Saharawi: un'amicizia digitale tra la Toscana e il deserto

E' in corso in queste settimane il programma annuale di ospitalità di bimbi del Sahara Occidentale in diversi comuni fiorentini. I bambini soggiornano presso case di volontari

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
02 agosto 2009 23:27
Saharawi: un'amicizia digitale tra la Toscana e il deserto

“A Dakhla non c’è nulla, solo sole e sabbia” è così che Aleandro Pini, pensionato di Ponte a Ema, da due mesi tornato dal Saharawi, comincia il racconto del suo viaggio, “Sapete? I dischetti dei computer si bucano per il sale! Quando apro i PC li trovo pieni di sabbia, che si infiltra dappertutto: come le persone, che hanno tutte problemi alla vista, la maggior parte la cataratta ed è colpa del sale e della sabbia!”. Aleandro due volte l’anno, grazie Associazione Saharawi di Sesto Fiorentino, che lo sostiene economicamente, e all’aiuto del Comitato Selma di Greve in Chianti e la Croce d’Oro di Ponte a Ema, da anni, parte volontario per l’Algeria o per il Marocco, carico di computer e componenti informatici e visita tutti gli accampamenti Saharawi per portare i suoi pezzi di ricambio, i computer, nuovi e usati, riparati da lui stesso ed insegnare ai “suoi amici” del Sahara Occidentale come si usa e si ripara un PC, o un portatile, come si naviga in Internet, come si usa Skype.

Aleandro, durante i suoi viaggi, passa da un campo profughi all’altro per controllare i computer istallati l’anno prima, o quello prima ancora, per ripararli, o aggiornarli e aspetta uno, due giorni. Ci crede e aspetta… fino a quando qualcuno si fa avanti e finalmente può cominciare il “vero” lavoro: insegnare ad usare e riparare computer “…per consentire ai profughi di uscire dai confini fisici e viaggiare attraverso la rete, conoscere gente e comunicare col mondo”, non si sa bene in che lingua, o con quali segni misteriosi Aleandro insegni ma ci riesce “io con loro parlo toscanaccio!” Aleandro, grazie alla sua determinazione, semplicità e gioia di vivere, ha molti amici saharawi, “gente semplice, bella e brava, col cuore!”, che non vede l’ora di riincontrare anche quando è appena tornato da un lungo e faticoso viaggio nel deserto.

Proprio in queste settimane è in corso intorno a Firenze l’annuale progetto di gemellaggio che porta in diversi comuni dell’hinterland decine di bambini Saharawi ospiti di altrettante famiglie di volontari. Alendro Pini ci fa incontrare anche He Haibalarosi, accompagnatore della delegazione perché possa dire “la sua” sulla situazione del proprio popolo. He ha 28 anni, è responsabile di 10 bambini, in età compresa tra i 6 ed i 10 anni, qui per trascorrere 2 mesi di vacanze estive, una settimana in una famiglia diversa a Bagno a Ripoli, Impruneta, Greve in Chianti, frequentando la mattina i Centri estivi dei Comuni insieme ai bambini italiani. He è molto timido e riservato, si esprime in uno spagnolo fatto di pochi vocaboli, non vuole parlare di sè, delle emozioni che prova pensando al suo popolo che definisce “esiliato”.

Vuole invece raccontarci come si vive confinati e prigionieri, lontani dalla propria terra, quanto sia dura l’esistenza delle persone e delle famiglie, che non sanno come curare le malattie dei propri figli e spesso non sanno neppure come dargli da mangiare se non arrivano gli aiuti internazionali. Individui senza reddito, a cui è stato tolto tutto, ma non l’identità. Il Sahara Occidentale è un territorio di 266.000 Kmq che si affaccia sull’Oceano Atlantico per circa 1000 chilometri, confina con il Marocco, l’Algeria e la Mauritania.

E' quasi del tutto desertico, ricchissimo di risorse minerarie e di sale, le coste sono molto pescose. I suoi confini sono convenzionali, poiché seguono in parte l'andamento dei paralleli e dei meridiani, tracciati dalle diplomazie europee in seguito alle decisioni della Conferenza di Berlino del 1884/85. Le popolazioni Saharawi sono organizzate da secoli in modo autonomo, con forme proprie di lingua, cultura, politica e organizzazione sociale. Nomadi fino a tempi recenti, da 35 anni sono oggetto di un'attenta sorveglianza da parte delle milizie marocchine, sono confinati in accampamenti ed un muro lungo 2000 Km., alto 7 metri e largo 5, oltre i campi minati (da entrambi i lati del muro), ed i posti di blocco dei militari marocchini (uno ogni Km.), li separano dalla loro terra.

“I Saharawi non possiedono passaporto -spiega He– e per chi lo ottiene ha un valore solo temporaneo: al rientro in Algeria, deve essere consegnato al console saharawi e restituito allo Stato Algerino che lo ha rilasciato. Manca anche un censimento recente della popolazione e molti saharawi non conoscono la propria data di nascita esatta”. 200.000 persone chiedono l’indipendenza e il diritto a tornare nella propria terra, che per mire economiche, per lo sfruttamento della pesca e delle risorse minerarie gli è stata tolta e mai più restituita.

