Giorno della memoria: le Chiavi della città ad Amos Oz

L’intervento dello scrittore israeliano al Mandela Forum per il Giorno della memoria. Medaglie d'onore agli ex deportati fiorentini. Alla cerimonia in Palazzo Vecchio erano presenti il primo cittadino Renzi e i consiglieri Agostini e Spini

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
27 gennaio 2010 22:03
Giorno della memoria: le Chiavi della città ad Amos Oz

«Il male non è mai banale. Non credete dunque alla banalità del male. Ciascuno sa cos’è il dolore, anche un bambino di tre anni. E se fa del male a qualcuno è consapevole del male che procura». E’ stato il grande scrittore israeliano Amos Oz a chiudere la mattinata del Giorno della Memoria e a lanciare alle migliaia di studenti riuniti al Pala Mandela di Firenze un grande messaggio. «Vi propongo di fare un patto di ferro – ha detto - non fate mai male a nessuno. La vostra generazione mi dà una grande speranza.

Avete tre meravigliosi patrimoni da tutelare saldamente e tenere cari: la pazienza, la curiosità e il senso dell’umorismo. Non ho mai visto un fanatico con il senso dell’umorismo né un uomo con il senso dell’umorismo diventare fanatico. Il senso dell’umorismo è il nos tro vaccino contro il male. Una persona curiosa, paziente e che sa ridere di sé non manderà mai nessuno alla camera a gas». Pochi minuti dopo lo scrosciante applauso dei giovani, il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha consegnato all’intellettuale le chiavi della città di Firenze.

«Da una città paziente, curiosa e con il senso dell’umorismo - ha commentato il primo cittadino porgendo l’omaggio a Oz –. Ragazzi, oggi la Regione vi ha fatto un grande regalo, siatene degni e portatelo con speranza». Un 97enne pieno di humour e di energia che raccomanda alla folla di studenti toscani del Palamandela «ragazzi non lasciatevi infinocchiare: studiate, studiate, studiate». E a loro affida il racconto di «cose poco note», a partire dalla vicenda della minoranza slovena a Trieste, cancellata, annientata dal fascismo.

Nel Giorno della memoria c’è lo scrittore Boris Pahor ad ottemperare al “dovere di ricordare” dal grande palco centrale. «Avevo sette anni – inizia a raccontare - quando, insieme alla mia sorellina che ne aveva quattro vidi dare alle fiamme a Trieste la casa della cultura slovena e altri edifici vicini. Era il 1920. Lì il fascismo è arrivato prima, è il fascismo “barbaro”, avallato e incitato da Mussolini e coincide con il razzismo antislavo. Inizia così la cancel lazione di una minoranza.

Vengono chiuse le scuole slovene, proibiti giornali e libri, italianizzati i nostri nomi e cognomi. Noi scompariamo, non ci siamo più. Dal giornale “Il popolo d’Italia” veniamo definiti cimici, perché come le cimici siamo un popolo senza nazionalità. E Mussolini dà l’ordine di far fuori tutti i maschi di questa “genia”. Crimini di guerra insabbiati che pongono una questione fascista prima di quella nazista». La testimonianza di Boris Pahor affronta poi capitoli successivi, quelli della “macelleria politica” della Risiera di San Sabba a Trieste, con corpi appesi ai ganci come bestie, e quelli della deportazione nei campi dei “politici”, che avevano come marchio il triangolo rosso – descritti nel suo libro “Necropoli” - dove “dovevamo lavorare anche se malati o feriti o sfiniti, fino al momento in cui si passava alla “posizione orizzontale”, alla morte.

Dopo l’8 settembre 1943 paesi interi, bambini, donne, lattanti, vecchi vengono mandati al lavoro coatto. «Il mio primo campo – ricorda ancora Pahor – fu in Alsazia. Era fatto a terrazze. In alto c’era la forca e in basso il forno crematorio che bruciava giorno e notte, soprattutto quando aumentavano i casi di diarrea tra i deportati. E le fiamme a forma di tulipano che si alzavano dal forno mi ricordavano quell’incendio della mia infanzia a Trieste che aveva acceso il terrore dittatoriale che aveva poi contaminato l’Europa». «State attenti, ragazzi e ragazze – ha concluso lo scrittore triestino – e ricordatevi che c’è una sola forma di salvezza per il mondo di domani.

Qual è? E’ l’amore». Dopo Pahor, la parola – via video – è passata al Imre Kertesz, premio Nobel per la letteratura nel 2002: «Ad Auschwitz – ha detto lo scrittore ungherese, autore di “Essere senza destino”, nelle sue affascinanti riflessioni - collabori con il potere che ha l’obiettivo di ucciderti. Per sopravvivere conosci i meccanismi dello sterminio che poi neghi. Con le fiamme che uscivano dal camino dei forni crematori, al posto della cultura europea si è creato il vuoto totale, il vuoto di valori che ha prodotto lo sterminio.

