Le formiche alla guerra: conflitti sugli ecosistemi in una ricerca dell’Università di Firenze

Microbiologia agraria: la comunicazione elettrica fra batteri all’origine della formazione dei biofilm resistenti ai farmaci in uno studio del DISPAA pubblicato sul Journal of the Royal Society Interface

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
16 novembre 2014 23:51
Le formiche alla guerra: conflitti sugli ecosistemi in una ricerca dell’Università di Firenze

Come vanno alla guerra le formiche? Le strategie belliche degli insetti non hanno più segreti grazie allo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Firenze. Lo studio, che utilizza un approccio chimico per analizzare le tattiche usate in combattimento dalle formiche e prevederne gli esiti, è stato pubblicato dalla rivista scientifica PLOS ONE (“Modeling Warfare in Social Animals: A "Chemical" Approach”, DOI: 10.1371/journal.pone.0111310). Caparbie e instancabili lavoratrici, le formiche sono anche animali fortemente competitivi, pronti a scatenare violente battaglie per difendere le risorse, anche all’interno del proprio formicaio.

Ma sono quelle che rimangono coalizzate contro l’avversario ad avere la meglio. I ricercatori fiorentini - Franco Bagnoli, Gianluca Martelloni (Dipartimento di Fisica e astronomia), Giacomo Santini, Filippo Frizzi (Dipartimento di Biologia) e Alisa Santarlasci (dottore di ricerca in Sistemi complessi) - hanno scoperto i meccanismi con cui le formiche mettono in atto gli attacchi. I combattimenti tra gruppi molto ampi di formiche tendono a frazionarsi in una serie di scontri che coinvolgono piccoli gruppi o singoli individui, paragonati dai ricercatori a molecole e atomi, di cui è possibile prevedere il comportamento.

“Dalle osservazioni - spiega Franco Bagnoli, ricercatore di Fisica della materia - abbiamo ricavato una sorta di diagramma delle fasi di un combattimento, che permette di determinare l'esito di una battaglia fin dalle sue fasi iniziali.” I ricercatori hanno studiato i combattimenti tra formiche Lasius paralienus, specie comune in Europa, e quelle di una specie invasiva molto simile, Lasius neglectus, che si è recentemente diffusa in tutto il continente.

Più piccole delle altre specie e molto aggressive, le Lasius neglectus costituiscono enormi formicai con più regine e attaccano in massa il nemico, imponendosi grazie alla migliore strategia di combattimento e mettendo così a repentaglio la stabilità ecologica delle comunità di formiche autoctone. “Le formiche sono dei veri e propri ingegneri ambientali – commenta Giacomo Santini, ricercatore di Ecologia – e hanno un ruolo chiave nel funzionamento degli ecosistemi che si riflette, a cascata, sulla vita degli animali più grandi e ha effetti anche sulle attività umane.

Il nostro modello chimico, che stiamo testando su altre specie di formiche, permetterà di prevedere la dinamica di cambiamento di comunità complesse e di comprendere in modo più dettagliato le modalità di diffusione delle specie invasive.”

Come si formano i biofilm batterici, le aggregazioni complesse che rendono i microrganismi più pericolosi, perché meno vulnerabili dai farmaci? E’ l’interrogativo che si è posto un gruppo di ricercatori del DISPAA (Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente), coordinati da Stefano Mancuso (vedi foto in allegato), professore associato di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree, e Carlo Viti, associato di Microbiologia agraria; al lavoro ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Ottica del CNR. Il risultato dello studio, pubblicato sul Journal of the Royal Society Interface, indica nella segnalazione elettrica fra le cellule batteriche la causa della loro trasformazione da cellule separate e fluttuanti in un mezzo liquido in strati di biofilm, in cui i batteri sono legati gli uni agli altri e connessi ad una superficie solida (di tipo biologico o inerte) attraverso un tessuto connettivo. “I batteri che si trovano nello stato di biofilm, invece che nella normale forma galleggiante, o planctonica - spiega Mancuso – possono essere fino a 4.000 volte più resistenti agli antibiotici.

Capire come i batteri mutino stato, da quello planctonico verso lo stato aggregato - continua Mancuso - ha importanti implicazioni pratiche in medicina, dove i biofilm batterici inducono problemi da varia natura, che vanno dalla banale placca dentale alle molto più serie infezioni perniciose su impianti solidi come ad esempio i cateteri venosi”. “I risultati ottenuti – conclude Mancuso - indicano che l'analisi dell'attività elettrica batterica durante la formazione di biofilm può fornire un nuovo importante strumento sia per la comprensione dell’emergenza dei comportamenti batterici collettivi che per la possibilità pratica di prevenirli”.

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