Le pietre parlano - Il gigante devastato, fra impotenza e indifferenza

Prima tappa dentro la vicenda dell’ex Sanatorio “Guido Banti” a Pratolino

Girolamo
Girolamo Dell'Olio
17 settembre 2019 11:40

Non era vinto ancora Montemalo / dal vostro Uccellatoio, che, com' è vinto / nel montar sù, così sarà nel calo.

Parola di Cacciaguida, trisavolo del Poeta.

Siamo in Paradiso, e attraverso l’immagine del colle dell’Uccellatoio – a Pratolino - si parla di quella Fiorenza che, non più sobria e pudica come l’antica, insuperbita dai sùbiti guadagni, si bea stoltamente dell’effimero sorpasso su Roma (rappresentata da Montemalo, ovvero Monte Mario).

E dunque, venendo a noi, dopo le puntate dedicate all’arte e ai sogni che si annidano fra le pietre parlanti delle Gualchiere di Remole in riva d’Arno, saliamo oggi sulla collina di Pratolino.

E’ proprio lì, su questo sperone incastonato nel verde fra il parco territoriale di Monte Morello a ovest e quello mediceo di Villa Demidoff a est, che qualcuno ha deciso alla fine degli anni Trenta del secolo scorso di edificare in robusto cemento armato, avvolto in un ameno parco, mirabilmente privo di barriere architettoniche e concepito con un disegno e una funzionalità assolutamente all’avanguardia, quello che per 50 anni - fino al deplorabile abbandono - è stato innanzitutto un monumento nazionale alla salute. Denominato Sanatorio “Guido Banti”, la gente amava chiamarlo l’ospedale dell’aria bona, perché lì, con la qualità del luogo innanzitutto, si curavano le malattie polmonari, e in particolare il mal sottile, la tubercolosi.

Dal vasto solarium, ultimo piano, ma già anche dai piani inferiori, dai terrazzini e dai ballatoi, ci raccontano le guide, si gode un panorama mozzafiato sulle colline e la città del fiore. Dappertutto finestre e finestroni, luce, luce, luce: la terapia principe!

Reciprocamente, gigante abbandonato sul fianco di Pratolino, il Banti non si nega alla vista di chi volga verso nord lo sguardo da qualunque punto della conca che ospita Firenze e le comunità che le fanno corona.

Dismesso nel 1989, è uscito progressivamente dalla memoria e dall’immaginario collettivo legato a quella sua preziosa funzione salutistica, divenendo preda di ogni sorta di uso emergenziale, mal uso, abuso, occupazione, saccheggio e violenza. Compresa quella di ragazzi annoiati dalla città che vengono a finire di distruggere a sassate le vetrate. O quella di cultori poco coscienziosi del soft air che – mettendo a repentaglio la propria stessa salute e sicurezza – giocano a simulare azioni militari fra cornicioni e intonaci cadenti, porte scardinate, in mezzo a suppellettili rovesciate e referti impudicamente disseminati in ogni dove.

Non tutto è così, però, reclamano certe cronache pubblicate in rete. Questa, ad esempio, merita forse qualcosa di più di una banale moralistica riprovazione…

Di sabato pomeriggio, l’Ospedale diventa una sorta di “casa del popolo”, un luogo di ritrovo per tutti quanti, soprattutto per ragazzini: 15enni che ci vanno a fare danza, 20enni che ci vanno a girare cortometraggi, coppiette che ci cercano brividi e intimità, turisti vari, gruppi di amici in comitiva: più che un luogo abbandonato sembra una piazza, allegra e felice… Tutti a divertirsi in un ambiente, in ogni caso, assai sui generis, che è effettivamente l'”edificio abbandonato” con tutti i crismi, con mura rotte da picconate per rubare rame o tubi, materassi e vestiti sparsi sui pavimenti a indicare occupazioni abusive, pavimenti che sembrano groviera da quanto sono bucherellati per chiudere condotti vari o per rubare chissà che, vetri rotti e porte sfasciate su ogni pavimento, polvere a volontà, distruzione completa, graffiti più o meno satanistici (molto più fumettari che altro), scritte infantili quasi “scolastiche” («Gianni ama Gina» e altre sciocchezze), ruggine quanta ne vuoi, armadi derelitti rovinati a terra, resti della funzione ospedaliera (c’è una macchina sdrucita che si desume essere stata radiografica, poiché circondata, sui pavimenti limitrofi, da radiografie, anche, si diceva, del ’92 e quindi ritraenti ossa di persone magari ancora vive, il cui nome e data di nascita spiccano sulle etichette impresse sulle lastre, in spregio a qualsiasi privacy), bagni più o meno demoliti a ogni angolo….

Non di rado, del resto, il Banti si piega al ruolo di ambito fondale per set fotografici o cinematografici più o meno horror. Prima del suo definitivo tracollo, già Francesco Nuti era riuscito a girarci dentro, travestendolo da ospedale psichiatrico, alcune scene del suo “Donne con le gonne”... E non sono rari gli incontri, in rete, con cortometraggi girati nei suoi anfratti con dovizia di suggestioni e atmosfere.

Proprietà sgradita e respinta dall’Azienda Sanitaria, il glorioso Sanatorio è passato indenne attraverso ben quattro aste pubbliche (l’ultima, qualche settimana fa), tutte andate deserte, nonostante che il valore attribuitogli da mamma ASL sia precipitato in tredici anni da 9,6 a 2 milioni di euro! Che già il parco, da solo… chissà quanti ne varrebbe!

E viene da pensare: siamo proprio certi che ancora oggi non potrebbe, la qualità di questo luogo, giovarci, alleviando o risolvendo tante novelle sofferenze che una malintesa modernità ci propina?

Entriamoci, allora, una di queste mattine di settembre, accompagnati da un piccolo gruppo di aficionados per una prima occhiata verso l’alto dal viale.

E poi dentro il parco.

E poi ancora lungo il sentiero della Garena che costeggia il gigante, dove i ‘visitatori’ hanno aperto varchi ininterrotti nella rete di recinzione, vanamente tamponata e subito dopo ridivelta.

Scoprirai che il ‘selvatico’ riprende possesso delle superfici a travertino variamente istoriate da scritte e graffiti cubitali quanto ardimentosi e opinabili.

Dappertutto – sul viale, nel parco e fin oltre il suo perimetro – piove, inesorabile, amianto dalla copertura frantumata dal tempo, dalle intemperie e dai colpi di grazia dello scempio antropico.

Infine, i solenni e fitti esemplari ad alto fusto che popolavano, ordinati lungo gradinate e vialetti, su terrazze, il polmone verde tutt’intorno, li ritrovi – avventurandoti non senza difficoltà - crollati disordinatamente al suolo per marcirvi. O incerti sulle barbe. O abbracciati da folti guanti d’edera, intrecciati in un sottobosco pressoché impenetrabile di pruni. Selva oscura… selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura!

Hai circostanze da segnalare? Scrivi a Girolamo Dell’Olio, girdelcon@gmail.com.

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