Se avessi suonato il basso, dopo questo concerto lo avrei appeso al chiodo. Devo essere sincera, non avevo mai sentito niente di Ida Nielsen da solista, mi sono avventurata su per la Bolognese fino a Vicchio un po’ per curiosità, per questo concerto del Giotto jazz Festival.
La prima sorpresa è stato il Teatro Giotto: piccolo, accogliente, con una gestione informale, piacevole, distesa. Quando sono arrivata stava suonando un gruppo locale, di cui non faccio nome altrimenti ci dovrei stendere sopra un velo pietoso. Il suono era orrendo, rimbombava e al tempo stesso risultava piatto. Questa era la terza e ultima data italiana di un mini-tour europeo primaverile di Ida Nielsen & The Funkbots. Vengo informata che sono l’unica giornalista presente, a parte Rainews24, che aveva già intervistato Ida, e che ormai era troppo tardi per me. Ok, tanto ero lì per curiosità, s’è detto.
Poi salgono sul palco Ida Nielsen & The Funkbots, una band tutta danese: oltre a Ida, Mika Vandborg alla chitarra e voce, Pat Dorcean alla batteria e Kuku Agami seconda voce. Attaccano i jack agli amplificatori e Ida, con le sue mani dalle lunghe dita affusolate, un sorriso bellissimo, inizia a colpire le corde del suo basso, slappando in modo delicato ma al tempo stesso producendo un suono potentissimo. Il suono è bellissimo, invade il teatro, lo riempie, lo satura, lo avvolge.
Ida Nelsen & The Funkbots son un gruppo senza alcuna pretenziosità, capaci di riversare sui presenti un’energia incommensurabile. Pat alla batteria ha semplicemente una cassa, un rullante e due tamburi, più qualche piatto, un set jazz insomma; Mika strizza le corde della sua Stratocaster tutta sbucciata, le contorce con i suoni che agita dalla pedaliera, così come stira, echeggia, rinforza le voci dalla sua seconda pedaliera; Ida invece suona e canta, sempre sorridente, sta in concerto come se fosse in sala prove con tanti amici presenti, è disinvolta, padrona non solo dello strumento ma di tutta la situazione, e pur muovendosi pochissimo sulle assi del palcoscenico, riesce a creare un’onda dentro i nostri corpi, impossibile non dimenarsi.
È tutto molto basic, non hanno neanche un mixer di palco, e mi è stato detto che non avevano praticamente fatto il sound-check, a parte controllare che tutto funzionasse. La strumentazione è essenziale, ma molto professionale, così come lo sono tutti loro: dei musicisti incredibilmente preparati e immersi nella loro stessa musica in modo collettivo, nessuna primadonna, neanche Ida lo è. Il suono che ne esce è unico e coinvolgente e sconvolgente.
Ida ha gli occhiali scuri, è vestita tutta di nero ma con una spruzzata di glitter sia sugli abiti che nei capelli, e in questa sua semplicità tradisce la sua esperienza di showcase, pur senza necessità di orpelli e spettacolarità. Non hanno neanche un telo di fondo con il logo, niente, puro funk misto a hiphop, reggae, world music, pop, soul. Un’ora e mezzo di musica, dove i brani erano proposti a gruppi di grandi medley. Abbiamo ascoltato, e siamo stati coinvolti nei cori, canzoni dagli ultimi tre album di Ida. Nell’ultimo è presente una canzone dedicata a Prince, che ci ha regalato dal vivo; nessun brano dell’esperienza musicale insieme, perché lei ha spiegato che le risulterebbe troppo doloroso.
Un concerto così non si scorda. Con me erano presenti tanti amici musicisti, anche loro arrampicatisi su per la montagna per vedere come avrebbe suonato dal vivo un’artista che è anche un po’ leggenda, perché con Prince non ci suonava chiunque, la selezione era severissima. E tutti senza parole.
Ida è una bassista e cantante danese, una polistrumentista. È entrata a far parte della band NPG di Prince nel 2010, per poi far parte anche della sua rock band tutta femminile 3rdeyegirl dal 2013, fino alla tragica scomparsa nel 2016 di colui che per lei era anche un amico, oltre che un maestro e un mentore. Ma Ida è anche e soprattutto un’artista solista polistrumentista molto funky, con all’attivo quattro album solisti, dove programma, suona tutti gli strumenti, canta e produce, accogliendo diversi artisti come ospiti speciali. Ida ha basso personalizzato da lei creato, prodotto e commercializzato dalla californiana Sanberg Guitars, un basso creato per suonare il funk.
Dopo il concerto i Funkbots si mescolano tra il pubblico per il djset, e Ida mi lascia entrare nel camerino per un’intervista. Sorride, ancora. È molto rilassata, ha smesso gli occhiali scuri. La prima impressione, e poi anche l’ultima, è di una persona molto gentile, solare, ma al tempo stesso un po’ timida, come appaiono a noi latini gli scandinavi. Sto intervistando la bassista di Prince ma pare una chiacchierata come un’altra, si parla del cibo italiano e del cibo danese, mi lascia la sua email così che le mandi il link all'articolo.
