Il Molière di Giulio Bosetti e Jacques Lassalle alla Pergola

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 gennaio 2004 16:24
Il Molière di Giulio Bosetti e Jacques Lassalle alla Pergola

Quale personaggio universale è più riuscito nella storia del teatro che il geloso signorotto Arnolphe, ossessionato dal tradimento, protagonista de "La scuola delle mogli" di Molière? Questa commedia si delineò fin dal suo primo apparire, il 26 dicembre 1662, come il più grande successo della carriera di Molière. Segna definitivamente il passaggio dalla commedia tradizionale alla commedia realistica di costume. Tutta Parigi accorse a vederla; secondo i cronisti del tempo, il re Luigi XIV «non riusciva più a tenersi dal ridere».

La commedia suscitò scandalo e attirò ira e invidia sul suo autore; fu accusata di essere volgare, oscena, immorale.
La scuola delle mogli ruota intorno a un’ossessione, un’idea fissa: il tradimento. E pare che il matrimonio che Molière contrasse nel 1662 con Armande Béjart, più giovane di ventitré anni, possa essere considerato la vera ‘fonte’ privata dalla quale la commedia ha avuto origine. È pertanto la storia autobiografica di un uomo maturo, Arnolphe, ben deciso a portare a fondo il piano ideato a freddo di cercarsi una moglie.

Arnolphe si è costruito dentro di sé, in modo aberrante, l'immagine ideale di una moglie su misura, cercandola ancora fanciulla in una famiglia povera e facendola educare nella più disarmante ingenuità e ignoranza; ma l'ingenuità di Agnese, la fanciulla prescelta, invece di essere una garanzia, determina che essa viva l'eros in maniera totalmente imprevista innamorandosi senza saperlo del giovane Orazio. Il risultato è comicamente tragico: Arnolfo si sente addosso l'onta delle corna senza poter intervenire e inoltre il crollo totale, apocalittico, della validità della sua teoria sul matrimonio e sulle donne.

La sconfitta diventerà ancora più bruciante quando si accorgerà di essersi innamorato della fanciulla, per cui l'elemento irrazionale dell'amore imprevisto manderà definitivamente in frantumi il cinico disegno.
L'accurato lavoro del regista Lassalle e dell'ottimo Giulio Bosetti, grazie alla traduzione di Giovanni Raboni, cerca di mettere in luce i lati più nascosti del testo di Molière, il retroterra velenoso delle sue commedie. Non è infatti una farsa sulle "corna", è la storia, neanche tanto comica di un "mostro", un personaggio sdoppiato: da un lato un simpatico notabile di provincia Arnolphe, dall'altro un enigmatico carceriere, il Signor Del Ciocco.

Un mostro che finisce per diventare umano quando confessa ad Agnese, la sua sposa promessa, il dolore della passione e assumendo le sembianze di ciascuno di noi alle prese con la passione e la possessività.
La commedia ci parla dell'alienazione dell'uomo oppresso dalle sue ossessioni e impotente, con tutta la sua intelligenza pianificatrice, di fronte alla forza rivoluzionaria dei sentimenti. È così che l'interesse di quest'opera straordinaria si preserva dall'invecchiamento: sia per l'assoluta riuscita comica del perfetto meccanismo teatrale basato sugli equivoci, sia per il ridicolo di cui copre un personaggio, il geloso beffato, cui possiamo facilmente dare un nome; infine perché ci parla di patologie umane.
"Comunque uno possa aver vissuto / non è uomo d’onore se è cornuto».

In questa battuta si può riassumere la filosofia (distorta, certo, ma non priva di logica) che contraddistingue il pensiero del protagonista dell’opera, tormentato dal rilassamento dei costumi del suo tempo, che per evitare di essere tradito dalla propria moglie ha deciso, tredici anni prima, di “acquistare” una bambina di quattro anni, l’ha fatta crescere in convento, lontana dalle insidie del mondo e da ogni possibile forma di istruzione, convinto che sia preferibile una moglie poco attraente e sciocca ad una bella ed intelligente.

E fin dall’inizio della rappresentazione Crisaldo (un bravissimo Giorgio Bertan), che altri non è che lo spettatore –trasportato sul palcoscenico-, mette in rilievo tutte le possibile pecche del ragionamento di Arnolphe. E’ impossibile condizionare la mente umana –dice- perché comunque andrà a finire la natura farà il suo corso. E così puntualmente avverrà, in un susseguirsi di colpi di scena e di trovate di genio. Da una parte Orazio (Emiliano Iovine, che recita con energia il giovane innamorato) cerca in tutti i modi di incontrare la sua bella, dall’altra Arnolfo cerca in tutti i modi di impedirglielo.

E, beffardamente, Orazio non sa che è lo stesso Arnolfo ad avere progetti matrimoniali verso Agnese (Sandra Franzo,convincente nel ruolo della fanciulla ingenua innamorata per la prima volta) e finisce per confessargli tutti i suoi progetti, in preda ad un giovanile quanto superficiale entusiasmo. Ma alla fine tutto si risolverà, e Molière riuscirà a ricucire lo strappo con raffinata maestria: la ragazza è in realtà figlia di illegittima di un gentiluomo facoltoso, che l’ha destinata in sposa proprio all’amato Orazio.

Ad Arnolfo non resta che allontanarsi dalla scena dove solo la felicità può regnare, e scendere in platea. Per lui non c’è più posto, i suoi propositi sono falliti, ma in fin dei conti, come dice il saggio Crisaldo: “Se ai vostri occhi non essere cornuto / è la cosa essenziale / non c’è niente di meglio che sottrarsi / ad ogni impegno nuziale”.
Bosetti e la sua ombra-controparte Bertan recitano in maniera misurata, sfruttando quel meraviglioso strumento che è la loro voce, ed è un piacere starli ad ascoltare.

Altrettanto valida è la coppia Nino Bignamini – Elena Ferrari, servitori di Arnolfo, molto bravi nel rendere il “loro” mondo, così distaccato da quello del padrone, e sempre pronti a buttare una ventata di normalità quando il turbinio di passione e follia si fa più forte. Uno spettacolo da vedere, se non altro per assistere ad un’interessante lettura di Molière, forse meno concitata, ma senz’altro più intensa e profonda. (Roberto Onorati)

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