Franco Simone: a trenta anni dagli esordi musicali del cantautore salentino di adozione fiorentina

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
26 gennaio 2007 09:55
Franco Simone: a trenta anni dagli esordi musicali del cantautore salentino di adozione fiorentina

Parlando di Franco sembra che il tempo si sia fermato, tutto sia rimasto cristallino, limpido coma acqua di sorgente, soprattutto la sua voce che è quella di sempre, inconfondibile. La voce, certo, la vera protagonista, assieme all´anima, che da sempre è in perfetta sintonia, non è mai venuta meno. E´ sempre identica, la solita che da anni fa da colonna sonora al nostro tempo. Un timbro che si fa armonia ogni qualvolta pronuncia una sillaba, intona una nota. Arte, insomma, arte vera che da Respiro, come una navicella spaziale, un treno che trafora talvolta l´inquietudine di un solo istante, prosegue il viaggio sino ad interpretare capolavori come Tu..

e così sia, Notte di San Lorenzo, Cara droga, Fiume grande, Tentazione, Paesaggio, Sogno della galleria, Totò, Notturno fiorentino, L´infinito tra le dita... e poesie musicate come Fenestra vascia, Pianefforte `e notte. Franco Simone oggi, forse più di ieri, è consapevole d´essere un artista, un uomo che fa del proprio lavoro la ricerca di se stesso, dell´armonia universale.
Insomma, un musicista "sincero che non lavora tanto per fare carriera, ma nel rispetto dell´arte e di colui che ascolta".

Un rispetto che da trent´anni non si è affievolito, ma anzi è diventato maturo, al punto di avere un ruolo di primo piano nella vita musicale e sotto il profilo umano. Un impegno che lo ha visto partecipare a rassegne musicali, ad eseguire concerti di musica sacra di una certa valenza mistica, come nel caso di Canto D´Amore, che gli ha permesso di vendere in quaranta paesi milioni di dischi, di restare in classifica per sedici settimane, unico caso per un cantautore italiano dopo Domenico Modugno, nelle classifiche discografiche statunitensi.

Insomma, Franco Simone, oltre ad essere un nome di rispetto, oltre le capacità artistiche e la sensibilità umana, è la voce che porta l´Italia, Lecce, Firenze nel mondo. E´ Franco quel ragazzo dalla faccia pulita, che del Salento ha la schiettezza del Sud, del Grecale la medesima forza e capacità d'essere presente ogni qualvolta si fa sentire, che affida alla propria voce l´essenza dell´anima. Un artista, insomma, il cui ritratto non conosce età, scolpito nella nostra memoria. A noi non rimane, quindi, che ascoltarlo e lasciarci trasportare dalle emozioni della sua musica, proprio come il Grecale fa ai due mari pettinando l´antico stivale.

Non ci resta che aspettare il nuovo album che sarà pubblicato nel 2007 e, come dice una sua canzone, si presenterà "come un nuovo appuntamento".
Lo abbiamo incontrato alla vigilia del suo ennesimo viaggio verso l´America Latina. Lo aspettano infatti in Cile come superospite del Festival della Televisione Nazionale Cilena, programmato per la fine di gennaio presso il Faro Monumental de La Serena, la bella città distesa lungo l´Oceano Pacifico. La televisione cilena ha chiesto a Franco, nel contesto della gara, simile alla nostra sanremese, di esibirsi, ovviamente fuori concorso, per non meno di un´ora e un quarto.

I giornali sudamericani continuano a sottolineare la particolare traiettoria di questo nostro artista, il quale, a differenza di quello che succede nella normalità delle carriere, continua, da più di trent´anni, ad essere ascoltato ed amato di generazione in generazione.
-Franco, a cominciare dagli esordi, è semplice individuare nelle tue canzoni, e più in generale nella tua poetica, nell´espressione artistica, una forte valenza onirica e nello stesso tempo uno spaccato di realismo; due elementi che sembrano trovare un compromesso vincente, un legame inossidabile.

