Il padiglione delle meraviglie, al Teatro Fabbricone fino al 9 febbraio

Massimo Verdastro riprende Petrolini e indaga un’emozione che oggi sembra dimenticata, assorbita da un ritmo di vita che non lascia spazio per soffermarsi a riflettere e a guardarsi intorno

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 febbraio 2014 00:23
Il padiglione delle meraviglie, al Teatro Fabbricone fino al 9 febbraio

PRATO- Le maschere, le luci, le urla, e quella faccia un po’ così del pubblico colto da meraviglia. Massimo Verdastro riprende Petrolini e indaga un’emozione che oggi sembra dimenticata, assorbita da un ritmo di vita che non lascia spazio per soffermarsi a riflettere e a guardarsi intorno. Il padiglione delle meraviglie, al Teatro Fabbricone fino al 9 febbraio, è uno spettacolo interessante e raffinato, caratterizzato da un febbrile gusto per l’abiezione, evidente nell’insofferenza dei protagonisti, stanchi di dover andare incontro alle sempre uguali fatiche quotidiane, alle difficoltà economiche, alla difficile convivenza fra persone “ai margini”. Lalli gestisce, assieme alla moglie Zenaide, una piccola attività di intrattenimento chiamata "Il padiglione delle meraviglie", nella quale egli presenta le sue attrazioni, fra cui il lottatore Tigre e la sirena Elvira.

Tiberio è l'imbonitore della compagnia, ma sta attraversando un periodo difficile in seguito alla rottura della relazione con Elvira, adesso legata al Tigre, che considera più uomo di lui. Quando costei viene a conoscenza del fatto che il Tigre sia già sposato, chiede a Tiberio di vendicarla; la resa dei conti avrà luogo in uno scontro di lotta, sotto gli occhi del pubblico convinto di assistere a un normale spettacolo di varietà. Lo scontro vede il Tigre soccombere, ed Elvira, che aveva inizialmente sperato nella vittoria del Tigre, si sente costretta a tornare dal disprezzato Tiberio. Da questa vicenda banale e misera, cialtronesca e pittoresca insieme, prende le mosse un suggestivo spettacolo sul mondo del varietà, metafora di un’umanità altrettanto scombinata.

Dalla romana Piazza Pepe, il padiglione spalanca idealmente il sipario sulle miserie quotidiane di un popolo, il nostro, disabituato a distinguere fra realtà e finzione, poiché i teatrini da Strapaese hanno sempre abbondato nella nostra storia politica. Uno spettacolo sospeso a metà fra la commedia dell’arte e le angosciose atmosfere dello smarrimento. Quelle stesse atmosfere che Fellini porterà sullo schermo, con tragicità ancora maggiore, nello splendido La strada. Lo spettacolo va a riempire quella “terra di nessuno” che sta fra il pubblico e il padiglione, quello spazio che è soltanto degli attori, e dove è possibile estraniarsi e riflettere lontano dal clamore.

Scenicamente, Verdastro rende questi brevi istanti con un suggestivo oscuramento del palco, e una luce puntata sull’attore. L’oscurità circostante è, in questo frangente, una barriera protettiva. La regia scorre dinamica, con una prima parte incentrata sulla presentazione dei vari numeri dello spettacolo, incorniciata in una scenografia di gusto ovviamente circense, con una scala, una gabbia, un mobile a forma di stella, e la suggestiva tenda bianca del padiglione. Alla lingua italiana si affianca il romanesco, spesso declamato con quel ritmo cantilenante che richiama le poesie di Trilussa, acuto e ironico osservatore dell’Italia popolare.

Un registro linguistico appropriato, perché l’occhio di Petrolini si posa proprio su quello Strapaese che era l’Italia degli anni Trenta (ma anche quella dell’oggi), rintronata dalla stentorea retorica del regime fascista, e bisognosa di sognare. “Dimenticare sé stesi e quello che ci aspetta fuori”; è questa una delle chiavi di lettura dello spettacolo, estremo baluardo di libertà in un Paese dittatoriale. L’accenno alla situazione politica è appena percettibile, essenzialmente lo spettacolo si concentra sulle piccole vicende esistenziali della scombinata compagnia del Lalli.

Suggestiva la resa scenica del padiglione, attraverso un tendone circolare bianco, che lascia intuire lo spettacolo attraverso i giochi d’ombra e le grida dell’imbonitore. Il cast, da parte sua, riesce a rendere soltanto a tratti l’atmosfera di tensione che comunque lo spettacolo emana. Alla chiusura del sipario, applausi per una pièce che ha accompagnato il pubblico in un mondo onirico e colorato, dove anche i drammi sembrano avere un tocco di poesia. Tuttavia, una maggior causticità della regia avrebbe potuto rendere più pungente uno spettacolo che si avvale di un testo intelligente quale quello di Petrolini, ricco di considerazioni sociali e politiche valide ancora oggi. di Niccolò Lucarelli

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