Il cordoglio toscano per Pietro Mirabelli, la voce dei minatori

Il testardo dei diritti scelse la Svizzera: lavorava nella Alptransit

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
23 settembre 2010 14:07
Il cordoglio toscano per Pietro Mirabelli, la voce dei minatori

È morto mentre scavava una galleria, Pietro Mirabelli, come aveva sempre fatto nella sua vita di emigrante di Pagliarelle, un paese del cosentino. Le gravi ferite riportate in un incidente sul lavoro avvenuto oltreconfine hanno provocato la morte del 54enne calabrese. Un masso si è staccato dal fronte mentre una squadra lavorava. Pietro Mirabelli era stato operaio della TAV, delegato sindacale CGIL e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) per dodici anni sul cantiere della Bologna-Firenze. Il presidente della Comunità Montana Mugello Tagliaferri esprime il cordoglio delle istituzioni: “Il territorio del Mugello si associa al dolore della famiglia per la scomparsa di un lavoratore che ha operato per molti anni nei cantieri dell’Alta Velocità, avendo a cuore la sicurezza e la tutela dei lavoratori.

Mirabelli ha sempre sollecitato le istituzioni e la società civile a non abbassare mai la guardia sui problemi e i pericoli nei cantieri delle grandi opere. Di questo e dei diritti dei lavoratori, e delle loro famiglie, aveva fatto la sua personale battaglia”. Lo conoscemmo 11 anni fa, in Mugello, quando le nostre lotte iniziarono a intrecciarsi, noi contrari alla realizzazione dell’Alta Velocità, lui paladino dei diritti dei lavoratori di quell’opera -esprime così il proprio lutto il Gruppo Consiliare Provinciale PRC/PdCi/SpC- Uniti nella comune lotta alla critica di un modello di sviluppo imperniato sullo sfruttamento, delle risorse ambientali, come della forza lavoro e dei diritti dei lavoratori.

Come Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza nei cantieri del Cavet, in Mugello, si è battuto per rompere quel muro di silenzio che circondava i lavoratori della TAV, denunciando le dure condizioni, i rischi ai quali erano sottoposti, il continuo ripetersi di incidenti taciuti o troppo presto dimenticati, ricordando in ogni occasione che dietro allo sfarzo tecnologico di quella grande opera c’era la fatica e il sacrificio di chi lavorava sotto terra, nel fango, rischiando quotidianamente la propria vita per portare a casa un misero stipendio.

Con orgoglio ha portato avanti la propria attività impegnandosi per far comprendere ai suoi colleghi l’importanza del rispetto delle norme sulla sicurezza e per diffondere una coscienza collettiva di rivendicazione dei diritti. Lui che da sempre si è battuto per la sicurezza sui luoghi di lavoro, lui che ha fatto della difesa e della lotta per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori la propria bandiera, lui che ha gridato l’ingiustizia dello sfruttamento, l’inaccettabile vergogna delle morti bianche è morto sul lavoro, scavando l’ennesima galleria in un cantiere del Canton Ticino a migliaia di chilometri di distanza dal suo paese e dalla sua famiglia, vittima di quei pericoli evitabili, di quella mancanza di sicurezza che da anni denunciava.

Diceva che il lavoro di minatore, il suo lavoro, non si sceglie per piacere ma per dura necessità, diceva che non si sceglie di rischiare ogni giorno la vita, e che in generale il potere di decidere sulla propria vita non appartiene al lavoratore. Nel suo paese, Pagliarelle, frazione di Petilia Policastro, in provincia di Crotone, uno dei luoghi di maggiore emigrazione in Italia, si era impegnato per far erigere un monumento ai caduti sul lavoro. Non era il monumento in sé che lo interessava ma la volontà di fare in modo che nessuno dimenticasse quelle morti tanto drammatiche quanto ingiuste e intollerabili che l’impegno da parte delle istituzioni tutte a combattere fino in fondo la battaglia della sicurezza sul lavoro.

Pietro è stato, e continuerà ad essere, un punto di riferimento per tutti quei lavoratori che vivono la realtà dello sfruttamento e del ricatto, della vita messa in gioco quotidianamente in cambio di quei pochi euro che servono per campare. Pietro aveva ragione: non è possibile morire di lavoro e non è accettabile la rassegnazione e le complici connivenze di quanti rimandano queste morti alla semplice fatalità. In questo triste momento esprimiamo il nostro profondo dolore e ci stringiamo ai familiari, agli amici, ai colleghi e ai compagni di questo grande uomo".

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