Zingaretti, De Francovich e la compagnia incontrano il pubblico

Luca Zingaretti, Massimo De Francovich e la compagnia incontrano il pubblico al Teatro della Pergola. Ingresso libero, coordina Riccardo Ventrella

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
31 gennaio 2013 14:29
Zingaretti, De Francovich e la compagnia incontrano il pubblico

Luca Zingaretti, nella divisa del maggiore statunitense Arnold e Massimo De Francovich nel ruolo del direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, sono i protagonisti di La torre d’avorio (in originale Taking Sides), un’opera nella quale il britannico Ronald Harwood (premio Oscar per la sceneggiatura di Il pianista di Roman Polansky, autore e sceneggiatore di Quartet nelle sale in questi giorni), porta sulla scena il rebus morale dell’autonomia dell’arte di fronte alla politica. Luca Zingaretti, non solo interprete ma regista, riporta in scena la controversa e affascinante storia del grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler insieme a Massimo de Francovich, Peppino Mazzotta, Gianluigi Fogacci, Elena Arvigo e Caterina Gramaglia. Wilhelm Furtwängler (1886 – 1954) fu il più grande direttore d’orchestra della sua generazione, accanto al quale si può accostare soltanto Arturo Toscanini. Era all’apice della carriera quando Adolf Hitler diventò Cancelliere della Germania nel 1933.

Molti dei suoi colleghi, in quanto ebrei, furono costretti a emigrare; altri, non ebrei, avversari del regime, scelsero l’esilio come atto di protesta. Furtwängler decise di restare; di conseguenza fu accusato di avere servito il Nazismo. Questa fu ed è ancora l’accusa principale che gli venne rivolta. Nel 1946 si presentò davanti al Tribunale di Denazificazione a Berlino, gestito dai suoi compatrioti tedeschi che lo interrogarono per due giorni. Fu assolto da tutte le imputazioni ma non riuscì a mondarsi del tutto da quel tanfo di nazismo che resta ancora attaccato al suo ricordo. Le prove di quel Tribunale erano state preparate in prima istanza dagli inglesi, quindi sostituiti da due gruppi americani, uno a Wiesbaden, che assistette Furtwängler per la sua difesa, l’altro a Berlino, che si incaricò di rintracciare gli elementi contro di lui. Poco o niente si conosce dei motivi e dei metodi di questo secondo gruppo, che è al centro di La torre d’avorio.

Rimane tuttavia innegabile il fatto che Furtwängler venne umiliato, aggredito con accanimento, e che dopo l’assoluzione sui giornali americani comparvero su di lui notizie erronee. La cosa può essere stata giustificata o meno. Tutto dipende da dove ciascuno si schiera. Fino a domenica 3 febbraio 2013 Zocotoco srl Luca Zingaretti Massimo De Francovich LA TORRE D’AVORIO di Ronald Harwood traduzione Masolino d’Amico con Peppino Mazzotta e con Gianluigi Fogacci, Elena Arvigo, Caterina Gramaglia Personaggi e interpreti in ordine di apparizione Il Maggiore Steve Arnold Luca Zingaretti Emmi Straube Caterina Gramaglia Tenente David Wills Peppino Mazzotta Helmuth Rode Gianluigi Fogacci Tamara Sachs Elena Arvigo Wilhelm Furtwängler Massimo De Francovich scene Andrè Benaim costumi Chiara Ferrantini luci Pasquale Mari regia Luca Zingaretti “La commedia – scrive Masolino d’Amico che ha curato la traduzione del testo - debuttò a Londra nel 1995 per la regia di Harold Pinter e fu ripresa a New York e in molte altre città.

Il titolo originale, Taking sides, significa letteralmente “schierarsi”: non un gran che in italiano, meglio comunque di quello appioppato al film di Istvan Szabò del 2001 (con Harvey Keitel e Stellan Skarsgard), A torto o a ragione. Proponendo di renderlo come La torre d’avorio si è voluto alludere alla condizione di orgoglioso isolamento che l’artista crede, forse a torto, di potersi permettere sempre.” Berlino 1946. È il momento di regolare i conti e la cosiddetta denazificazione – la caccia ai sostenitori del caduto regime – è in pieno svolgimento.

Gli alleati hanno bisogno di prede illustri, di casi esemplari che diano risonanza all’iniziativa. Viene così convocato, nel quadro di una indagine sulla sua presunta collaborazione con la dittatura, il più illustre esponente dell’alta cultura tedesca, vale a dire il direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, universalmente acclamato accanto a Toscanini come il maggiore della prima metà del secolo. Furtwängler non era stato nazista e anzi non aveva nascosto di detestare le politiche del Terzo Reich; era anche riuscito a non prendere mai la tessera del partito.

