Tramonto d’autunno dalla Torre di San Giovanni

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
28 ottobre 2005 14:17
Tramonto d’autunno dalla Torre di San Giovanni

Marina di Campo- Immerso nel verde e nell’atmosfera serena d’autunno sto camminando. Ho appena lasciato Sant’Ilario, paese natale di Giuseppe Pietri. Ho ascoltato la sua musica in casa di un amico e sento ancora le armonie dell’opera “Acqua cheta”. Che melodie splendide! Vedo Sandro Giffoni ritornare dal lavoro in montagna. Cammino verso San Piero, dopo aver fiancheggiato la casa di Ida, figlia di Luigi Nelli detto Babbalù, personaggio simpatico e popolare del dopoguerra. La natura è meravigliosa.

Piante di corbezzolo e lentisco fiancheggiano la strada. E’ l’ora del tramonto. La cima delle Calanche, frastagliata, si stacca su uno sfondo rosso purpureo mentre sul mare delle nubi si tingono di rosa.
Prendo la strada a destra, verso Monte Perone e mi fermo poco dopo. L’ambiente mi affascina. La Torre di San Giovanni si erge su un masso granitico. Ha visto secoli di storia con avvenimenti drammatici e festosi, periodi di guerra e di pace. Costruita attorno all’anno Mille, per avvistamenti e segnalazioni, vive ancora la sua grandiosità.

Mostra ancora la sua bellezza architettonica. Silenziosa, ci parla del suo passato, protetta dagli agenti del Corpo Forestale che controllano il bosco che la circonda. Cullato da questi pensieri, rivolgo lo sguardo verso il piano. Mi immergo nell’ampio panorama.
Ricordo le parole del Capitano G. Carpinacci nel suo libro del 1901: “La campanella di San Mamiliano suona l’Ave Maria. Da Sant’Ilario, da San Piero, dalla Chiesina degli Alzi, dalla marina, da tutta l’isola bella risponde il coro mistico pel monte e pel mare, e giù pel piano e nei valloni e dalle spiagge sale la voce della preghiera di Dio… Oggi lasciamo la dolce marina: le casette linde nel macchione verde dormono ancora nella nebbia del piano di Campo.

E una voce arcana ci viene dalle onde, e le onde sussurrano, gorgogliano, saltellano, si accavallano, danzano nello spazio, nel vento, allegre della vita, del moto. Furono destate; anche il vigneto verde agita i pampini alla brezza mattinale, e la cima di Tambone è avvolta in un nembo di viola. Su, su…sento i colpi del bottaio, auspici alle vendemmie opime…Vedo il fumacchio della pece del carpentiere che prepara al viaggio la nave…quel lampo è del piccone che incide il solco nella terra feconda...”
Incantato dalle parole, guardo il borgo antico di Campo con il porticciolo sovrastato dalla Torre Pisana e poi il paese lungo la spiaggia , verso la pianura e le colline.

Tutto appare eguale ma anche diverso dalla descrizione del Carpinacci. Si vedono e si odono i segni della trasformazione nel tempo. Rimane la bellezza del paesaggio con l’armonia delle linee.
Sulla destra si presenta il Formicaio e quindi, coperte, due valli sempreverdi, Valle Allora e Valle Orzaio, sotto cui sta la Piastraia, nome che deriva dalla piastre di colombino. Procedendo si arriva a Colle Palombaia e percorrendo la strada provinciale verso l’alto, si arriva alle Caviere dove operavano importanti cave di granito, vanto di San Piero.

Per centinaia di anni nella zona bassa, a Ciampone, i contadini hanno coltivato i campi e fatto la legna nelle colline vicine. In questa zona fu costruita nell’anteguerra, dalla signora Zenobia, la “Palazzina”, prima villa di campagna, abitata nel dopoguerra dalla famiglia Zecchini. La zona è ora cosparsa di nuove ville e di belle case contadine , circondate da giardini e da orti.
La striscia centrale copre un’ampia zona piana che si allunga fino a sotto San Piero. Inizia con lo Stagno, area spesso allagata in inverno, spazia fino alle Fornaci, per arrivare al Pozzo al Moro, nome da leggenda e mistero.

Poi si trova Lentisco e quindi gli Alzi e gli Aiali, dove si trovano due vecchie romantiche chiesine. Infine ai piedi della collina sotto San Piero, ci sono Castiglione e la Grotta. Qui c’era una sorgente ed oggi una fontina. Probabilmente nel lontano passato i naviganti, romani, saraceni e pirati venivano a rifornirsi d’acqua. Nella zona, sta nascendo un nuovo centro abitato con attività commerciali. Sono rari i campi coltivati a grano, a granturco, a trifoglio, a erba medica, a ortaggi e soprattutto i vigneti, vanto dei contadini campesi del tempo, per la maggior parte di origine sampierese.
Sulla sinistra c’è una collina, un tempo coltivata con vigneti a terrazze, che copre l’antico abitato di San Mamiliano, dove si trova la vecchia chiesetta, restaurata nel 1950 e riconsacrata il 13 settembre 1960.

