Cinema: il male è dentro di noi

Presentato a Roma, alla presenza del protagonista Matt Dillon, l’ultimo film di Lars Von Trier “La Casa di Jack”, in uscita nei cinema il 28 febbraio

Elena
Elena Novelli
19 febbraio 2019 23:55

ROMA- “Confesso che ho avuto dei dubbi prima di accettare la parte - ha rivelato Matt Dillon durante la conferenza stampa all’hotel Bernini, seguita ad una proiezione che ha messo a dura prova anche un pubblico aduso alla violenza delle immagini come quello dei critici cinematografici - ma Lars mi ha detto: Io mi assumo sempre la responsabilità dei miei film”.

Il protagonista, che nel giorno del suo compleanno ha deliziato i giornalisti con la sua gentilezza e disponibilità (perfino nel concedere selfie), ha raccontato di come si sia calato nella parte del serial killer “non aggiungendo caratteristiche al personaggio, ma sottraendo - ha spiegato - perché l’assassino è un povero psicopatico privo di empatia, nato senza coscienza, così come un altro uomo può nascere senza arti”.

Von Trier non fa prove - ha confidato poi il protagonista - e monta, lui stesso, in maniera emotiva”. Fedele al Dogma 95, da lui fondato, il regista danese non fa sconti allo spettatore, e riporta la realtà nuda e cruda. Ma non con compiacimento o sadismo, tutt’altro.

Lars è ossessionato dalla religione” ha detto Dillon. E dal senso del peccato, aggiungiamo noi, visto che l’intero impianto del film è basato sui gironi infernali danteschi, e l’allegoria della Divina Commedia torna ad ogni immagine: i colori accesi, come il rosso del sangue, che si spengono nell’oscurità della scena e nel buio della mente del protagonista; i passi dell’asssassino, metodici, calcolati e corrispondenti tra loro come le terzine dantesche; le parole, mai troppe e dannatamente necessarie, dell’accompagnatore Virgilio, interpretato dal compianto Bruno Ganz.

“Sono molto triste per la scomparsa di Bruno - ha sussurrato Dillon - ma mi ritengo fortunato per aver potuto lavorare con lui, lo ammiro da quando lo vidi interpretare il giocatore di scacchi che impazzisce in Schwarz und weiß wie Tage und Nächte del 1978”. “Quando Lars lo ha scelto per la parte - ha raccontato l’attore - mi ha mandato la sua foto in un messaggino con scritto ‘Virgilio’, ed io sono stato contentissimo”. “Quando abbiamo finito le riprese - ha rivelato - Ganz ha visto il girato e mi ha detto: ‘sarai orgoglioso della tua performance’”.

L’Inferno dicevamo, e il peccato. “Jack, il serial killer, me lo sono portato dentro a lungo - ha confessato Dillon, sicuramente in questo film nel ruolo più drammatico che abbia mai interpretato - ho rischiato di rifiutarlo, temevo il giudizio del pubblico”. “Questo non è un problema di Lars - ha detto a proposito del regista danese che lo ha diretto: Von Trier non ama il fatto che alla gente piacciano i suoi film”. “Le sue opere polarizzano il pubblico - ha aggiunto - e anche per me è stata una sfida, con me stesso, che poi si è rivelata una crescita, man mano che si definiva il personaggio”. “‘Perché hai fatto questo film?’ Ho chiesto a Lars - ha poi rivelato - ‘perché questo personaggio lo sento molto vicino a me’ mi ha detto lui”.

L’Inferno e il peccato, appunto. Il serial killer, alter ego del regista, nell’iconografia finale altro non è che Dante Alighieri. E così come il sommo poeta giudica e condanna i suoi concittadini anche lui, sorta di giustiziere della notte, giudica e condanna le sue vittime: la petulante Uma Thurman, a cui la saggezza romana non avrebbe risparmiato un ‘allora dillo che voi morì’; Siobhan Fallon Hogan, già interprete di altri due film di Von Trier, la cui granitica attenzione e guardingo sospetto verso gli sconosciuti crolla difronte alla chimera del denaro; la sconosciuta che cammina sola sul ciglio della strada di notte - anch’essa scomodando il saggio romano; la dolce mamma Sofie Grabol, che mette i figli alla mercé di uno sconosciuto, andando contro anche al più accorto ‘brontolo’, forse inseguendo il desiderio di una famigliola piccolo borghese; la bellissima Riley Keough, dal killer ribattezzata ‘Simple’ per la sua irritante ignoranza.

Il peccato originale, sembra dire il regista danese, è in ognuno di noi, e ci lega indissolubilmente al nostro assassino, in un rapporto vittima e carnefice in cui ognuno è necessario all’altro, come l’impiccato alla corda. Come Ubris e Diche.

“Nessuno vuol dare una mano? - grida Matt Dillon nel silenzio assordante del condominio di ‘mostri’ e nel vuoto assoluto della strada - il mondo è indifferente” spiega alla sua preda in una delle scene più toccanti del film.

Chi è più peccatore? Ci estorce allora dalle budella Von Trier, un povero pazzo psicopatico - che fa di tutto per essere catturato - o i rispettabili ‘normali’, che non perdono nemmeno un minuto di sonno per soccorrere un agnellino nelle fauci del lupo? Forse è per questo che il regista non è simpatico. Forse è per questo che durante le proiezioni dei suoi film alcuni spettatori si alzano e se ne vanno schifati: perché l’Inferno esiste, ed è su questa terra. Perché il male esiste, ed è in ognuno di noi. 

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