FIRENZE - Dopo l’Ungheria, un altro pezzo d’Europa entra nella collezione degli Autoritratti della Galleria degli Uffizi, con l’acquisizione di opere di artisti belgi contemporanei e del secondo Novecento, quali Gaston Bertrand, Berlinde de Bruyckere, Wim Delvoye, Jan Fabre, Louis Van Lint. Acquisizioni che, nelle parole del direttore Antonio Natali “da un lato illustrano i rapporti culturali del museo fiorentino con i Paesi esteri e dall’altro attestano l’auspicio del museo a tenere il passo con i tempi”.
L’intera collezione, esposta nel suggestivo Corridoio Vasariano, esprime fascino particolare, considerando che l’autoritratto è poetica autobiografia di forme, ombre e colori, che, con maggior intimità della fotografia, ritrae quella luce dell’anima attraverso la quale l’artista parla di sé, delle sue ambizioni e angosce, dei suoi dubbi e spavalderie. Una scelta espressiva particolarmente coraggiosa, un mettersi a nudo davanti all’osservatore, che esprime quasi sempre un’intensità tanto intima da comunicare una certa qual commozione.
Le donazioni in favore degli Uffizi degli ultimi anni, hanno permesso l’ingresso nella collezione di autoritratti di importanti artisti contemporanei, che si affiancano ai già presenti artisti dell’Ottocento, per un totale di 23 autoritratti, visibili gratuitamente fino al 5 luglio nella mostra Gli autoritratti belgi degli Uffizi. Dall’Ottocento ai nostri giorni, ospitata in San Pier Scheraggio.
Un’ampia panoramica che ricompone la varietà di orientamenti stilistici, che vanno dalla compostezza d’impostazione accademica alle più libere e talvolta crude espressioni dei tempi a noi vicini.
Di squisita scuola realista, che risente della lezione di Manet e Millet, l’autoritratto giovanile di Eugène Henri Smits, con blusa rossa e cappello larghe falde.
Vicino all’Impressionismo di Camille Pissarro, si situa invece Émile Claus, esponente del Luminismo, caratterizzato da una tavolozza virata su caldi e chiari colori; il pittore si ritrae in giacca azzurra e camicia chiara, stagliato su uno sfondo naturalista. Suo collega nel gruppo artistico Vie et Lumière, fu James Ensor, che più tardi batterà i percorsi dell’avanguardia espressionista e surrealista. Ma intanto, l’autoritratto del ’22 lo riporta alle forme giovanili, con una tavolozza luminosa, lontana da quell’Entrata di Cristo a Bruxelles che gli attirerà pesanti critiche e incomprensioni. Altro personaggio di rilievo, Théophile van Rysselberghe, amico di André Gide e Toulouse-Lautrec, e seguace del Pointillisme.
A rappresentare il contemporaneo, fra gli altri, Berlinde de Bruyckere e Jan Fabre. Il primo, espone il calco deformato del busto, che rimanda idealmente all’anatomia di Michelangelo, ma con una crudeltà più accentuata. Fabre esplica invece l’autoritratto sottoforma di bestiario, assumendo ora gli attributi di un ariete (nella foto), ora di un asino. La mutevolezza del corpo viene indagata in chiave mitica, legata a leggende ancestrali.
Una piccola ma interessante mostra, grazie alla quale, attraverso i volti degli artisti, il visitatore entra nella complessa mentalità di un popolo, quello ungherese, avvolto nel fascino crepuscolare di vicende storiche tragiche e romantiche insieme, che hanno per sfondo paesaggi naturali d’aspra bellezza.