Nei secoli passati i monaci vi si fermavano per i giorni, in attesa del miglior tempo, per poter attraversare il mare e raggiungere il Monastero dell’isola di Montecristo. Prendendo la strada provinciale e superato il ponte sul fosso del Bovalico, si trova la vallata del Pian di Mezzo. Appaiono splendidi terreni che salgono verso il monte. Inizia con il Borandasco e la Martinaccia. Passando fra giardini e vecchi oliveti, si fiancheggiano casali e ville, per arrivare dapprima alla Lammia poi alla Chiesina di Santa Trinita.

Nella zona ci sono alcuni vecchi mulini inattivi, che lavoravano con l’acqua del fosso di San Francesco. Più su c’è la zona di Maestà Zucchino. Infine, presso la Chiesina dell’Accolta, si trovano molti “trovanti” (grossi massi) di granito che venivano lavorati da scalpellini santilariesi. Sotto Sant’Ilario, ai Forcioni, che guardano zona Salicastri, si trovavano delle piccole cave appartenute ai fratelli Politi e alla famiglia Tesei.
Percorrendo la strada provinciale si passa per La Serra , Sighello e Costa al Barcoco, dove c’è lo Stadio Comunale.

Successivamente, dietro basse colline, c’è la Pila e quindi la Chiesina di Santa Lucia, situata su una collina. Si ricordano i festeggiamenti del 13 dicembre, con la gioiosa fiera e la musica suonata da santilariesi. Da Campo, si partecipava facendo lunghe passeggiate a piedi e portando fiori, corolli e frangette. Dietro la chiesina, si trovano i Capannili, dove si è sviluppata un’area industriale. Più avanti ci sono le Vigne Giunche e quindi le Solane con i Marmi.
La penombra della sera, che avanza lentamente sfumando linee e colori, avvolge sempre più il sottomonte.
In lontananza, verso La Foce, il sole ancora riflette la sua luce.

Il paesaggio si presenta nella sua serena bellezza. Tutta la spiaggia è vuota e silenziosa: non ci sono più i turisti del pomeriggio. Gli ombrelloni sono chiusi dopo una giornata di sole. Non si vede il lungomare ma si intravede Villa Nomellini, fatta costruire verso il 1930 dal pittore campese Plinio Nomellini, che amò ospitare personalità illustri dell’epoca. Procedendo si arriva alla bella pineta, voluta nell’anteguerra dall’ingegnere Camillo Gentini. Dove c’era un ampio stagno passa ora un lungo viale, che fiancheggia la pineta, con alberghi che arrivano fino ai piedi della collina di fronte.

A Segagnana, dove c’è la strada che proseguendo lungo la costa porta a Lacona, c’erano le vigne appartenute ai Pugginchi. Ora sulle colline domina la macchia mediterranea e c’è anche un albergo. A sinistra vi sono la Bonalaccia e Filetto. Dove nel passato c’erano vigneti che producevano buon vino, ora si vedono abitazioni e villette. Nella pianura di fronte c’è l’aeroporto, che si distende fra i fossi della Pila e della Galea.
Il paesaggio, con le sue trasformazioni, appaga ancora l’animo.

Ritornano in mente scene di sapore antico.
In primavera si lavorava nei campi cantando “O campagnola bella, tu sei la reginella ...” In estate, dopo la mietitura del grano, i contadini ballavano nelle aie. Nei giorni della vendemmia l’isola d’Elba viveva allegramente la Festa dell’Uva di Portoferraio, a cui partecipavano carri campesi con ragazze festose e tini colmi di uva. Nelle sere d’inverno i contadini si riunivano in case amiche, col camino acceso, parlando della giornata trascorsa e raccontando storie antiche.
Personaggi passati e recenti ritornano nei miei pensieri.
Verso il 1935 il generale Fabio Mibelli, proprietario di vigneti in Galenzana e nel piano di Campo, fondò una Cantina per produrre vino, ma non poté iniziare l’attività per l’arrivo della guerra.

