A sei mesi dall'alluvione in Lunigiana e Val di Vara, cosa è stato fatto?

Venerdì 11 maggio incontro e conferenza stampa a Mulazzo (Ms) per fare il punto della situazione nelle zone colpite dal disastro "annunciato" del 25 e 26 ottobre 2011 quando la pioggia ed errori ed orrori urbanistici provocarono morti e distruzione

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
07 maggio 2012 14:53
A sei mesi dall'alluvione in Lunigiana e Val di Vara, cosa è stato fatto?

"Sono passati sei mesi e se le macerie sono state fatte sparire e non testimoniano più il prevedibile disastro dell’ottobre scorso, certo è che oggi un evento di pioggia come quello porterebbe di nuovo morte e distruzione". E’ proprio per non dimenticare che l'Ordine dei Geologi della Toscana e quello della Liguria tornano ad Aulla, Arpiola, Mulazzo, Montereggio, Castegnetoli, Brugnato, luoghi dove i 542 mm di pioggia che in 6 ore si sono riversati a cavallo delle provincie di Massa Carrara e della Spezia, hanno provocato veri drammi non ancora risolti.

Venerdì 11 maggio saranno nella zona della Lunigiana per vedere direttamente la situazione e per accendere di nuovo i riflettori sulla vicenda. «Vogliamo fare in modo che non si dimentichi quello che è successo tra il 25 e il 26 ottobre dello scorso anno», spiega Maria Teresa Fagioli, presidente dell'Ordine dei Geologi della Toscana. «In particolare c'è da notare come da allora spentisi i riflettori dei media, allontanate in fretta salme, macerie e detriti, sovra tassata la benzina toscana “pro alluvionati” non si vede traccia di interventi strutturali che prevengano il ripetersi, alla prossima pioggia, dei lutti e dei danni dell’anno scorso.

Ma l’'evento metereologico di ottobre ha, soprattutto evidenziato come non si possa continuare ad agire soltanto in situazioni di emergenza, a danno avvenuto. «La Protezione Civile Toscana – continua Fagioli – ha funzionato molto bene, ma quello che serve è la prevenzione civile. Quanto successo ha messo in luce l’ignoranza, quando non il disprezzo, delle caratteristiche e delle dinamiche naturali del territorio da parte di chi progettò e/o consentì certe scelte. Ha evidenziato i risultati di una manutenzione del territorio insufficiente, quando non del tutto assente, del come e del dove si è scelto di costruire (stendiamo un pietoso velo sul perché).

Dobbiamo iniziare a lavorare per prevenire le emergenze, i disastri». Ma a sei mesi di distanza tutto è come prima. «Le istituzioni sono molto lente nell'intervenire, vuoi per burocrazia vuoi per reperire le risorse necessarie», commenta Francesco Ceccarelli, massese, geologo consigliere dell'Ordine toscano, organizzatore dell'incontro in Lunigiana. «Continuiamo a sentire dai media che è necessaria la prevenzione, segnale che almeno un nostro messaggio è passato, ma non intravvediamo reali scenari esecutivi», dichiara Giovanni Scottoni, presidente dell'Ordine dei Geologi della Liguria, «quali esperti in scienze della terra, riteniamo di poter contribuire in maniera fattiva alla progettazione e programmazione degli interventi necessari, sedendosi a quei tavoli tecnici che riteniamo necessari e non più procrastinabili.

Oltre agli eventi dell’ottobre 2011 nello spezzino dobbiamo ricordare le vittime genovesi del novembre 2011 – la situazione del e nell’intorno dei Rio Ferreggiano è pressoché la medesima dopo oltre sei mesi; che dire poi del tratto terminale del Torrente Chiaravagna a Sestri Ponente o dei pericoli gravissimi che incombono ancora a Casanova nell’entroterra di Varazze disastrati nell’autunno 2010? Sia a Sestri Ponente che a Varazze, e per lungaggini burocratiche e per carenza di denari, non è stato ancora stato fatto alcunché di definitivo per ridurre il rischio di nuove catastrofi. Ci si sente quasi noiosi a ripetere sempre le medesime doglianze – ritengo di primaria importanza che Regione Liguria si doti di un vero Servizio Geologico che ora, a differenza delle regioni confinanti, non abbiamo». «Non ci può essere crescita economica e sociale in un territorio non sicuro, la difesa del suolo deve essere la base di un progetto di rilancio del paese» questo il messaggio lanciato al Governo da Carlo Malgarotto vice presidente dell'Ordine dei Geologi della Liguria, «è assolutamente necessaria una riorganizzazione della normativa in tema di difesa del suolo, definendo le competenze in maniera univoca, risolvendo lo stallo in cui versano le autorità di bacino.

Questa alluvione ha dimostrato che la complessità delle dinamiche geomorfologiche in un bacino non si può ridurre a studi idraulici e catalogazione delle frane, ma deve entrare nei meccanismi di interazione tra versanti e corsi d'acqua, compito della geomorfologia, per definire degli scenari di pericolosità e rischio reali, in questo il ruolo dei geologi è fondamentale». Rischio sostenibile. Quando si parla di difesa del suolo, per il presidente dell'Ordine della Toscana, Maria Teresa Fagioli occorre iniziare a parlare di rischio sostenibile e non di divieti assoluti.

«Dobbiamo avere la consapevolezza che il rischio non è mai eliminabile in maniera assoluta. Ci vuole il coraggio, la volontà politica di decidere trasparentemente, assumendosi le relative responsabilità, quale livello di rischio vogliamo accettare e far accettare alla popolazione. Certo è improbabile che qualcuno continui a costruire nell’alveo di un fiume (almeno spero), ma sono inutili anche vincoli troppo stretti perché comunque non potranno mai essere esaustivi di tutte le casistiche: il proibizionismo urbanistico crea solo mercato per gli abusi, e per i condoni.

Dobbiamo superare la filosofia del divieto assoluto. La norma non calibrata sull’esposizione reale a rischio, inteso come grandezza statistica, definita in maniera trasparente, viene percepita come sopruso e spesso disapplicata o aggirata». Insomma «deve essere ripensata la filosofia della difesa del suolo, su basi più tecnico scientifiche e meno emozionali emergenziali o affaristiche».

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