Ma nel buio periodo dell’esodo di molti illustri intellettuali che avevano preferito trasferirsi all’estero piuttosto che continuare a lavorare in condizioni opprimenti, era rimasto in patria, e aveva svolto la sua attività in condizioni privilegiate. Aveva scelto, in tempi durissimi, di tenere accesa la fiaccola dell’arte e della cultura, convinto che questa non abbia connotazione politica; e aveva sfruttato il suo prestigio per aiutare, all’occorrenza, persone perseguitate o emarginate.

Si era anche scaricato la coscienza barcamenandosi per esibirsi nel minor numero possibile di occasioni ufficiali; pur di non stringere la mano a Hitler, in una occasione famosa e fotografata, aveva fatto in modo di continuare a impugnare la bacchetta con la destra. Dai suoi compatrioti, quasi tutti melomani, era sempre stato venerato alla stregua di una divinità super partes e anche dopo la fine della guerra nessun tedesco si era sentito di addebitargli alcunché. Ma ecco ora che i vincitori vogliono vederci chiaro, e se possibile far crollare anche questo superstite mito della superiorità germanica.

Consapevoli del fascino che il grande artista esercita su tante persone, essi affidano l’indagine a un uomo che dà ogni garanzia di esserne immune: un maggiore dell’esercito che detesta la musica classica, venditore di polizze assicurative nella vita civile e quindi molto sospettoso nei confronti del prossimo; un plebeo che disprezza le sdolcinatezze borghesi; un giustiziere sacrosantamente indignato dalle ingiustizie e dalle atrocità che ha visto perpetrare in questa corrottissima zona dell’Europa; soprattutto, un americano convinto nell’eguaglianza di tutti gli uomini sia nei diritti sia nelle responsabilità. “Ronald Harwood – prosegue Masolino D’Amico - l’autore di “Servo di Scena”, ma poi anche di numerosi altri testi teatrali, letterari e cinematografici (uno dei quali, la sceneggiatura del “Pianista” di Roman Polanski, premiato con l’Oscar) è contemporaneamente ebreo, appassionato di musica (ha scritto una commedia su Mahler, un romanzo su César Franck) e sudafricano: in grado quindi sia di guardare il contegno di Furtwängler con gli occhi critici di una delle vittime, sia la tracotanza del filisteo maggiore Arnold con quelli di qualcuno per cui l’arte sia un bene supremo e irrinunciabile, sia l’atteggiamento dei vincitori dalla prospettiva di uno di loro ma che non è coinvolto come loro.

Lo scontro tra due avversari così diversi e così poco disposti a capirsi – soprattutto, ciascuno dei quali è convinto delle proprie ragioni - offre teatralmente quello che nella boxe è considerato il match ideale, tra il picchiatore e lo schermidore; tra coloro che assistono, variamente coinvolti, paio offrono testimonianze ambigue, che potrebbero andare sia a carico sia a discarico dell’imputato. Del resto l’episodio è storico, all’epoca Furtwängler fu veramente indagato e in qualche misura umiliato, e se le accuse poi caddero la sua immagine pubblica non recuperò più del tutto la limpidezza di una volta.

Il suo caso suscita interrogativi che nessuna formula sembra aver risolto ancora oggi, e assai modernamente l’autore non propone risposte, ma sollecita ogni spettatore a dare la sua. Con un regime infame non si deve collaborare, questo è ovvio. Ma svolgere un’attività artistica equivale a collaborare? Per qualcuno, sì: si contribuisce a dare un’immagine positiva di un Paese che invece è marcio. Per qualcun altro, no: se mostri l’arte, la bellezza, ai tuoi concittadini per quanto oppressi, aiuti a tener vivo in loro qualcosa che un giorno potrebbe aiutarli a riprendersi.

In molti casi la questione può essere risolta dalla coscienza individuale: se non voglio i soldi, mettiamo, di quel tale editore le cui posizioni politiche non condivido, posso pubblicare con qualcun altro. Ma quando si tratta di un personaggio così rappresentativo, che le sue scelte costituiscono un esempio per tutti?” Orario spettacoli: dal martedì al sabato: ore 20.45, domenica: ore 15.45. Prezzi biglietti interi: Platea: € 27 + € 3 (diritto di prevendita) € 30, Posto Palco: € 20+ € 2 (diritto di prevendita) € 22, Galleria: € 13,00 + € 2 (diritto di prevendita) € 15

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