Negli anni 1930-40, Giuseppe Retali detto Gambautte, proprietario terriero degli Alzi e bravo contadino, coltivò vigneti producendo fino a 400 ettolitri all’anno di vino pregiato. Aveva anche cave di caolino alle Caviere. Subito dopo lo sbarco delle truppe coloniali francesi del 17 giugno 1944, nella zona dello Stagno dietro i Macchioni fu allestito un “campo di concentramento leggero” per prigionieri. Raccolse anche munizioni inesplose. Oreste Tesei e Cesare Dini, manipolando munizioni leggere, ebbero degli incidenti alle mani e alla faccia.

Nell’anteguerra, sopra La Foce, dove ora vi sono dei villini, c’erano i recinti con pecore e capre di Stefano Montauti detto Giacaino, nonno di Stefano Dini. Da ragazzo Stefano ha fatto il pastore e ricorda ancora quei tempi del dopoguerra. Nello stesso periodo si incontravano le Morine, due vecchiette che abitavano alla Bonalaccia: erano le sorelle Vittoria e Mariuccia Mazzei. Avevano anche una sorella, Ida, e un fratello chiamato Pallino. Vittoria appariva stravagante e arguta come appartenente al mondo delle favole.

Vestiva in modo tradizionale, in nero e marrone. Aveva una capretta a cui si rivolgeva con “Ella” e a cui parlava con amore. Alla Piastraia è vissuto Giuseppe Mibelli detto Peppino di Paolotto. Partigiano, emigrò dopo la guerra in Australia dove fece il tagliatore di canna da zucchero. Ritornò disilluso. Dopo la morte gli fu assegnata la medaglia di bronzo al valor militare. Nel 1950-60, Giuseppe Segnini, detto il soldatino, ha lavorato per la famiglia De Vito in Galenzana e per la signora Zenobia a Prato Arighetto.

Parlava con arguzia e si muoveva, col suo somaro, a ritmi lenti. Suo fratello Francesco ha lavorato nei campi per anni, producendo ortaggi, frutta e buon vino. Nel dopoguerra, Ilvo e Marco del Signore, padre e figlio, dipingevano splendidi paesaggi ed angoli caratteristici campesi. E poi altri personaggi vengono in mente con i soprannomi dati con ironia: Cerboncino, Gattonerino, Chiodino, Duca, Cipollino, Sciacquaio, Dino di Picciotto, Chiuroli, Pestiferino, Cardellino, Barilotto, Arcione, Baffino, Tagliola, Cesaraccio, Resisti, Nicolaccia, Zuccobigio, Batoni e i Piovanini.
Ritorno col pensiero al presente e il mio sguardo si posa nel piano e sulle colline.
Sono quasi spariti i campi coltivati e i terrazzamenti.

Nuove costruzioni si sono diffuse. Oggi molte cave di granito hanno chiuso. Non vedo scalpellini ritornare alle case dalle cave di Italo Bontempelli mentre la Cooperativa Corridoni svolge ancora la sua attività. Non viaggiano i barrocci con sacchi di carbone e legna o i vecchi camion di Giuseppe Balestrini e di Riccardo Spinetti detto il Sottomarino, che trasportano il granito. Non vedo pastori che ritornano all’ovile con i greggi. Non odo campane suonare, con suono squillante. Non vedo carbonai e cestai ritornare a casa.

Non risuonano i passi dei somari appesantiti da tini. Non sento le chiacchiere delle contadine che portano sulla testa cesti di canne con cestini di felci, contenenti ricotta fresca. Manca l’odore delle marmellate di mele cotogne.
Mi rimetto in cammino per San Piero fra fiori selvatici e col profumo del Rosmarino. Si sta facendo buio.
Incrocio un gruppo di giovanotti che corrono in bicicletta verso Sant’Ilario. Proseguo e incontro delle ragazze che stanno guardando le prime luci che si accendono nel piano.

Squilla un telefonino ed inizia una dolce conversazione. Si alza la leggera brezza della sera. Oltre le prime case di San Piero si sentono parole di ragazzi e ritmi di musica rock. Mi fermo e ascolto mentre m’inebria il profumo della buona cucina. Vorrei salutare Mauro Galli detto Spaghetto, ma si è fatto tardi. Nella piazzetta dei bambini giocano ... gridano, corrono, cadono, si rialzano. E’ socchiusa la porta di un magazzino, usato decenni prima, per tenere al sicuro erpici, sarchiatrici, aratri.

Passo davanti alla scritta “Mago Chiò”, nome da leggenda e di mistero. Scendo da scale di granito e intravedo il campanile della chiesa. Due fidanzati passeggiano mano nella mano sognando nuovi orizzonti mentre si sente il rumore di un aereo che s’innalza verso confini più aperti. La vita si rinnova e continua con profumi, sapori, illusioni, sogni, sentimenti e passioni di sempre.

Raffaele Sandolo
(elbasun@infol.it)

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