Ora, quanto è importante la realtà e l´onirico nel tuo percorso umano e musicale?
-Intanto l´onirico mi ha ispirato uno dei miei album più importanti: Gente che conosco, ripubblicato in dicembre col titolo Sogno della galleria. Ritengo che nei sogni ci sia non la negazione della realtà, ma spesso la spiegazione di essa... mi interessano moltissimo, perché i sogni sono la realtà corredata di tanta libertà. La libertà che spesso ci manca, perché ormai conduciamo un tipo di vita castrante, che taglia le ali: normalmente, appena uno dà un´idea di libertà reale, si afferma che è pazzo e allora nei sogni c´è questa possibilità che trovo bellissima, esaltante.

In generale mi piacciono le persone che nella vita reale si comportano come se vivessero un sogno. Ovviamente se sono sogni positivi, costruttivi, tanto di guadagnato".
-Osservando i tuoi testi, oggi come ieri, tenendo in considerazione l´evoluzione artistica della tua carriera, si nota come tu riesca a scrivere attraverso un sistema poeticamente progressivo, cioè prospettico: vale a dire che partendo da un dato elemento, proprio come avviene nelle tele seicentesche, tu riesci a contestualizzare la cosa narrata dandole un´espressione spazio-temporale.

Ad esempio, nella canzone Cara Droga tu interloquisci con essa proprio come fosse una persona, quindi regalandole un proprio contesto... E´ così?
-Cara droga mi è particolarmente cara, come mi capita con le canzoni che non raccontano direttamente il mio vissuto. Calarsi nei panni di un altro lo trovo particolarmente stimolante, anche se, in fondo, si finisce col parlare comunque di se stessi, dei propri timori e delle proprie speranze. Mi hanno spesso detto che Cara droga era talmente credibile da non poter non essere una pagina autobiografica.

L´ho preso come un bel complimento. Quando dico di non essere un tossicodipendente non me ne faccio un vanto; semplicemente non provo alcun interesse per il mondo delle droghe. Non mi sembra una particolare virtù questa mia, ho solo la fortuna di vivere una vita piena di mille altri interessi. Credo che questo mi ponga nella situazione d'essere comprensivo verso quelli che, invece, non hanno molte passioni e finiscono preda di situazioni molto spiacevoli. D´altronde, sin da ragazzo, ho sempre vissuto senza conoscere la noia: ho amato molto anche i miei studi...

al Liceo Classico studiavo con passione la filosofia, la letteratura, il latino e, nonostante i sacrifici, studiare mi riempiva l´anima, smuovendomi l´interesse erso il mondo intero. Ora, tornando a Cara droga, io raccontavo un caso col quale ero venuto in contatto attraverso una lettera, bella e tristissima. Si trattava di un ragazzo che, prima di morire, personificava la droga come una creatura che si diverte a fare del male. Il pensiero era molto simile a quello di Schopenhauer rispetto ad una natura che avrebbe determinati suoi scopi, che noi siamo condannati a non poter conoscere.

Concludendo su Cara droga, posso dire che è stato un brano che mi ha avvicinato emotivamente a molta gente. Ci sono state tante lettere e tanti incontri con gente che, ascoltando quella canzone, aveva trovato un frammento di verità. C´è stato pure qualche idiota che l´ha presa come un atto d´accusa, però anche questo fa parte del gioco.
-Al di là degli aspetti letterari delle canzoni, emerge un altro aspetto fondamentale: quello musicale. Ascoltandoti, oltre alle tue capacità vocali che sono indubbie, si percepiscono una serie d'influenze musicali, di retroterra sinfonici, strumentali, anche etnici se vogliamo, che tu riesci a mettere in sintonia tra loro come nel caso di Notte di San Lorenzo: una canzone di forte impatto emotivo, in cui si susseguono una serie di registri musicali diversi, come ad esempio le seconde voci che sembrano ricreare un´atmosfera da opera lirica.

