Brigantaggio: dai monti del Sud alle prigioni toscane

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 marzo 2007 23:51
Brigantaggio: dai monti del Sud alle prigioni toscane

L'interesse poetico del romanziere Vincenzo Labanca, nasce dalla consapevolezza d'essere italiano, dall'esigenza di illustrare a colui che legge i sapori di quella parte d'Italia che sono al centro della sua poesia: la Lucania. E' da questa terra e poi dalle vicende nazionali che lo scrittore, con la convinzione ferrea con la quale scrisse il primo romanzo, tiene a sottolineare e a promuovere un'indagine continua sulla storia. In particolare sul brigantaggio, fenomeno sviluppatosi durante l'unità d'Italia e da sempre controverso e bandito.

In altre parole, nell'ultimo anno da Rivello, piccolo centro del potentino dove Labanca è nato e vive, lo scrittore ha lanciato una proposta ovvia, di grande onestà critica: intitolare le strade in Italia ai briganti. Una proposta che sembra aver riscosso attenzione soprattutto da parte degli storici che, a seguito della disputa, hanno allargato il dibattito anche in campo politico. Il brigantaggio, e lui lo sa bene avendo avuto il trisnonno brigante, non fu solo una reazione regionale, nel tentativo rivoluzionario di cacciare i piemontesi dal regno delle Due Sicilie, ma dai risvolti nazionali.

A cominciare da Carmine Donatelli Crocco che arrestato dallo stato pontificio finì i suoi giorni in Toscana, all'isola d'Elba, nel carcere di Portoferraio. Era da quella finestra, dall'inferriata, che il brigante lucano guardava il mare della Toscana, il Tirreno che, quasi per un gioco del destino, si allunga dalla nostra regione sino alla Calabria, passando da Maratea, dove vicino si trova Rivello.
Da allora, per Vincenzo Labanca, la Toscana è unita, in uno stretto binomio, alle vicissitudini del declino del brigantaggio meridionale.

Un binomio che, in parte, anche se di diversa radice, si può riscontrare nel mito dei briganti maremmani. Anche in Maremma, a causa del latifondismo, si sviluppò un fenomeno del genere. "Il brigantaggio è stata una rivoluzione perduta"- sostiene, parafrasando la disputa che ha promosso. Rivoluzione che si perde nei libri di storia, nelle notti insonne di tanti paesi lucani che in quel tempo furono incendiati, nelle sommosse, nelle sentenze che decretarono morti per eversione. Come suo nonno fucilato per difendere i propri ideali, la sua terra natale, nella piazza del paese.

Questa confessione, quindi, a suo dire ha una duplice valenza: dare il giusto risalto alla polemica che si è diffusa in abito nazionale e ribadire in termini storici l'antico binomio tra le due regioni. Secondo le statistiche i lucani residenti in Toscana sono molti, a cominciare dalle prime emigrazioni. Spostamenti frequenti non solo nel novecento ma a partire dalla fine del XIX secolo. In poche parole, Labanca è il romanziere di certi eventi, lo storico del popolo, il narratore avvincente come avvincenti sono i suoi romanzi; a cominciare dalla trilogia del brigante, sino alla Leggenda di un Dio lucano, Viaggio in Lucania, Storie e leggende.

Titoli che per i suoi lettori rappresentano molto, che sono degli evangeli del risorgimento italiano, come ad esempio Memorie di una brigantessa, presentato più volte anche in Toscana. Insomma, si tratta di uno scrittore particolare, elitario, ispirato dalle tragiche e mitiche, talvolta sanguinose, vicende italiane.

Vincenzo, seguendo il percorso evolutivo della tua poetica è facile rintracciare una sorta di storicismo in senso letterario e filosofico. In altre parole, leggendo la trilogia del "brigante", i tre romanzi cui fa da sfondo una Lucania e un'Italia ottocentesca e suggestiva, stupisce il fatto di come tratti la storia.

In altre parole, le tue pagine, la tua poetica, la visione del mondo nelle tue opere soverchia, per non dire che mette in crisi, l'ottica dello storico; per il quale la storia è vista dall'alto verso il basso, cosa che in te è rovesciata, in quanto le tue domande, le tue risposte e constatazioni partono e si alimentano dal basso, cioè dagli eventi di coloro che nel corso dei secoli sono le reali vittime di un sistema. Ora, quanto è importante per te, per la tua opera, la tua persona, la storia? Quanto è realmente fondamentale rovesciare il ruolo dello storico calandosi nei panni di uno storiografo del popolo?
"Io sono convinto che ogni uomo e figlio del proprio passato (e padre del futuro), ragion per cui è prioritario, oserei dire fondamentale, per ogni ciascuno conoscere la storia, la propria storia.
La Storia di un uomo è fatta, in prima istanza, dalla storia della propria famiglia, dalla storia della propria genetica, del proprio genoma.

