Pane e pasta: quanto costa vivere?

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
04 dicembre 2007 13:37
Pane e pasta: quanto costa vivere?

Al caro-prezzi secondo le rilevazioni dell’Istat non sfugge alcun genere alimentare, dalla pasta (aumentata quasi dell’otto per cento) alla carne, passando per il pane, che segna il rincaro maggiore. Gli aumenti, sottolinea la Coldiretti, non sono dovuti ai rialzi dei prezzi delle materie prime. Se il prezzo del grano si è ridotto del 10% non sembra che tale riduzione abbia potuto impedire i rincari. L’impennata dei prezzi ha determinato, secondo i rappresentanti dei coltivatori, una diminuzione del consumo di questi prodotti.
“Stop alla campagna contro i produttori di pane e pasta orchestrata sui prezzi di vendita al dettaglio, a suon di cifre oltremodo gonfiate, da talune associazioni dei consumatori.

Nessun rincaro per pane e pasta del 20% e nessun aumento ingiustificato pari a 12-15 volte il prezzo della materia prima, come millantato invece verso l’opinione pubblica. Aumenti ce ne sono stati e li ammettiamo, poiché non vogliamo e dobbiamo difenderci, ma solo informare correttamente tanto sulla loro entità, che sulle cause che li originano” E’ così che Barbara Ajello, presidente della Federazione Alimentazione di Confartigianato Imprese Firenze, commenta il mito del panettiere profittatore, cercando di riportarlo alla sua effettiva dimensione reale.
Confartigianato conferma gli aumenti dei prezzi per gli alimenti incriminati: + 7,7% negli ultimi 12 mesi per la pasta e +12,4% per il pane in base all’Istat, ovvero + 5% per la pasta e + 10% per il pane in base alle rilevazioni dell’Ufficio Studi di Confartigianato.

Per il Comune di Firenze, poi, gli aumenti sono stati addirittura inferiori al livello nazionale, assestandosi intorno al 2,1% per i dati forniti dall’Ufficio Statistica di Palazzo Vecchio.
Alla base dei rincari una serie di concause. Tra di esse, l’aumento dei costi delle materie prime cresciuti, negli ultimi sei mesi, secondo i dati Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) del 100% per il frumento duro e del 60% per il frumento tenero. Un rincaro che l’Italia paga più duramente poiché, importando dall’estero circa la metà delle proprie materie prime, è svantaggiata nello sfruttare gli accordi di filiera.
Accanto, gli aumenti dei prezzi di gas, elettricità e carburanti (nell’ultimo triennio l’aumento dell’energia elettrica ha centrato un + 36,7%), il costo della manodopera e la pressione fiscale.
“Insomma - spiega Ajello – i costi incidono nei prezzi al consumo per l’85% nel caso del pane (40% energia, gestione e altri costi vivi, 30% materie prime, 15% imposte) e per il 75% in quello della pasta (35% imposte, 30% materie prime, 10% energia, gestione e altri costi vivi)”.
Più degli allarmismi poco fondati a preoccupare la Federazione Alimentazione di Confartigianato è invece il calo delle vendite al dettaglio nella piccola impresa alimentare (-2,9% nel 3° trimestre 2007) e la crescita della grande distribuzione (+3,6%) registrati da Unioncamere.

Una diminuzione significativa per le 492 imprese artigiane del settore attive a Firenze e provincia (84.9% del totale) provocata tanto dalla concorrenza della grande distribuzione, quanto da cambiamenti nello stile di consumo (attitudine degli under 50 ad acquistare il pane 1-2 volte la settimana, tendenza all’acquisto di pane elaborato non più considerato dunque come genere di prima necessità, se non dalle comunità straniere immigrate) e dalla perdita del potere d’acquisto dei consumatori.
“La soluzione, a parte l’adeguamento alle nuove forme di consumo, sta nella valorizzazione dell’alta qualità della produzione artigiana, per esempio attraverso marchi come la D.O.P richiesta anche per il Pane Toscano” conclude Ajello.
Una richiesta, però, ancora in attesa di riconoscimento presso il Ministero per le politiche agricole e l’Unione Europea, nonostante sia un ottimo strumento per valorizzare il pane Toscano (cioè fatto con un’apposita miscela di grano tenero, ottenuta da frumento prodotto, coltivato e molito in Toscana, acqua e lievito naturale, naturalmente senza aggiunta di sale, così come avviene dal XII secolo quando pare che i pisani ne abbiano bloccato il commercio per costringere i fiorentini alla resa, inutilmente però, visto che Firenze iniziò a produrre pane sciocco) e per permettere al consumatore di distinguerlo da quello di tipo toscano, prodotto per lo più a livello industriale, con l’impiego di additivi, materie prime e lavorazioni non riconducibili al territorio.

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