Nella fantacronaca del libro di Silvia Resta qualche tesi veritiera

Ipotesi di ‘bombe di pace’ della mafia quelle del 1993. L’autrice, inviata del Tg La7, crea il personaggio di una giornalista americana che scopre l’intrigo per la ‘presa del potere’. Ma nessuno pubblicherà l’inchiesta.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
18 gennaio 2010 18:26
Nella fantacronaca del libro di Silvia Resta qualche tesi veritiera

La verità scritta dalle sentenze di condanna per la strage dei Georgofili, potrebbe arricchirsi se saranno verificate ed approfondite le recenti rivelazioni sulla cosiddetta richiesta di ‘trattativa’ della mafia con lo Stato. Quelle di ‘bombe di pace’ (dopo gli omicidi Falcone e Borsellino), è l’ipotesi del romanzo di ‘fantacronaca’ della giornalista Silvia Resta, inviata del Tg La7, esperta di ‘giudiziaria’. L’autrice, inventa il personaggio di Kate Morrison, una giornalista americana che il quotidiano newyorkese per cui lavora ha inviato il 27 maggio 1993 a Firenze, poche ore dopo l’attentato agli Uffizi.

Una volta sul posto, a rovine ancora fumanti, ha chiaro che si tratta di una bomba messa dalla mafia siciliana, mentre le testate italiane parlano prima di fuga di gas, poi di attentato dei narcos colombiani. E, da buona reporter, sul posto trova il primo indizio che la condurrà alla scoperta di una verità allarmante, che porta ad una specie di ‘Spectre’ che vuole impadronirsi dello Stato e sostituirsi ai vecchi partiti consunti da tangentopoli. Il ‘fiuto’ della cronista la condurrà fino ad una clinica in Svizzera, dove troverà la prova del complotto, della strategia stragista per arrivare a sostituire le vecchie forze politiche al vertice delle Istituzioni.

Un documento compromettente e con verità pericolose, dove si spiega l’idea del capo della ‘Cupola’, si annunciano tutte le bombe del 1993 a Firenze, Roma e Milano e si trovano le complicità in una ‘zona grigia’ dell’economia, che mischia massonerie e criminalità. Ed il disegno di colpire per la prima volta fuori della Sicilia il patrimonio artistico – questa l’ipotesi della giornalista - non poteva essere concepito da Cosa Nostra, che non sa neppure cosa sono gli Uffizi, figuriamoci l’Accademia dei Georgofili.

Solo menti raffinate potevano suggerire questi obiettivi e condurre il gioco. La mafia, dunque, come strumento di un’associazione segreta con dentro una parte della stessa classe dirigente (politici, finanzieri, industriali, religiosi, generali, agenti dei servizi, giornalisti, avvocati, giudici eccetera) che ha come scopo la destabilizzazione dell’Italia per organizzare un ‘golpe bianco’ di metamorfosi indolore, impaurendo l’opinione pubblica e sostituendosi ai vecchi partiti. Una verità così grande, di sovvertimento dell’ordine costituito, che lo stesso direttore del quotidiano newyorkese rifiuta di pubblicare per non rischiare un caso diplomatico.

Così finisce il romanzo “La bomba di Firenze”, con la protagonista in crisi professionale, che lascia la prova in mano ad un magistrato antimafia e prende il primo aereo per l’India, dove meditare per un po’ di mesi. Oggi, dalla cronaca reale, è uscita la novità della possibile proposta di ‘trattativa’ tra la mafia e le istituzioni, per un accordo, di cui ancora non si sa il contenuto preciso. “Ci è chiaro – ha detto il consigliere Enzo Brogi (Pd) alla presentazione – che così la mafia avviò una nuova strategia per trattare con lo Stato.

Ma quello che si capisce è anche che ci sono sempre dei burattinai occulti che tirano i fili delle diverse strategie della tensione contro la democrazia”. Certo non c’è ancora risposta alla domanda ‘cui prodest?’, a chi giovarono quelle bombe, che dopo gli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino non portarono nulla di buono per i mafiosi. “I lati oscuri degli anni ’90 vanno ancora disvelati e bisogna fare luce per capire anche l’attualità. Ho fiducia nella magistratura – ha detto il giornalista del Tg3 Toscana Stefano Vidori - che in 7 anni, per la prima volta in Italia, è riuscita a condannare gli esecutori ed i mandanti mafiosi di quelle stragi.

Ma adesso bisogna scoprire e processare i mandanti con il volto coperto”. “Perché ho scritto un romanzo sulla bomba di Firenze? Questa - ha concluso Silvia Resta - è stata una città simbolo, perché è qui che c’è stato il primo attentato al patrimonio artistico italiano, con una ‘geometrica perfezione’ dinamitarda che ha segnato l’opinione pubblica in un periodo molto particolare”. (gdi)

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