per il teatro di continuare ad essere, al di là dei suoi trucchi e delle sue miserie, l'irriducibile talismano dell'umano.

In un deliquio febbrile, che via via prende la forma di un puzzle, le scene immaginate dal regista si alternano a divagazioni sulla verità e sulla menzogna, mentre uno Shylock agonizzante, sorvegliato da un Cardinale, da un oscuro prelato e da un'infermiera, continua a balbettare, come un ritornello ossessivo, il suo monologo più celebre: Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? È una sarabanda sul senso (o non senso) del teatro? Un pastiche? O, piuttosto, un paesaggio dove, in controluce, è possibile riconoscere il rischio del teatro oggi, ciò che lo pone a un bivio, sparire nell'inessenziale marginalità che gli è stata affidata o riprendere ad essere quello che una volta era, un grande paese senza nome che appartiene a tutti, un paese dell'anima, dove ciò che viene di continuo evocato nel nome dell'umano risulterebbe vago e approssimativo se non venisse ogni volta scandagliato l'eterno gioco del prestito e del debito, quella speciale e riuscita acrobazia dell'uomo di farsi mercante di ciò che non è in vendita, ieri come oggi?

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