E’ questo il problema universale posto da Auschwitz» Stamani il sindaco Matteo Renzi, intervenendo all’evento “Banalità del male”, organizzato dalla Regione Toscana al Mandela Forum per la celebrazione del “Giorno della memoria”, ha consegnato le Chiavi della città allo scrittore israeliano Amos Oz. All'iniziativa hanno partecipato ospiti e testimoni delle persecuzioni naziste e 9.000 studenti delle scuole superiori toscane. E proprio a questi ultimi il primo cittadino fiorentino si è rivolto con una raccomandazione: “Siate degni del regalo che vi ha fatto la Regione con questa splendida mattinata.

Voi siete la nostra speranza e della speranza abbiamo sempre bisogno”. Prima di incontrare Amos Oz, il sindaco Renzi ha consegnato le medaglie d’onore, concesse dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a ex deportati e internati fiorentini nei lager nazisti e ai familiari dei deceduti. Alla cerimonia, che si è svolta in Sala di Lorenzo a Palazzo Vecchio, erano presenti anche i consiglieri comunali Susanna Agostini, presidente della Commissione pace, e Valdo Spini, presidente della Commissione affari istituzionali. “La giornata di oggi ricorda una pagina drammatica della nostra storia - ha detto Renzi -.

Quando ero presidente della Provincia, nel 2008 e nel 2009, abbiamo organizzato il ‘Volo della Memoria’, un viaggio studio nei campi di concentramento e sterminio nazisti rivolto agli studenti fiorentini. Insieme a un gruppo di ragazzi accompagnati dalle loro insegnanti e da Nedo Fiano, fiorentino, ex deportato, ho visitato il campo di concentramento di Auschwitz. Vi confesso che è stato particolarmente duro entrare in quel luogo di cui oggi ricordiamo il 65° anniversario dell’abbattimento dei cancelli.

Contemporaneamente, però, è stato uno dei momenti più belli della mia esperienza politica ed educativa”. “Il valore profondo del ‘Giorno della memoria’ - ha aggiunto il sindaco -, negli intendimenti delle Nazioni Unite, del presidente Repubblica, del Governo italiano e di tutte le Istituzioni è non soltanto limitarsi al ricordo, ma offrire un’occasione concreta perché ciò che è accaduto non avvenga mai più”. Le medaglie d’onore sono state consegnate ad Alfio Andreini, Adriano Bellatti, Leonardo Calossi, Lino Cristini, Dino Farsini, Silvano Favilla, Giuliano Foraboschi, Vincenzo Martini, Arturo Perruccio, ai familiari di Natale Borsetti, Renato Fanfani, Ezio Fredducci, Gino Guercini, Giuliano Mascalchi, Guido Rossi, Giacomo Vicenzo.

I riconoscimenti saranno consegnati anche a Paolo Pogliani e ai familiari di Onorio Palli, che oggi non erano presenti in Palazzo Vecchio. «E’ importante far riflettere i ragazzi delle scuole tutto l’anno, e non solo il 27 gennaio, sul tema dello sterminio degli ebrei e della memoria storica, attraverso una vasta gamma di possibili linguaggi, da quello poetico, a quello cinematografico, a quelli drammaturgico, letterario, giornalistico, musicale, grafico e multimediale». Lo ha detto l’assessore all’educazione Rosa Maria Di Giorgi che oggi, al Mandela Forum, in occasione del ‘Giorno della Memoria’, ha partecipato ad una mattinata di riflessioni, memorie, testimonianze intitolata ‘La banalità del male’. Al Mandela erano presenti circa 9mila studenti toscani, dei quali 800 provenienti dalle scuole fiorentine.

«E’ un modo per educare a non dimenticare – ha proseguito Rosa Maria Di Giorgi – per far diventare i nostri ragazzi testimoni consapevoli di un orrore che non deve essere celato. Proprio per non spazzare via dalla memoria la triste pagina della Shoa, la macchia nera della storia occidentale che coincise con l’Olocausto di sei milioni di ebrei, bisogna educare quotidianamente le giovani generazioni». «Grazie a questa iniziativa – ha rilevato l’assessore all’educazione – hanno avuto una lezione indimenticabile, qualcosa che si può apprendere solo così, sentendo la diretta voce di donne e uomini deportati.