A seguire, nonostante l'ipocrisia della globalizzazione (che, se mai sarà, sarà solo delle merci e mai degli uomini!), la storia di un uomo e fatta del contesto in cui è venuto al mondo ed in cui si è formato nei primi anni della sua vita: il paese di appartenenza, senza il quale ogni uomo e nessuno!
Tanto ciò premesso, ogni contesto, ogni luogo, ogni paese è il prodotto della storia degli uomini che su di esso si sono avvicendati, dei suoi antenati non solo in senso genetico, e che ognuno, solo appropriandosi completamente di questa identità può avvertire il senso di appartenenza e sentirsi a casa propria.
Ma la Storia è la più bugiarda e la più falsa delle scienze, esatte e non, per il fatto stesso che scriverla sono solo i vincitori (o un gruppo ristretto di essi) che, anche quando sono in buona fede, riportano solo la loro visione dei fatti.
Ma gli Storici, quelli di mestiere, non sono mai in buona fede!.

Ho letto recentemente su Repubblica la recensione di un libro sui Maya in cui si riporta che i vincitori mozzavano le dita agli scribi degli sconfitti per evitare che costoro scrivessero la storia, ovvero, la loro versione dei fatti.
Così era per i Maya e così è stato per tutti i perdenti della Storia, compreso per i nostri bisnonni briganti che soccombettero ad un'azione di Conquista riportata come Liberazione dagli storici dei vincitori (o di regime)."

Detto questo, i tuoi romanzi sono stati e sono dei tentativi vittoriosi, almeno secondo quanto emerge, di ripristinare la memoria del brigantaggio lucano in un tempo in cui la memoria, la storia, sono occultati per questioni di pigrizia culturale e, ancor peggio, per un interesse editoriale.

Tanto è vero che da te è partita la polemica letteraria, in calce di vari articoli, di intitolare le strade ai briganti. Ci potresti spiegare com'è nata questa disputa?
"I Briganti furono per il sud Italia la stessa, medesima cosa che i partigiani furono per l'Italia settentrionale. Uno Stato, il Regno delle due Sicilie, bene o male al passo dei tempo, si trovò occupato dai soldati di un altro Stato, il Regno di Sardegna e Piemonte, alla stessa stregua di cui uno Stato, l'Italia del 1945, si trovò occupato dai soldati di un altro Stato: il III° Raich di Hitler.

Sia gli uni che gli altri lottarono contro gli invasori che, oltre ad avere altre leggi ed altra lingua, perpetravano stragi e massacri a danni di inermi e di indifesi. Gli uni, i partigiani, vincendo, sono diventati eroi, gli altri, sconfitti, sono diventati delinquenti. E' questa la Storia?
"E' questa la Storia che raccontano gli storici, ma non è questa la verità!. Ed io non ci sto.
Ho fatto una lunga ricerca sull'albero genealogico della mia e di altre famiglie lucane ed ho trovato che i miei antenati, a partire dal 1600, sono stati sempre persone perbene, oneste e laboriose (non ho notizie di antenati antecedenti, ma ciò non serve alla mia analisi).

L'unico "delinquente" di una lunga catena di persone per bene fu un certo Vincenzo Labanca, mio trisavolo, catturato tra i boschi della Lucania e fucilato sulla pubblica piazza perché "menatosi al brigantaggio" per anni e anni di delinquenza.
Al mio piccolo paese ci sono almeno quattro vie intitolate a partigiani dell'ultima guerra che hanno combattuto contro l'invasore, e nessuna, dico nessuna, ai delinquenti del secolo scorso. Ma si sono mai chiesti i pigri ed i benpensanti cosa ne sarebbe stato di Sandro Pertini, di Pietro Ingrao, di Nilde Iotti, di Antonio Gramsci se a vincere fossero stati i Tedeschi e non gli Americani? (pardon, gli Italiani?).

