Pistoia: un secolo d’arte attraverso le collezioni delle Fondazioni bancarie

Un’occasione unica per ammirare circa 200 opere tra dipinti, sculture, disegni e vetri. Un itinerario in città e provincia delle opere realizzate dalla Fondazione di Pistoia in ambito pubblico, tra cui diciannove installazioni permanenti, site-specific

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 maggio 2010 22:54
Pistoia: un secolo d’arte attraverso le collezioni delle Fondazioni bancarie

La Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e la Fondazione di Venezia con la collaborazione del Comune di Pistoia presentano nei prestigiosi spazi espositivi di Palazzo Fabroni a Pistoia, dal 23 maggio al 25 luglio 2010, due mostre che vanno sotto il titolo generale di Arte del XX secolo nelle Collezioni delle Fondazioni Bancarie di Venezia e Pistoia. Questa doppia mostra è l’occasione per confermare il ruolo fondamentale delle fondazioni bancarie nella conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico italiano. 1910-2010: UN SECOLO D'ARTE A PISTOIA.

Opere dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, a cura di Lara-Vinca Masini, presenta una selezione di circa novanta opere della collezione della Fondazione, mai viste prima d’ora in pubblico, iniziata quando l’attività filantropica e creditizia facevano entrambe capo all’omonimo istituto bancario. Opere che coprono un arco di tempo che va dagli inizi del Novecento ai giorni nostri con le ultime generazioni. Artisti, molti dei quali entrati a far parte della storia dell’arte italiana del Novecento, tra cui Marino Marini, Andrea Lippi, Mario Nannini, Galileo Chini, Giovanni Michelucci, Giulio Innocenti, Pietro Bugiani Agenore Fabbri, Gualtieri Nativi, Mario Nigro,Sigfrido Bartolini, Fernando Melani, Roberto Barni, Umberto Buscioni, Gianni Ruffi.

Una mostra che è dunque l’occasione per riscoprire un periodo e una parte della cultura artistica del Novecento. Un affresco appassionante e avvincente con capolavori, per citarne alcuni, come i ritratti dei giovani Marino Marini (1926) e Dino Campana (1909?) di Giovanni Costetti: “Riuscito a fare di questo ‘povero disgraziato’ un eroe vagabondo e audace”, come scrive Lara-Vinca Masini, identificando in questa opera il grande poeta; la Scomposizione di figura (1916-17) cubofuturista di Mario Nannini; la Madonna col Manto rosso (1931) di Pietro Bugiani, sintesi della lezione di Giotto, Piero della Francesca, Matisse e dei Nabis; il commovente Nudo di fanciullo di Marino Marini.

Completa l’esposizione un itinerario in città e provincia con opere che la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia ha interamente finanziato o contribuito in maniera determinante a realizzare in ambito pubblico: Cavaliere, scultura in bronzo di Marino Marini per il Palazzo del Tau a Pistoia, le vetrate di Sigfrido Bartolini e Umberto Buscioni per le chiese di San Paolo e dell’Immacolata Concezione a Pistoia, diciannove installazioni permanenti site-specific per spazi pubblici di artisti del calibro di Anselm Kiefer, Daniel Buren, Marco Bagnoli, Pol Bury, Fabrizio Corneli, Vittorio Corsini, Dani Karavan, Sol Lewitt, Robert Morris, Maurizio Nannucci, Hidetoshi Nagasawa, Claudio Parmiggiani, Anne a Patric Poirier, Susuma Shingu e Gianni Ruffi.

VENEZIA E IL SECOLO DELLA BIENNALE. Dipinti, vetri e fotografie dalla Collezione della Fondazione di Venezia, a cura di Enzo Di Martino, che segue le mostre precedenti di Palermo, Verona e Roma, rappresenta un’occasione unica per ammirare un’importante collezione, quella della Fondazione di Venezia, raramente accessibile al pubblico ed approfondire le vicende artistiche legate alla Biennale di Venezia che hanno segnato il secolo scorso. Una storia ricca di avvenimenti artistici, polemiche culturali, mutamenti politici e perfino scandali clamorosi.

A partire dalla fondazione, avvenuta nel 1895, la grande istituzione veneziana fu in grado di coinvolgere ad ogni edizione oltre 70 Paesi stranieri, passando per il “rumoroso” arrivo nel 1910 dei Futuristi a Venezia, l’opaco periodo tra le due guerre, la clamorosa riapertura nel 1948, l’esplosione della Pop Art americana nel 1964, la contestazione del 1968, il rinnovo statutario del 1973, fino agli eventi dei giorni nostri. Una storia documentata da quaranta dipinti, selezionati da un corpus di circa 300 opere, tra i quali spiccano opere di Boccioni e i Ciardi, De Pisis e Carena, Casorati e Depero, Cagnaccio di San Pietro e Marussig, Vedova e Santomaso, Pizzinato, Tancredi, Plessi, Virgilio Guidi e Gino Rossi.