Particolarmente commovente è stata la testimonianza delle due sorelle, Tatiana e Andra Bucci, deportate a Birkenau. Esistono biblioteche intere di libri sull’Olocausto ma nessun libro può sostituire il contatto fisico con chi ha visto e subito questa tragedia. Questa mattina sono stati seminati semi che dovranno germinare nelle coscienze dei nostri giovani. E’ un albero che dovrà crescere lungo tutto la loro vita perché ciascuno impedisca che il male totale, come è stato l’Olocausto, possa riaffermarsi». Al termine dell’iniziativa l’assessore Di Giorgi ha incontrato l’attore teatrale, cantante e compositore Moni Ovadia, che ha ideato e narrato ‘Il dovere di ricordare.

Riflessioni sulla Shoah’, un dvd al quale hanno partecipato numerose personalità del mondo della cultura e dello spettacolo tra cui Antonio Albanese, Nicoletta Braschi, Lorenzo Cherubini, Luciano Ligabue, Luciana Littizzetto, Shel Shapiro, presente sul palco del Mandela con Ovadia. «Lo coinvolgeremo in una serie di iniziative con le scuole della città» ha annunciato l’assessore. “Siamo convinti che l’antidoto utile a vaccinare le giovani generazioni contro il virus della violenza e della sopraffazione non è ancora stato scoperto.

La banalità del male, un titolo semplice, che fa riflettere, un’opportunità per riparlare dei fatti dell’epoca. Sono dieci anni che ogni 27 gennaio rivisitiamo gli aspetti più profondi della memoria collettiva. Gettiamo lo sguardo sulla visione dell’orrore, delle guerre, della sopraffazione dell’uomo sull’uomo". Lo ha detto la presidente della commissione pace Susanna Agostini (PD) che stamani era presente al mandale Forum per le iniziative in occasione del Giorno della memoria.

"E’ complesso - ha aggiunto Agostini- promuovere la visione di una moderna cultura dei diritti universali, l’unica cultura capace di offrire una prospettiva di sviluppo e di pace nel mondo globalizzato. Lo sforzo del Comune di Firenze, è stato anche di voler dare voce ai testimoni diretti di allora. Persone che hanno visto intorno a sé morire tanti compagni di sventura. Come Mario Piccioli, autore di un libro – testimonianza, pubblicato dalla stessa commissione Pace nel 2004. Inoltre abbiamo voluto sigillare, con la stipula di un “Patto della memoria” tra la nostra Città ed il Comune di Mauthausen, la storia vissuta dai fiorentini deportati in quel campo di concentramento, ma anche dell’aiuto solidale della popolazione locale al momento dell’apertura dei cancelli.

Un Patto di vera fratellanza. Un patto sottoscritto con i rappresentanti istituzionali di quella città nel cui campo di sterminio, l’8 marzo del 1944, furono deportati 938 fiorentini. Oggi - ha aggiunto Susanna Agostini – vogliamo ricordare questa deportazione, che appartiene alla storia di Firenze. Raccontata e sottoscritta da rappresentanti dell’ANED di Firenze e dell’associazione deportati austriaci. Il Patto e il libro di Mario Piccioli sono strumenti per approfondire la conoscenza dei crimini compiuti dai nazi-fascisti, misfatti che restano una delle pagine più terribili della nostra storia.

E’ un impegno assunto nei confronti delle famiglie dei fiorentini deportati. Che ogni otto marzo si ritrovano, a ranghi sempre più ridotti in piazza Santa Maria Novella, a ricordare insieme quel giorno terribile del 1944. Persone che sessantasei anni fa furono allontanati dalle loro case, dai loro affetti, ghettizzati, maltrattati e denutriti fino alla morte. La legge 211/00, da dieci anni consente di avere un giorno da dedicare alla comune memoria. Il 27 gennaio, quando furono abbattuti i cancelli di Auschwitz, la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione di donne e uomini, così come di bambini, ebrei, politici, sindacalisti, gay e rom.

Oltre a questo giorno della memoria, vanno aggiunti con tenacia molti altri giorni perchè è necessario parlare a giovani e proseguire ad accompagnare i superstiti e i familiari dei deportati. Insieme a loro, ogni anno partiamo da Firenze e andiamo sui luoghi del dramma subito. E familiari, rappresentanti delle istituzioni, insieme a insegnanti e studenti, continueremo ad entrare nelle stanze delle torture, nelle camere a gas, vedere le montagne di scarpe, di effetti personali. Continueremo ad ascoltare le voci incrinate di persone, allora giovanissime, che ancora seguitano a raccontare quello che hanno vissuto, con un solo scopo: non lasciare che nel futuro non diventi soltanto una semplice commemorazione del passato.”

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