A che età hai iniziato a suonare il basso? Ida “Ho iniziato quando avevo sedici anni. Quando ero bambina ho iniziato con il piano, poi ho suonato la batteria prima del basso”.
All’inizio quali musicisti ti hanno ispirato di più? Ida “All’inizio è stato un ragazzo in una band locale che mi fece pensare - wow! Questo è quello che voglio fare – Poi quando ho iniziato a suonare ho cercato di ascoltare tutti i migliori bassisti”.
Il basso non è uno strumento così comune per una donna … Ida “No, penso di no!”.
Quale musica ascoltavi quando hai iniziato a suonare? Ida “Sono cresciuta nella campagna danese, quando non c’era iTunes e tutta la tecnologia odierna, e allora ascoltavo tutto quello che c’era alla radio. Poi vidi un documentario su Billy Holiday in tv e mi commossi così tanto alla sua storia che iniziai ad ascoltare la sua musica. Poi vidi un altro documentario su James Brown, e pensai – che roba! – comprai alcuni suoi album e lentamente iniziai ad ascoltare sempre più musica funk”.
Hai scoperto di avere una bellissima voce prima di iniziare a suonare? Ida “Da piccola cantavo in un coro dopo la scuola, ma per molti anni ho soltanto suonato e fatto cori. Finché non ho deciso di fare un mio album dopo aver suonato con chiunque in Danimarca, perché io volevo suonare con la tecnica dello slap ma nessuno lo voleva e quindi ho pensato – mi faccio un album mio, ci metto tanto basso a modo mio e non mi importa di cosa pensano gli altri. Che piaccia o no, lo faccio per me stessa. L’ho fatto, e tante cose belle mi sono capitate dopo! È per questo che incoraggio le persone a seguire il proprio cuore perché penso che possa portare solo cose buone. Quando ho fatto quell’album volevo la partecipazione di altri cantanti, ma uno dei tecnici che mixava i demo mi incoraggiò a tenere la mia voce, perché aveva la giusta consistenza per il suono, era diversa e giusta. Ma mi considero una bassista che canta, non una cantante”.
Quando componi la tua musica usi il basso o il piano? Ida “Entrambi, anche la chitarra … dipende dal tipo di brano, se è melodico il piano, se è funk il basso!”
Suoni anche la batteria? C’è così tanto ritmo nei tuoi brani che pare tu conosca molto bene questo strumento... Ida “Certo che suono anche la batteria! La adoro!”
Vivi ancora in Danimarca? Ida “Si, certo. Dopo Prince, sono tornata stabilmente in Danimarca, e dopo essere vissuta del tempo a Copenaghen, da poco sono tornata nella campagna per stare vicino ai miei genitori”.
Come hai trovato questi fantastici musicisti che ti accompagnano? Sono bravissimi, hanno un sound potente, e sebbene tu sia la leader del gruppo, sul palco siete una cosa sola. Ida “Conosco Pat, il batterista, da moltissimi anni perché ho fatto un tour insieme a lui con una band belga chiamata Zap Mama. Quando decisi di fare il mio primo album solista, volli lui alla batteria, perché era il miglior batterista con cui avessi mai suonato. Abbiamo poi suonato insieme per due anni, ma fui chiamata da Prince e non ho più suonato con lui per sette anni.
Quando sono tornata in Danimarca ci siamo ritrovati, era come essere a casa, come se il tempo non fosse passato. Di Mika, il chitarrista, conoscevo un amico che volevo con me. Avevano una band insieme con tanta chitarra. Lui non poteva accettare e mi propose di prendere Mika; pensai subito che fosse bravo, ma poi mi sono accorta che era assolutamente grandioso. Kuku è un rapper molto conosciuto in Danimarca, ho sempre saputo chi fosse, conosciuto la sua voce. Quando stavo mettendo insieme la band sono andata a un concerto dove lui cantava e ho deciso di chiedergli se voleva unirsi a noi, e lui ne è stato subito entusiasta!”
Dunque nonostante essere stata sei anni negli Stati Uniti, non hai mai perso i contatti con la scena musicale danese? Ida “In verità anche durante quegli anni sono sempre andata e venuta tra Stati Uniti e Danimarca, non ho mai staccato del tutto”.
Non voglio chiederti dell’esperienza con Prince, a meno che tu stessa non me ne voglia parlare. Ho capito da quello che hai detto al concerto che per te la sua scomparsa è stata molto dolorosa, ne soffri profondamente. Ma quanto sei stata influenzata da lui, e quanto hai potuto mettere di te nella sua musica? Ida “Molto influenzata. Lavorare con lui era fantastico. A volte voleva le cose fatte esattamente come le aveva pensate, altre volte mi lasciava mano libera, suonare quello che volevo, e se gli piaceva lo teneva, altrimenti mi diceva – no, grazie -. Ho imparato moltissimo da lui, era incredibile, come musicista e come persona. Mi ha insegnato a essere sempre gentile, ad avere il cuore sempre aperto, e di fregarmene delle etichette”.
Articolo e foto - Francesca Cecconi