L'albergatore di Montecatini non era mafioso

La sentenza del Tribunale di Livorno condanna un quotidiano per diffamazione

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
15 aprile 2011 22:31
L'albergatore di Montecatini non era mafioso

Antonino Rizzone, noto albergatore di Montecatini Terme, e la sua famiglia , non sono mafiosi, nonostante le affermazioni pubblicate negli anni scorsi da alcuni giornali. E' stata infatti depositata in Cancelleria nelle settimane scorse la sentenza con cui la Sezione Penale del Tribunale di Livorno ha condannato in primo grado, per diffamazione a mezzo stampa, due giornalisti del Tirreno e l'allora direttore del quotidiano Bruno Manfellotto, che tra i 2003 e il 2004 pubblicarono tre articoli in cui si affermava che il Rizzone era stato indagato dalla Procura della Repubblica di Firenze , oltre che per il reato di corruzione in atti giudiziari, anche per il reato di associazione per delinquere. La circostanza però è risultata non veritiera, come l'amicizia con personaggi mafiosi e camorristi sempre riferita sul quotidiano, sino ad aver ipotizzato, negli articoli “incriminati”, una vera e propria affiliazione a Cosa Nostra, nel Clan dei Corleonesi.

Proprio nelle settimane scorse il Rizzone ha tra l’altro visto confermata in Appello l'assoluzione dalle accuse mosse dalla Procura fiorentina , quanto al reato di corruzione, il solo reato per cui sia mai stato indagato ed abbia subito un processo. Gli articoli dell'edizione montecatinese del Tirreno si erano basati su alcuni rapporti della Squadra Mobile, ma che l'imprenditore di origine siciliana facesse parte di sodalizi mafiosi era notizia falsa, ed ha fortemente compromesso la sua reputazione.

Tanto più che il giornale aveva pubblicato anche la foto dei suoi alberghi, il Florio e il Trinacria, a fianco del titolo “Gli Hotel dei Corleonesi”. Il Giudice monocratico di Livorno, nei mesi scorsi, ha concluso che gli articoli del Tirreno si discostavano nettamente dal contenuto dei provvedimenti della Procura di Firenze, riportando notizie non veritiere, e perciò, ritenendo provato il reato di diffamazione a mezzo stampa, ha condannato i due giornalisti e il direttore ad una pena pecuniaria, sia pur condonata ai sensi della legge del 2006, nonché ad una provvisionale pari a € 15.000,00 in favore di ciascuna parte civile costituita.

Rimarrà poi da quantificare in sede civile il risarcimento dei danni ulteriori nei confronti delle parti lese.

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