A Firenze cure palliative solo per uno su quattro

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 gennaio 2005 00:25
A Firenze cure palliative solo per uno su quattro

Firenze - Ogni anno muoiono di tumore a Firenze 1800 persone, ma la dimensione del dolore è assai più vasta e si stima che almeno 4500 avrebbero bisogno di cure palliative. I 1150 circa che l’Azienda Sanitaria riesce ad assistere, anche grazie al contributo dei privati (fondazioni e associazioni come FILE, Lilt, Calcit), non sono dunque che la minima parte, circa uno su quattro, della legione di uomini e donne d’ogni età costrett a ogni anno a un ultimo, penosissimo ‘giro di giostra’, metafora con cui il giornalista Tiziano Terzani titolava il suo libro d’addio prima di morire di cancro nel luglio del 2004.
“Queste semplici cifre spiegano da sole quanto ancora occorre fare per garantire a tutti una fine senza sofferenza e nella dignità”, ha detto ieri la presidente di FILE Donatella Carmi Bartolozzi, al convegno che la Fondazione Italiana di Leniterapia ha organizzato per riassumere i due anni di attività e per annunciare i prossimi obiettivi.
Eccoli gli obiettivi: 1) finanziare una seconda equipe specializzata dopo quella già operativa sotto il comando della Asl; 2) marcare una presenza più incisive nell’hospice dedicato alle cure palliative che la Asl aprirà nel 2006 in via S.

Felice a Ema proprio anche grazie ai contributi di FILE; 3) realizzare con l’università di Firenze un secondo Master in cure palliative; 4) continuare l’opera di sensibilizzazione attraverso dibattiti, convegni, conferenze e quant’altro occorra a diffondere la cultura della leniterapia.
Quanto questo lavoro sia necessario in Italia lo ha spiegato Mario Pappagallo, giornalista medico-scientifico del Corriere della Sera, che col fratello Marco, neurologo, direttore a New York del Centro di Terapia del Dolore dell’ospedale Beth Israel, sta scrivendo un libro (titolo Primo: non soffrire) in cui descrive il profondo gap esistente in materia tra Stati Uniti e Italia.
“Là”, ha ricordato, “gli hospice specializzati in cure palliative sono ormai considerati superati perché tendenzialmente ghettizzanti.

E si punta quindi sull’assistenza a domicilio elevando la famiglia a fulcro della nuova strategia. Da noi, al contrario, gli hospice sono una novità assoluta, un primo passo importante che già, però, si illumina di paradossi all’italiana: ieri non c’era medico che si sentisse di dire la verità al paziente; oggi, almeno in Lombardia, il paziente non ha speranza di entrare all’hospice se prima un medico non lo dichiara malato terminale”.
Non basta. Negli Stati Uniti si fa largo uso di farmaci antidolorifici senza alcun problema.

Si tratta di oppiacei di nuova generazione, efficaci senza dare dipendenza. Malgrado ciò in Italia non hanno cittadinanza fuori dalle strutture ospedaliere. I medici di base spesso rifiutano la prescrizione, in parte per motivi culturali o religiosi, in parte perché temono grane. “Il risultato”, ha aggiunto Pappagallo, “è che troppi continuano a morire nel modo peggiore, senza alcuna assistenza psicologica, tra dolori spesso insopportabili, in un degrado fisico e morale che coinvolge inevitabilmente la famiglia e che l’impotenza a reagire rende ancor meno sopportabile”.
Del ruolo chiave della famiglia ha parlato Angela Staude Terzani che ha ricordato gli ultimi mesi del marito Tiziano, un dramma vissuto con straordinario coraggio e reciproca consapevolezza.

L’antropologo Tullio Seppilli ha invece parlato di “qualità della morte”, mentre il direttore dell’Istituto Giano di Roma, Sandro Spinsanti, ha presentato una relazione sugli “Attuali dilemmi della fine vita”. Mariella Orsi, vicepresidente della Commissione Regionale Toscana di Bioetica, e Giovanni Maggio, docente di Comunicazione d’Impresa all’Università di Firenze, hanno aperto e riassunto il dibattito.

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