Ora, ci potresti dire quanto ti hanno influenzato i vari generi musicali? E poi, quali sono i tuoi generi da sempre preferiti?
-Ascolto più musica classica che leggera. Ci sono canzoni che sono geniali nella loro asciuttezza, nella loro semplicità, penso a quelle di Mogol-Battisti o di Battiato, Francesco De Gregori, Pino Daniele, Paolo Conte, Fabrizio De Andrè... sino ad arrivare al giovanissimo Tiziano Ferro, che scrive cose straordinarie. Ora, se vogliamo, alcuni miei brani, come Notte di San Lorenzo o Totò, sicuramente hanno una stesura che potrei definire classica, pucciniana.

Il mondo della musica classica mi piace e lo ritengo molto più serio del nostro. Sono amico di un soprano eccellente che si chiama Adriana Maliponte, di un baritono che si chiama Nicola Ulivieri, che ha lavorato con me in un opera dal titolo il Vento di Mykonos, insieme ad un altro soprano, Rita Cammarano, dotata di una splendida voce. Questi sono tutti artisti che non si accontentano del talento avuto in dono da madre natura: studiano, studiano, studiano interminabilmente perché sanno che per raggiungere il massimo non ci sono altre strade...

sempre che uno non si accontenti apparire nelle ormai pericolosissime vetrine televisive!...
-Nell´arco della tua carriera si sono susseguiti pezzi di gran successo come Respiro, Tu e così sia, Con gli Occhi Chiusi, canzoni scritte di tuo pugno, e cover come Il cielo in una stanza, La casa in via del Campo. Ora, analizzando questi testi, a me pare che uno dei tanti aspetti che spicca sia quello autobiografico. Quanto c´è di te, dei tuoi trascorsi umani, nelle tue composizioni?
-Per quanto uno si sforzi di stare dietro le quinte, finisce poi col raccontare sempre quello che ama, o quello che teme o quello in cui spera, proprio perché in definitiva non si può raccontare che se stessi.

Lo diceva pure, con l´autorevolezza che gli competeva, Federico Fellini, il quale era convinto di fare e rifare sempre lo stesso film. La cosa interessante è che, più si raccontano cose apparentemente marginali, geograficamente limitate, per non dire provinciali, più si diventa internazionali. Basta pensare proprio alla Romagna di Fellini o alla Sicilia di Tornatore. Il segreto credo stia nel fatto che, quando riusciamo ad essere sinceri, parliamo un´unica lingua, quella dei sentimenti.
-Altra cosa interessante è che spesso ho avuto il sospetto che la tua musica, i tuoi motivi siano già di per sé descrittivi; come nel caso di Paesaggio, dove, secondo me, l´ambientazione, se pur celata, è evidente, emerge dalle note stesse, tanto che, ascoltando questo brano, mi viene da pensare a Firenze, tua città d'adozione.

Anche perché, se così fosse, si viene a creare una certa similitudine critica, quasi un ossimoro, con Notturno fiorentino. Infatti, se in Paesaggio Firenze fa da scenario ad una crisi emotiva, per non dire biografica, in Notturno fiorentino l´atmosfera cambia, tanto che sembri riacquisire te stesso, vivendo, come tu stesso canti, una rinascita interiore dopo un naufragio. Sei consapevole, quando scrivi certi motivi, di essere così diretto e "paesaggista", oppure si deve ad un'alchimia del caso?
-Quando ho composto Paesaggio non mi ero ancora trasferito a Firenze, ma la frequentavo moltissimo...

ti confesso che io subisco molto la suggestione delle parole.
Le parole sono importanti, come sostiene Nanni Moretti: determinate situazioni o emozioni le puoi vivere attorno ad un'unica parola. A quei tempi ero innamorato della parola paesaggio, per quello che rappresenta e significa, tanto è vero che il titolo era presente nell´album prima che nascesse la canzone. La sera prima di andare in sala l´ho composta, avendo chiaro il sentimento che volevo raccontare.
-Spesso parli di Firenze nelle tue canzoni.

In almeno due casi, in termini ufficiali, hai ambientato canzoni in questa città, come nel caso di Notturno fiorentino e di Io e Firenze: ma quanto è importante per te, per i tuoi trascorsi, questa città? E soprattutto com´è il tuo legame con essa?
-Troppo facile parlare bene di Firenze, perché è talmente bella!... Vorrei che fosse ricca di vitalità come lo fu storicamente. Purtroppo non posso non rilevare che oggi a Firenze, se incontri qualcuno che parla con passione, quasi sempre sta parlando di sport.