Oggi il popolo saharawi vive di aiuti internazionali, dell’Onu e dell’Unicef, in Algeria e Marocco. Intere famiglie sono divise, alcune dopo la guerra composte da sole donne. Da un anno quasi, è cominciato un programma di visite familiari (gestito dalla MINURSO, la Missione di pace delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale). I profughi vengono accompagnati oltre il muro ed i campi minati per andare a trovare i propri parenti, zii, cugini. Il Polisario (costituito nel maggio del 1973) o Fronte Polisario (Fronte di Liberazione di Saguiat - Al - Hamra e Rio de Oro), promuove una campagna internazinoale a favore del referendum che dovrebbe lasciare ai Saharawi la libertà di scegliere dove vivere (se rimanere sotto il governo del Marocco, oppure tornare indipendenti nel Sahara Occidentale) come unico strumento che possa risolvere la controversia sotto gli auspici delle Nazioni Unite, aggirando l’indifferenza, o le dichiarazioni di impotenza dei governi e svolgendo un lavoro capillare a tutti i livelli della società civile.

“I circa 200.000 Saharawi, dei campi profughi hanno realizzato una delle esperienze politiche e sociali più interessanti del nostro secolo -spiega Aleandro- l’organizzazione di uno Stato in esilio. I rifugiati sono distribuiti in 40 distinte tendopoli, ciascuna delle quali assume ai fini amministrativi il nome e le funzioni di un distretto regionale: El Ayoun, Smara, Dakhla, Ausserd. Ogni distretto è divisa in 6, o 7 province, anch'esse con il nome di una provincia saharawi (daira)”.

In questo modo, attraverso l'organizzazione spaziale dei campi, si ricrea l’identificazione ed il legame con la patria di origine. “Ogni accampamento ha il proprio Governatore, il campo di Rabouni è considerato la capitale -aggiunge He- sede dei Ministeri e del Presidente”. I Saharawi hanno voluto costruire un’organizzazione sociale in cui ognuno svolga un ruolo attivo, dove grande valore hanno gli anziani e soprattutto dove le donne condividono responsabilità a tutti i livelli.

La priorità spetta all’educazione ed alla sanità. Non esiste analfabetismo, il 95% della popolazione è scolarizzato ed esiste, malgrado la totale assenza di materiale sanitario, una diffusa medicina di base. I giovani frequentano le Università in paesi dove viene riconosciuto valido il Carnet della Repubblica Democratica del Saharawi come in Libia e a Cuba. In questo modo si tenta di evitare l’insorgere di meccanismi di attesa passiva, di fatalismo, smobilitazione, corruzione, così comuni nei campi profughi africani.

Il largo margine di autonomia e di iniziativa lasciato ai Comitati di base, ha stimolato l’ingegnosità e la creatività saharawi, che si esplica in attività come il recupero e il riciclaggio di qualunque tipo di materiale e nella creazione di esperimenti agricoli nel deserto. Aleandro Pini ci racconta: “Alcune persone hanno costruito campi proprio nel deserto, serre per la coltivazione di cipolle ed altre verdure, utilizzando l’acqua salata, desalinizzata naturalmente facendo precipitare i cristalli di sale esposti al sole”. L’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU fornisce ogni anno ai campi profughi circa 25.000 tonnellate di aiuti, di cui 7.000 dalla UE; il resto dalla rete di comitati europei di solidarietà.

L'Europa, ultima a fornire ai Saharawi un appoggio politico nelle istanze internazionali, è al primo posto nella solidarietà di base. Esistono comitati nazionali in Svezia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Danimarca, Germania, Francia, Austria, Svizzera, Spagna, Portogallo, Italia e dal 1989 anche un comitato algerino. I comitati italiani di sostegno al popolo Saharawi sono formati essenzialmente da Associazioni. Esiste un coordinamento che fa capo all'Associazione Nazionale di Solidarietà al Popolo Saharawi con sede a Roma cui fanno riferimento i vari comitati regionali (Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia).

Oltre ai bambini che vengono ormai da 6 anni a passare 2 mesi di vacanze in Italia, ci sono gli studenti che perfezionano i loro studi e i malati gravi che sono curati in ospedali specializzati. Inoltre sono stati adottati simbolicamente più di 50 “desaparecidos” Saharawi, spariti nel nulla dal 1975. Nei prossimi giorni He Haibalarosi ripartirà per tornare in Algeria e appena arrivato racconterà a tutti ciò che ha visto in Italia, le case belle, le strade, la quantità di cibo, la libertà di lavorare e guadagnare.

Anche lui vorrebbe avere un posto dove vivere, figli a cui assicurare una vita libera, guarderà quel muro alto 7 metri, il campo minato e penserà a quando anche ai Saharawi sarà concesso di tornare a casa. Miriam Curatolo

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