Credi davvero che la via dove abito si chiamasse lo stesso "Via Giacomo Matteotti?"
Ma la Deputazione di Storia Patria ha ancora paura dei Briganti ed ha negato che una via, una misera Via si chiamasse semplicemente: "Via dei Briganti Lucani!" quando in Italia hanno intitolato vie, strade, piazze ecc, ecc, a cani e porci!"

In un tuo romanzo- reportage, Viaggio in Lucania, affronti la tematica di due Italie contrapposte, quella del Nord e quella del Sud, passando attraverso ancora una volta un periodo storico il 1968, anno delle contestazioni giovanili.

Un'epoca rivoluzionaria come quella del brigantaggio. Ora, volendo razionalizzare su i due eventi, ci potresti raccontare quale delle due epoche è per te, per il tuo senso civico, la vera rivoluzione compiuta e perché?
"Nessuna delle due!. Nessuna delle due!
La prima, quella del brigantaggio, fu una rivoluzione perduta e la seconda fu una rivoluzione di cartone!"

Di mestiere fai il professore e il letterato, professioni che porti avanti non solo con successo ma con la passione che è solita contraddistinguerti, ma come fai a conciliare i due impegni? Soprattutto possiamo considerare le due professioni in qualche modo frutto di una sola ragione?
"Un Professore, per essere tale, non deve solo conoscere degli argomenti e riferirli tal quale (per questo basterebbe un semplice registratore), ma un vero Professore deve interpretare le conoscenze e farle proprie, personalizzarle; solo in questo modo l'essere allievo di un professore e non di un altro ha senso.

E' vero quel che dici: i due impegni sono la stessa cosa; sono due facce di una stessa medaglia. E come potrebbe essere diversamente?"

Sappiamo che come scrittore ti autofinanzi per pubblicare i tuoi romanzi, inoltre curi molto bene anche il sito internet a tuo nome: ma com'è lo stato di salute dell'editoria oggi rispetto a qualche decennio fa? In particolare modo, oggi uno scrittore esordiente ha vita facile? Oppure è costellato da una miriade di problemi editoriali i quali invece di avvantaggiarlo lo reprimono?
"Non so in passato, ma allo stato attuale l'editoria italiana sta attraversando un pessimo periodo.
Crisi della lettura, sopraffatta dalla più facile e comoda televisione, dal sintetico cinema e dall'analfabetismo di ritorno che avanza in maniera galoppante.

I libri che si vendono in Italia sono i best seller americani (forse perché in questo modo si eludono i diritti d'autore), i surrogati cinematografici scritti da attori, attrici, ballerini, calciatori e giornalisti sportivi. La massificazione insomma. Se non hai letto "Dieci colpi di spazzola", "Cinque metri sopra il cielo", e porcate del genere non sei nessuno, come non sei nessuno se non hai letto Daw Braun e la Trilogia degli anelli e quella degli orecchini. Massificazione insomma, che, a mio giudizio, vuol dire impoverimento culturale.

Pensa se un giorno leggessimo "Tutti" lo stesso libro!. O è già successo da qualche parte? Io, per fortuna, non vivo di libri. E poi, ho poche pretese io!"

Altro aspetto importante della tua poetica è la cultura del mito popolare, della storia che influenza l'uomo al limite di farlo diventare o vittima o vincitore, un filone che a livello letterario trova riscontro in Cesare Pavese, in Fenoglio, nella scuola dei realisti toscani, sino ad arrivare ai contemporanei. Questo aspetto è tipico di varie tue opere.

Ci potresti raccontare da dove nasce questa esigenza di narrativa sociologica, antropologica e quant'altro?
"Qual è il ruolo di uno scrittore?. Quali fini si prefigge uno scrittore quando chiede ad un lettore di mettere mano alla tasca e di privarsi di una parte del suo prezioso tempo per starlo ad ascoltare?
Due cose deve avere sempre presente uno scrittore: creare emozioni e raccontare verità.
Creare emozioni: un bel romanzo è come un'opera di Mozart, come una partita di pallone, come un'avventura galante dall'incerto finale!
Raccontare verità: ci sono verità, e non solo storiche o dogmatiche, che l'uomo comune non riuscirebbe mai ad arrivarci da solo, sopraffatto com'è dal presente.

Lo scrittore lo fa per lui e glie li dispiega su un foglio stampato. In poche parole è come le tagliatelle: tutti sappiamo come si fanno, ma preferiamo tutti farcele fare dalla nonna!
E allora, cosa c'è di meglio di un Romanzo Storico?"