Il calcio va bene, ma la storia di Firenze meriterebbe non solo quello. Quando a Firenze arrivano, per i soccorsi dell´alluvione o per qualunque altro motivo, giovani da tutto il mondo, è meraviglioso constatare quanto questa città sia amata nel mondo, forse è la città in assoluto più amata. Mi piacerebbe però che Firenze si ricordasse più spesso di tutto ciò, organizzando delle cose in armonia con la sua storia. Oggi è indubbio che il passato fiorentino schiaccia il presente.
-Venendo a parlare delle tue ultime fatiche discografiche, come nel caso di VocEpiano-Dizionario (rosso) dei sentimenti, di Notturno fiorentino (che contiene la stupenda Pianefforte `e notte) e La Città del Sole, lavori in cui ti sei presentato come artista a tutto tondo, quanto sono cambiate le tue esigenze artistiche, il modo di percepire la realtà, di affrontare certe vicissitudini e tradurle in arte?
-Una mia grande ambizione, a proposito di Pianefforte `e notte (per la quale ho messo la musica sui versi immortali di Salvatore Di Giacomo) sarebbe di mettere in musica tutta la letteratura italiana.
In particolare, Pianefforte `e notte è stata la poesia che più ho amato nella mia adolescenza.

Per me aveva già una sinfonia dentro. Quando ho composto la musica non ho faticato: ho solo cercato di tirar fuori quella sinfonia dalle parole. Secondo me, certe operazioni di incontro tra musica e letteratura bisognerebbe farle spesso. Potrebbe anche essere un modo per fare marciare la grande letteratura in termini più popolari. Mi piacciono i tentativi di "ristrutturazione" delle opere del passato. Giorni fa, ad esempio, ho visto un adattamento del Don Giovanni di Mozart fatto da Baricco. Mi è sembrato un atto positivo d´amore e di coraggio.
-Ascoltando certe tue canzoni come Il Vecchio del Carrozzone o Figlio d´amore, emergono tematiche civili che nel corso della tua carriera, pur privilegiando canzoni sentimentali, non hai mai perso di vista: ci potresti svelare quanto contano per te queste tematiche?
-Non riesco a fare differenza: quando una canzone è bella va bene qualunque tema.

L´impegno è importante. L´impegno era quello di Fabrizio De Andrè che aveva una voce meravigliosa, una dizione da grande attore di teatro e delle canzoni di grandissima letteratura. A volte, però, la parola impegno è stata usata a sproposito, come alibi per fare cantare gente stonata, che non aveva nulla a che fare con la musica. Detto questo, non mi piacciono certe classifiche: tra La donna cannone di De Gregori e La locomotiva di Guccini trovo improprio fare confronti e dire "questa è più bella dell´altra".

C´è gente priva di fantasia che ha bisogno di attaccare etichette da tutte le parti. Le categorie a volte andrebbero superate perché sono delle gabbie mentali.
-Negli ultimi anni ti abbiamo visto come interprete d'arie sacre, un progetto antologico dal vivo che tu hai battezzato Canto D´Amore, un impegno che avevi già messo in opera col tuo riadattamento e l´incisione dell´Ave Maria di Bach-Gounod. Perché una scelta del genere, molto difficile per un musicista pop? Cosa ti ha spinto ad arricchire il tuo repertorio musicale e poetico nel cantare melodie e versi di un certo spessore mistico?
-Vivo moltissimo l´esigenza della religiosità e non bisogna dimenticare che anche grandi atei hanno fatto opere musicali di enorme respiro religioso.

