Fra Svevo e i Giancattivi, Benvenuti racconta l’amarezza contemporanea

Un comico fatto di sangue, intelligente pièce scritta, diretta e interpretata da Alessandro Benvenuti, che ha debuttato ieri sera al Teatro Manzoni

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 gennaio 2014 01:23
Fra Svevo e i Giancattivi, Benvenuti racconta l’amarezza contemporanea

PISTOIA - Il mondo è degli imbecilli. Lo scrisse Flaubert non senza amarezza, quella stessa amarezza che qualcuno prova ancora oggi osservando la grave crisi sociale e spirituale che affligge la società contemporanea. Dall’urgenza di trasferirla in una dimensione più accettabile, o meno avvilente, è nato Un comico fatto di sangue, intelligente pièce scritta, diretta e interpretata da Alessandro Benvenuti, che ha debuttato ieri sera al Teatro Manzoni, con grande e meritato successo di pubblico.

Una commedia in forma di monologo, suddivisa in cinque atti, per un testo agile e complesso insieme, caratterizzato da un linguaggio improntato alla schiettezza toscana, a tratti sgarbato, a tratti ruvidamente poetico, aspro ma sincero, anche in alcuni piccoli eccessi che però si perdonano volentieri quando accompagnati, come in questo caso, da una profondità che non esitiamo a definire esistenzialista. Davanti a una psicologa, forse soltanto immaginaria, un maturo signore di mezza età, coniugato e con due figlie, racconta la storia dei suoi rapporti familiari, tesi con le figlie, e segnati da un amore scombinato con la moglie.

L’arrivo di due cani, adottati contro la volontà dell’uomo, compromette irreparabilmente i delicati equilibri interni, sommandosi allo stress del lavoro, alla difficoltà dell’educare due figlie a torto o a ragione sempre più disinibite, alla delusione seguita alla fine degli ideali politici. Fra comico e tragico, Benvenuti regge la scena dando voce anche alla figura della moglie Mara, esile e delicata (almeno così la immaginiamo), mossa da profonda amore per la famiglia, ma tormentata dal non sentirsi all’altezza delle responsabilità quotidiane che il ménage quotidiano implica.

Una pièce che è un viaggio nell’allegro malessere della società contemporanea, fra genitori in difficoltà nel comprendere i figli, e figli a loro volta sempre più soli e persi in una realtà virtuale che ha nei social-network illusori mezzi relazionali. Il quinto atto si lascia andare alla più totale comicità, incentrato sulla difficile convivenza con il secondo cane adottato dalla famiglia, prima di lasciare spazio all’amarissimo finale. Un’alternanza fra comico e tragico che si rifà alla lezione teatrale della Grecia classica, alternanza necessaria per creare quel rilassamento fisiologico del pubblico, il quale, condotto per mano dall’arguzia di Benvenuti, e probabilmente ingannato dall’accento squisitamente toscano, quasi osserva senza vedere quell’amarezza esistenziale che ha caratterizzati, per limitarsi al solo Novecento, autori quali Celan, Marai e von Rezzori, e l’italiano Italo Svevo, tutti esponenti dell’ultima, struggente stagione culturale asburgica.

Volendo proseguire il parallelismo con Svevo, il tragico finale, oltre ad avere chiari collegamenti con la realtà italiana contemporanea della violenza domestica, rappresenta anche un espediente drammaturgico improntato al paradosso, segnando il radicale punto di rottura con il passato, e l’inizio di una nuova vita; una sorta di zeniana esplosione cosmica in grado di purificare l’universo e l’umanità. Senza voler cercare facili e abusati slogan, possiamo però affermare che, con Un comico fatto di sangue, Benvenuti è all’apice della sua maturità drammaturgia e attoriale, rispolverando il suo ironico e scanzonato repertorio da “maledetto toscano” che data dagli esordi con i Giancattivi, che l’esperienza di vita ha vieppiù venato di filosofico cinismo, unito a un marcato smarrimento davanti alle incomprensioni con le figlie, esponenti di quella giovane generazione che dovrebbe costituire il futuro dell’Italia.

Di un’Italia preda della corruzione e del trasformismo politico, dove la cultura sembra lasciare il posto alla televisione, al suo linguaggio scarno e volgare, ai suoi modelli preconfezionati, che non lasciano margine per la critica, i sogni, le idee. Benvenuti vi accenna appena, con poche frasi efficaci. A buon intenditor… L’uomo, inteso come quell’individuo che abbia conservata la propria personalità, si sente offeso e intimorito da una simile situazione. Solo sul palcoscenico, immerso in una semioscurità concettualmente shakespeariana, Benvenuti guarda la platea, e metaforicamente la realtà circostante, con quella faccia un po’ così, e un’aria (semi)allegra da italiano in gita, a simulare una tranquillità interiore che in realtà non esiste.

E qui, entra in gioco la componente psicologica del testo, che sembra prendere le mosse, anche forse inconsciamente, dall’enigmatico Zeno Cosini cui si è fatto cenno di sopra, che in un certo senso rivive nel malinconico protagonista, un sognatore capace di gesti estremi. L’intelligenza dello spettacolo si intuisce sin dal gioco linguistico del titolo, che equivoca su quale termine sia il vero soggetto grammaticale. Il fatto narrato è “comico”, certo, ma anche il comico, inteso come genere teatrale e, soprattutto, come essere umano, è fatto di sangue, così come di bile, di cuore, di sogni, di delusioni.

Un fardello a volte troppo gravoso da portare, che richiede a gran voce una soluzione estrema. Un teatro, quello di Benvenuti, che sotto il rassicurante velo della comicità, cela profondi e complessi richiami a Sade, Artaud, Bene, Neil Simon e Natalia Ginzburg, oltre ai già citati autori mitteleuropei. Quella nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento, per citare il drammaturgo salentino, è presente in questa bella pièce in quanto sogno di un’impossibile pace con sé stesso e con gli altri.

Ma non si tratta di uno spettacolo apocalittico, poiché la dolcezza di certi passaggi, relativi all’amore per la moglie, alle riflessioni interiori del protagonista, alla necessità dei sogni personali, tracciano davanti a noi un sentiero che vale la pena seguire. Niccolò Lucarelli

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