La Lucania, che è la tua regione, fa da sfondo alla tua opera. In altre parole la tua ricerca storica, narrativa, letteraria parte dal potentino per poi attraversare il resto d'Italia. Ora, è possibile che nella tua sensibilità di artista e di uomo ci sia, se pur in dosi accettabili e nobili, uno spaccato di nazionalismo voluto? In altri termini, l'Italia, la Lucania che racconti non credi che nascono dal fatto che avverti l'alternativa di una difesa del patrimonio nazionale che rischia di andare perduto?
"Credo di avere in parte già risposto a questa domanda.

"Ogni uomo è la Storia che si porta dentro"
Ed io mi porto dentro la storia della mia famiglia, la storia del mio paese, la storia della mia Lucania e, perché no, la storia della mia Italia, ovviamente in proporzioni e misure differenti.
Non avrei voluto entrarci su questa polemica dell'Italia, ma visto che insisti ti dico come la penso.
Io non credo che esista un italiano che riesca ad immaginarsi contemporaneamente siciliano e friulano, toscano e calabrese, lombardo e abruzzese.

L'Italia è un'espressione geografica ed una aggregazione politica ed io mi sento italiano solo quando vado all'estero (non potendomi sentire lucano perché all'estero non sanno manco che esiste la Lucania!). Quando sono in Italia mi sento lucano. Ma quando sono in Lucania mi sento Rivellese, e quando sono a Rivello mi sento di Mascalcia, la mia piccola, piccolissima contrada (meno di 200 abitanti).
Ed a Mascalcia mi sento della razza degli "ntingi", il soprannome della mia famiglia. Che devo dirti di più?.

Che devo dirti?"

In ultima analisi, ho il sospetto che la letteratura per te sia legata e inscindibile dalla cronaca, ovviamente con le dovute differenze di stile e di linguaggio, ora quanto è incisivo il fatto di incalzare la narrativa con eventi storici o cronache realmente accadute? E poi, la narrativa è figlia in qualche modo della cronaca?
"La cronaca è la vita degli uomini, così come è avvenuta, così come si può e come si deve raccontare. Ma spesso la vita degli uomini non è né come appare né come si racconta.

Ecco allora la Narrativa: la cronaca, i fatti, la storia, raccontati come non si possono e non si debbono narrare, cosi come quando ci fingiamo d'essere un altro per ingannare noi stessi (roba da Uno, Nessuno e Centomila di pirandelliana memoria!)".

Da sempre abiti in Rivello, tuo paese natale, del quale hai fatto il centro della tua ricerca letteraria, ma ho il forte sospetto che, in fondo, Rivello sia solo un appiglio, se pur plausibile e profondo, per cercare in realtà un altro luogo.

In fondo, se vogliamo dirla tutta, uno scrittore, un artista in genere, non vive mai nel posto in cui risiede, perché per sua natura è un esule per eccellenza, basti pensare a Scotellaro, Sinisgalli, lo stesso Levi. Secondo questa teoria, un grande come Marcel Proust sosteneva che uno scrittore vive due momenti diversi, come se il suo io fosse per metà vivente e per metà errante, nel momento in cui scrive e nel momento in cui vive per scrivere, quindi, volendo riassumere, e come se vivesse fuori del sistema, in esilio.

Ora, ci potresti raccontare quanto è difficile vivere in esilio quando storicamente la realtà stessa rifiuta la sensibilità artistica?
"Meriteresti un Premio Nobel per questa domanda!.E nella tua domanda c'è anche la mia risposta!
Ma dove?. Dove si trova l'altra mia metà?. Puoi aiutarmi tu a trovarla?"

Termina così il colloquio, in modo informale, ironico, giocoso al punto di risaltare un altro aspetto della poetica di Labanca: il rovesciamento della letteratura. Nelle sue opere questo elemento, che non tutti gli scrittori sembrano tenerne di conto, è assai importante.

Vincenzo, forse a causa delle tematiche che affronta, forse per una sua innata attitudine e sensibilità, considera le lettere un segno indelebile di una società. Una contestazione e una testimonianza verbale continua, quasi fossero la biografia dell'Italia. Di una nazione unita ma diversificata, ricca di linguaggi diversi, di culture, di etnie. Un po' come la Lucania e la Toscana, figlie di una stessa patria, che il romanziere racconta lontano da echi di accademica memoria.

Iuri Lombardi

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