L´esigenza della religiosità è comunque una cosa che ritengo insopprimibile. Grandi firme, da Beethoven a Mozart, per non parlare di Bach, hanno composto capolavori religiosi che tutti dovrebbero conoscere, anche prescindendo dal significato strettamente fideistico. Per quanto mi riguarda, lontano da ogni sospetto di bigottismo, quando canto quel repertorio sacro è come se mi si aprissero delle finestre che normalmente tengo socchiuse; è come un rito liberatorio, qualcosa che mi fa bene all´anima.
-Da diverso tempo ti abbiamo visto nei panni di traduttore, autore di testi in diverse lingue, cantante multietnico.

A quando una canzone nel tuo dialetto salentino? O meglio, dopo tante esperienze plurilinguistiche non senti l´esigenza di scrivere in salentino? Ci hai mai provato?
Quelle che traduco, normalmente in spagnolo, sono canzoni mie o che fanno parte del mio repertorio. Per quanto riguarda il dialetto del mio Salento, in Canto D´Amore c´è un brano che s´intitola Varda comu zumpene, che vuol dire Guarda come saltano, ma già nel mio primissimo album, del 1972, c´èra una canzone in salentino.

Detto questo, nel mio Salento c´è una musica interessantissima: la Pizzica. Sono molto amico di Pino Zimba, che è il re di quel genere, protagonista del film Sangue vivo, però non mi sento capace di comporre quel tipo di musica. Almeno per adesso non mi sento pronto a farla, pur avendola nel sangue, essendo salentino di nascita".
-In un tuo pezzo, Con gli occhi chiusi, mi sembra di percepire una vena petrarchiana, ossia un lirismo idilliaco. Elemento dovuto, probabilmente, al fatto che tu nutri notevoli passioni letterarie e che con maestria e umiltà esprimi componendo.

Ora, facendo un´esegesi globale del tuo panorama musicale, ti resta difficile ammettere quanto ho sottolineato? Oppure preferisci parlare di pura casualità, di affinità, di corrispondenze emotive?
-Lo stesso tema di quella mia canzone venne trattato l´anno dopo in Bella senz´anima di Cocciante. Certo, sono simpatiche analogie! Petrarca l´ho amato tanto da ragazzo, ma adesso che mi ci fai pensare, in Chiare, fresche e dolci acque, con quel saluto alla natura, quel senso di serenità universale, sì...

esiste una certa similitudine con il mio brano. Se vuoi poi dei riferimenti letterari, quando ho composto Tu... e cosi sia c´era di mezzo una cosa di Ovidio che avevo studiato a scuola e che mi aveva molto colpito. Il verso, o meglio il passo, diceva più o meno "quanto è bello stare a letto quando piove facendo l´amore..." e, infatti, ricordo che sui libri del liceo vi erano i punti di sospensione.
Forse questo mi ha aiutato a viaggiare con la fantasia.
-In passato, oltre che autore ed interprete, ti abbiamo visto all´opera come autore televisivo, inoltre sappiamo che scrivi molto anche in prosa, ad esempio riempi pagine di diario, scrivi appunti, sei molto meticoloso.

Quali sono, quindi, i tuoi progetti futuri? In cosa credi di esprimerti nel futuro prossimo?
-Uso la musica e la scrittura per riuscire a capire che cosa sia il mistero della vita. Di progetti ne ho tanti. Progettando, mi piace stupire soprattutto me stesso. Non amo ripetere formule già collaudate. Progettare significa vivere, andare avanti.
Certo, ha fin troppo ragione Franco: i progetti, prima di metterli in pratica, bisogna pensarli, coltivarli, proprio come fa lui, che, pur avendo pubblicato di recente un cofanetto antologico che racchiude tre dei suoi album più significativi (Dizionario (rosso) dei sentimenti- Deseo, il meglio in spagnolo, Sogno della galleria) lavora attivamente per la realizzazione di un nuovo album di inediti.
Sicuramente sarà l´ennesimo risultato di un lavoro ispirato, in cui sarà facile trovare le tracce di tutti gli incontri che Franco annota nella sua anima, per trasformarli in materia artistica.
Intanto lo salutiamo, lasciandolo tra quei ponti di Firenze che tanto ama.
Come recita una sua canzone, lo vediamo allontanarsi "nel profumo della strada, con l´infinito tra le dita".


Iuri Lombardi

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