Il percorso espositivo comprende anche trentasei vetri di Murano, parte di una collezione di 127, acquisiti nello storico padiglione Venezia, tra i quali troviamo, oltre quelli di maestri vetrai leggendari, i nomi di prestigiosi artisti e designers quali Tapio Wirkkala, Carlo Scarpa e Paolo Venini. Ad aprire la mostra una selezione di fotografie dei maggiori protagonisti dell’arte del XX secolo, spesso ritratti al lavoro durante l’allestimento del loro spazio alla Biennale, che provengono dall’archivio del fotografo Graziano Arici e dall’archivio De Maria della Fondazione di Venezia. In ogni edizione della Biennale sono stati presenti numerosi artisti veneziani e veneti, che hanno partecipato con opere assolutamente puntuali e rispondenti allo spirito del proprio tempo.

In tal senso ci troviamo di fronte ad un vero e proprio patrimonio storico-artistico, che vuole celebrare nello stesso tempo il valore culturale degli artisti e la cornice entro cui essi furono presentati. È importante notare le diverse ricerche linguistiche, l’evoluzione sperimentale di forme che si adeguano allo stile della loro epoca. Se la Biennale di Venezia ha infatti presentato nel corso della propria storia la ricerca in atto a livello internazionale, ecco ben documentato come la presenza degli artisti veneziani sia assolutamente pertinente e capace di sostenere un dialogo con artisti di paesi diversi.

La Fondazione di Venezia raccoglie l’eredità collezionistica della Cassa di Risparmio di Venezia che a cavallo tra Ottocento e Novecento fu uno dei soggetti promotori della manifestazione veneziana, rivelando spirito di rinnovamento e riuscendo a tessere contatti con gli artisti più significativi nell'ambiente italiano. La mostra 1910-2010: UN SECOLO D'ARTE A PISTOIA prende le mosse dalle PRIME AVANGUARDIE a Pistoia con Andrea Lippi e Mario Nannini le cui opere rappresentano un’uscita dalle regole di un mondo, che pur essendo al corrente di quanto avveniva in Italia e all’estero, resta legato alla natura e alla figurazione colta.

Se Lippi esporrà, prima di morire giovanissimo, alle Biennali di Venezia del 1912 e del 1914, Nannini si misurerà con le avanguardie e con l’esperienza futurista e in pochi anni raggiungerà una tale maturità da trovare confronti solo con i modelli nazionali di Balla e Boccioni e un certo cubofuturismo internazionale. Anche a Pistoia, come a Firenze, sono gli anni delle riviste che contribuiscono a creare un’animata vita culturale, avvicinando alla città personaggi decisivi nel creare un’unione tra gli artisti in nome di programmi e ideologie, come Giovanni Costetti, Galileo Chini e Giovanni Michelucci che avrà un ruolo fondamentale per i giovani artisti suoi contemporanei.

IL PRIMO NOVECENTO NELL’ARTE A PISTOIA è rappresentato da artisti come Francesco Chiappelli, dal cui lavoro si rafforza in Toscana il grande interesse per la grafica, Renzo Agostini con i suoi lavori di un “primitivismo quasi infantile, ma di una straordinaria freschezza”, Pietro Bugiani, che più incarna il carattere della pittura a Pistoia tra la metà degli anni Venti e Quaranta, portandola ai massimi livelli. Infine Marino Marini, Agenore Fabbri, Mario Nigro e Gualtiero Nativi che pur essendo nati a Pistoia e rimanendovi fortemente legati, svolsero la maggior parte della loro vita artistica fuori dalla città.

Seguono le opere di quella che è stata definita “la generazione di mezzo”, dove i contrasti si fanno evidenti tra chi rimane fedele al figurativo e chi si apre verso le nuove avanguardie. Da un lato dunque personalità come Sigfrido Bartolini, colto e agguerrito critico oltre che pittore e incisore, che non indugia su nessun senso di nostalgia ma punta su una visione chiara e intensa del reale, dall’altra parte artisti come Fernando Melani - un “unicum” straordinario nel panorama artistico contemporaneo - che anticipa nel suo continuo riferimento alla forza e all’energia insita nella materia, uno dei più forti contenuti dall’Arte povera e per certi aspetti il “progetto” di Beuys e del concettualismo.

A metà degli anni Sessanta, Remo Gordigiani, costretto ad abbandonare la pittura a causa di una grave malattia, si inventa un nuovo modo di “fare pittura”, con uno straordinario e personale uso del collage. Col gruppo Barni, Buscioni e Ruffi, inizialmente comprendente anche Natalini, la cosiddetta “Scuola di Pistoia”, siamo in pieno rapporto con la cultura internazionale contemporanea, dalla metà degli anni Cinquanta incentrata sulla Pop Art americana, seguono Massimo Biagi ed Andrea Dami.

Infine due giovani artisti, Federico Gori e Zoè Gruni, esempi del “fare arte” contemporaneo, in linea con le manifestazioni artistiche internazionali ma con un proprio e profondo linguaggio personale.

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