La clemenza di Tito di Mozart dal 20 marzo al Teatro del Maggio

Opera seria in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart, nell'allestimento dell’Opéra national de Paris. Maestro concertatore e direttore Federico Maria Sardelli

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
16 marzo 2019 15:14
La clemenza di Tito di Mozart dal 20 marzo al Teatro del Maggio

Il compito di chiudere la stagione lirica 2018/2019 del Teatro del Maggio è affidata a La clemenza di Tito, da 16 anni assente dai cartelloni del Maggio, ultima opera scritta da Wolfgang Amadeus Mozart, in programma a partire dal 20 marzo(20, 22 e 27 marzo ore 20; 24 marzo ore 15:30). Sul podio, per dirigere l’Orchestra del Maggio, Federico Maria Sardelli, la regia è di Willy Decker (ripresa da Rebekka Stanzel) e l’allestimento è dell’Opéra national de Paris.

Nell’estate del 1791 Mozart ha il suo bel daffare tra composizioni strumentali di vario genere, un Requiem commissionato da un misterioso mandatario e il Flauto magico. A ciò si aggiunge a luglio la richiesta prestigiosa di comporre l’opera celebrativa per l’incoronazione di Leopoldo II d’Asburgo a re di Boemia. L’invito è ghiotto, è previsto un buon compenso e Praga, dove è fissato il debutto dell’opera il 6 settembre, è una città particolarmente gradita a Mozart.

L’unico neo è rappresentato dal libretto che viene imposto al compositore, un vetusto dramma metastasiano: La clemenza di Tito. Un’opera per un’incoronazione doveva essere necessariamente solenne e austera e per omaggiare un sovrano illuminato quale si era dimostrato Leopoldo da Granduca di Toscana, la scelta era caduta su un soggetto aulico versificato da Metastasio nel lontano 1734 e messo in musica da Antonio Caldara per Carlo VI, nonno di Leopoldo. Da allora il libretto era stato musicato almeno una quarantina di volte da compositori diversi, tra cui Hasse, Gluck e Guglielmi.

Ma dopo quasi sessant’anni i gusti del pubblico sono cambiati e anche un classico della drammaturgia come La clemenza di Tito mostra degli evidenti punti deboli a cui Mozart tenta di ovviare con un restyling che ravvivi l’aspetto ormai démodé dell’opera tardo barocca. Per ristabilire un giusto equilibrio e alleggerire la ripetitiva sequenza di recitativo-aria, paradigma dell’opera seria settecentesca, il poeta Caterino Mazzolà riduce gli atti da tre a due, taglia molti recitativi e trasforma alcune arie in pezzi d’insieme.

L’ingegnoso escamotage consente a Mozart di dare nuova vita ai personaggi stilizzati dell’opera settecentesca e far emergere ancora di più il protagonista Tito nella sua statura di sovrano saggio, capace di comprendere e perdonare le debolezze altrui. Dai duetti ai terzetti, dal quintetto con coro ai finali d’atto - sublime e sofferto il primo, fastoso e d’effetto il secondo - gli ensemble vocali costituiscono il punto di forza di un’opera di arcaica e statuaria bellezza come la Clemenza di Tito, canto del cigno di un genere e di un’epoca ormai in declino.

È un’opera considerata in maniera controversa dai critici che si sono succeduti dal settecento in poi. C’è chi la considera il capolavoro di Mozart, chi un’opera non compiuta, chi un salto nel passato dopo le grandi novità della trilogia di Da Ponte o dello stesso Flauto magico - commenta Federico Maria Sardelli - Io non credo a nessuna di queste interpretazioni: Mozart è un uomo di grande aderenza contemporanea, un uomo moderno per gli standard del suo tempo.

Viene chiamato a celebrare un monarca e sceglie un libretto che celebri un monarca quindi opta per qualcosa di chiaramente convenzionale nel tema ma non altrettanto convenzionale nella scrittura musicale. Il finale del primo atto è di una potenza espressiva che non si era mai sentita in un’opera seria di quegli anni e questo ci dà la misura di cosa sarebbe riuscito a fare se fosse vissuto altri dieci, venti anni e non fosse morto di lì a tre mesi. Da una parte dunque è un’opera convenzionale perché ne ha l’ossatura, dall’altra abbiamo tutto il Mozart del Flauto magico e di Da Ponte.

Non è un salto nel passato, non è un’opera minore, non è un’opera controversa, è come lui avrebbe continuato a scrivere se avesse vissuto ancora”.

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