Sull'uscio di cucina: Mrs. Trippa & Mr. Lampredotto

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
01 dicembre 2007 23:41
Sull'uscio di cucina: Mrs. Trippa & Mr. Lampredotto

Uno dei piaceri più grandi di una passeggiata al mercato di San Lorenzo, è l’essere investiti dal toccante e antico odore del brodo del trippaio. I trippai sono una vera e propria istituzione fiorentina. Calcano le strade di svariati quartieri con il loro banchino ambulante carico di leccornie che hanno più storia delle pietre.
L’avvicinarsi a tale esercizio su ruote non è un semplice gesto di un passante colto dai crampi della fame, proprio no. È il riconciliarsi con le origini, con i veri sapori della tavola fiorentina dei poveri.

Quando il sorridente proprietario spalanca il coperchio del pentolone in cui bolle perennemente un brodo fatto di odori e pomodoro e ne estrae quello strano pezzo di stomaco del bovino chiamato abomaso, che ha un colore scuro, marrone, da cui nasce il lampredotto, i più infantili vagiti escono dalla tua bocca perché tu sai bene cosa dire, perché tu sei nato a Firenze e come un codice affidato alla nascita ad ognuno di noi, si sa come deve essere: caldo, condito con sale e pepe, racchiuso in un panino chiamato semelle che deve essere bagnato con il brodo.

È vero che come condimento ci sono anche la salsa verde e l’olio piccante, ma la mia tradizione personale non prevede queste varianti! Il lampredotto è uno delle poche specialità che si trova solo a Firenze, specialmente il panino con il suddetto è possibile mangiarlo solo all’interno della città.
Ma nello stesso banchino viene servita anche la trippa, che come il lampredotto contiene pochissimi grassi. La trippa non è un’esclusiva della tradizione culinaria toscana; la si trova in molte regioni italiane.

Ma a Firenze la si può mangiare per strada, in barba ai fast food e alle pizzerie a taglio.
La trippa è una frattaglia costituita da diverse parti dello stomaco del bovino. Vi sono infatti 3 principali tipi di trippa: il rumine o croce, che è comune e liscia; il reticolo o cuffia, che ha un aspetto spugnoso; e l’omaso o centopelli, che si presenta con molte pieghe bianche. Il termine “trippa” viene abbinato solo alla croce e alla cuffia. Invece il centopelli è usato soprattutto per l’omonima zuppa, preparata con gli odori, la pancetta, il pomodoro e il cavolo.
Invece le trippe si mangiano in insalata, con gli odori e il prezzemolo, ottime da asporto.

Ma il piatto che preferisco è la trippa alla fiorentina: calda, immersa nel pomodoro e grondante di parmigiano. La sua preparazione è anche relativamente veloce. La trippa viene venduta già bollita, basta tagliarla a striscioline e quindi, in circa 30 minuti di cottura a fuoco lentissimo, è pronta.
Mi è capitato di assaggiare anche la trippa fritta e devo dire che è stata una piacevole sorpresa. Si sa che fritta è una buona anche una ciabatta, ma la trippa è davvero uno dei cibi più buoni della nostra tavola.
Consiglio un “giro dei trippai” o al Porcellino o al mercato di San Lorenzo, in Piazza de Cimatori, all’Arco di San Piero o perfino a Careggi.

E consiglio di riflettere sul fatto che questi cibi provengono dall’abitudine nel medioevo dei signori di destinare il quinto quarto, cioè il sottoprodotto della macellazione dei bovini, ai poveri, a margine delle loro sontuose cene.

Vanessa Bof

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