"Accoglienza e integrazione per i nomadi" a parole, ma di fatto non li vuole nessuno

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 ottobre 2000 14:47

Stamani il corteo funebre della piccola Silvana, rimasta tragicamente uccisa nel rogo del campo nomadi del Poderaccio, ha raggiunto il cimitero di Trespiano. Erano presenti il sindaco Domenici, il vicesindaco Graziano Cioni, l’assessore all’immigrazione Marzia Monciatti e il prefetto Achille Serra.
“Sono disponibile a incontrare lei e sua moglie al più presto in Palazzo Vecchio”. Sono le parole del sindaco Leonardo Domenici rivolte a Sedat Haliti, il padre di Silvana, al termine della cerimonia funebre che ha avuto luogo nel “quadrato” islamico del cimitero.

Il sindaco Domenici si è rivolto al padre di Silvana in quanto, secondo le usanze musulmane, al rito non sono ammesse le donne. Poco dopo c’è stato anche un colloquio con la madre, Dragana, nella quale sono stati stabiliti i termini per l’incontro, che avverrà lunedì nella sala di Clemente VII in Palazzo Vecchio. “Parlerò volentieri con voi – ha detto il sindaco Domenici – per ascoltare le vostre esigenze a seguito del dramma che state vivendo”. All’incontro sarà presente anche Dzevat Rufat, il capo spirituale del campo nomadi.
Intanto però un’ordinanza firmata dal sindaco Leonardo Domenici prevede la costituzione di un gruppo di lavoro che si occupi dei campi nomadi del Poderaccio e dell’Olmatello.

Scopo del gruppo di lavoro è quello di verificare le condizioni di rischio all’interno dei campi nomadi, progettando il progressivo smantellamento dei campi, il trasferimento dei nuclei familiari in altre città toscane, se non la collocazione dei rom fiorentini in strutture oltre i confini regionali. Il gruppo di lavoro è così formato: Claudio Martini, direttore dell’ufficio del sindaco, Moreno Martini, della segreteria tecnica direzione servizi tecnici, Giuseppina Baffè, dell’ufficio immigrati del Quartiere 4, Franca Fantoni, dell’ufficio rom del Quartiere 5, Giovanna Marandino, della direzione sicurezza sociale (Ipab rom), Moreno Bosco, del nucleo controllo del territorio della Polizia Municipale.
“Di fronte alla morte della piccola Silvana al campo nomadi del Poveraccio, il nostro sentimento è di grande desolazione, mescolata a rabbia perché ancora una volta ci vogliono le morti, ci vuole la morte di una bambina innocente per sollevare il problema dei campi nomadi che deve essere risolto una volta per sempre”.
E’ il commento di don Piero Sabatini, direttore della Caritas Diocesana di Firenze.
La responsabilità - sottolinea don Sabatini – è nel non volersi far carico dei problemi.


L’impressione è che una parte dell’opinione pubblica, ma anche una parte delle amministrazioni comunali e provinciali della Toscana abbiano nei confronti dei nomadi lo stesso atteggiamento che hanno nei confronti dei rifiuti urbani: non li vuole nessuno. Non si vogliono le discariche, non si vuole la presenza dei nomadi. Ci sono provincie in Toscana che non hanno nessun nomade, perché non li accolgono, li cacciano. Una soluzione di integrazione si può trovare soltanto smantellando i campi e distribuendo queste persone sull’ intero territorio regionale in modo tale che possano essere attivati percorsi di vera accoglienza e ci sia anche la possibilità di isolare i casi di delinquenza da trattare come la legge prevede, per gli italiani così come per gli stranieri”.
“La proposta della Caritas, ma anche di chi si sforza di seguire i dettami del Vangelo – prosegue don Sabatini – è quella dell’accoglienza contro ogni discriminazione.

Bisogna dire alto e forte che il campo nomadi è un ghetto che discrimina ed emargina. Accoglienza ed integrazione, restando nell’ambito dei percorsi di legalità. Questo però richiede da parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni un’ apertura che per ora mi pare soltanto Firenze abbia avuto, magari non sempre con efficienza e a volte con forme di assistenzialismo; però almeno qui qualcosa è stata fatta, anche se in questa forma sbagliata dei campi.
Da altre parti i Rom non sono stati accolti e questo deve finire perché non è né civiltà né Vangelo”.

In approfondimento: gli ultimi 6 mesi dei nomadi fiorentini, dalle promesse alle minacce

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