Tra le tante “creazioni” attribuite al siracusano Archimede, un posto preminente è occupato dalla realizzazione di un congegno riproducente su una sfera la volta del cielo e di un altro che generava il moto apparente del sole, della luna e dei pianeti, tra loro tanto diversi a partire da un’unica rotazione e corrispondenti, quindi, ad un moderno planetario. Pare che le notizie “certe” sull’argomento ci siano state trasmesse da Cicerone che sintetizza diverse testimonianze del periodo.
Dopo il saccheggio di Siracusa (212 a.C), il console Marco Claudio Marcello portò con se il “Planetario” la cui costruzione è descritta nell'opera perduta “Sulla Costruzione delle Sfere” ma del quale restavano le diverse citazioni giunte sino a noi in quanto andò perso a causa del naufragio della nave che riportava a casa il console romano, avvenuto nelle vicinanze di Olbia. Un minuscolo frammento di ruota dentata è stato rinvenuto nel luglio del 2006 durante uno scavo di emergenza nella piazza del Mercato Civico della cittadina sarda, con successivo restauro da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici. Da questo ritrovamento ha preso origine “Il Planetario di Archimede ritrovato”, lo studio dell’ing.
Giovanni Pastore, uscito nel 2010 che continua a destare interesse non solo in Italia ma anche all’estero tanto che lo stesso ricercatore lucano (laureato in Ingegneria meccanica al Politecnico di Torino) ne ha voluto curare una versione in lingua inglese “The Recovered Archimedes Planetarium” (uscita nel 2013) particolarmente richiesta dalla comunità scientifica internazionale e da alcune tra le più importanti Università straniere. Sarà presentato a Firenze il prossimo 3 giugno, alle ore 16.00, presso il prestigioso “Museo Galileo” in Piazza dei Giudici, diretto dal prof.
Paolo Galluzzi, e toccherà all’Autore illustrare ad un pubblico estremamente qualificato i contenuti di un studio abbastanza complesso, di tipo scientifico-ingegneristico ma fortemente arricchito dalla consultazione di fonti storiche e letterarie nonché documentazioni archeologiche, durato alcuni anni, e sintetizzare le conclusioni scientifiche alle quali è giunto. La pubblicazione (484 pp) raccoglie tre testi. Il primo riguarda il Planetario attribuito ad Archimede (risulterebbe essere il più antico se ci si attiene alla letteratura classica partendo da Cicerone) e la minuscola ruota dentata (datata tra la fine del III e la metà del II sec.
a.C.) doveva far parte del complesso ingranaggio documentata dalla presenza, nei denti, di una speciale curvatura facendoli risultare simili a quelli matematicamente perfetti degli ingranaggi moderni. Nella seconda parte del volume viene trattato un altro ingranaggio, anche questo di minute proporzioni, definito di Antikythera (dal nome dell’isoletta dell’Egeo dove venne ritrovato nel lontano 1902), risalente al I sec. a. C. e considerato parte di “uno strumento astronomico che rappresenterebbe il primo calcolatore sino ad oggi conosciuto”. Il terzo studio proposto riguarda la “Brocchetta di Ripacandida”, un reperto archeologico proveniente da una tomba femminile venuta alla luce nel territorio di questo comune -conservato nel Museo archeologico di Melfi- riportante affreschi che raccontano della caduta di un meteorite sul nostro pianeta e che rivelano una conoscenza della sfericità della Terra e dell’universo, e che ci fanno meglio comprendere il moto dei pianeti e, probabilmente gli influssi del pensiero pitagorico.
Per l’autore, tra l’altro, le leggi fisiche rappresentate in questa riproduzione risultano essere estremamente moderne e si pongono in completa antitesi con la dogmatica aristotelica. Oltre ad Archimede, anche Pitagora (che finisce i suoi giorni a Metaponto) ha affascinato lo studioso lucano (nato a Rotondella, vive a Policoro) tanto da spingerlo alla realizzazione di un documentario, “Pitagora tra noi”, completamente autoprodotto, uscito nel 2014 e che sarà proiettato nel corso della serata. I tre studi proposti nel “Planetario” tracciano ipotesi atti a sollecitare dubbi e consequenziali interrogativi su conoscenze acquisite nel corso dei secoli e sino ad oggi date per scontate. Un lavoro scientifico importante, quello dell’ing.
Pastore, caratterizzato anche dal metodo interdisciplinare dove si coniugano efficacemente scienza, tecnologia, storia, letteratura e archeologia.
Riscoperta dopo quasi 800 anni la funzione astronomica del grande zodiaco marmoreo di San Miniato al Monte. Alle 13:53 del 20 e del 21 giugno, in prossimità del mezzogiorno solare, un raggio di sole illuminerà il segno del Cancro annunciando il Solstizio d’estate, l’evento astronomico un tempo coincidente con la festa del patrono di Firenze, San Giovanni Battista (24 giugno). Eseguito nel 1207 su modello di quello quasi identico del Battistero che le cronache dicono “fatto per astronomia”, lo zodiaco di San Miniato è sempre stato considerato solo un elemento ornamentale e simbolico.
A differenza del precedente, oggi non più funzionante, nessuna cronaca documenta la sua funzione astronomica che risulta invece evidente quando il Sole, una volta l’anno, per pochi giorni a cavallo del Solstizio e per pochissimi minuti intorno al mezzogiorno, illumina il segno del Cancro. Per informazioni: 055 265311, info@museogalileo.it