Scusi, dove porta questo tram?

Bisogna ammettere che il dibattito animatosi in questi anni tra opposti schieramenti è stato improntato piuttosto alla polemica e ad assunti ideologici indimostrati che a alla tramvia reale, fatta di elettrodi e carrozzeria, conducenti e passeggeri

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
05 agosto 2009 00:08
Scusi, dove porta questo tram?

di Nicola Novelli Non senza emozione, in queste settimane, la gran parte dei fiorentini ha visto per la prima volta i convogli di prova percorre i binari della linea 1. Per molti sarà stata anche l'occasione per riflettere con maggior concretezza sulla portata di questo progetto di mobilità collettiva. Sì, perché bisogna ammettere che il più delle volte il dibattito animatosi in questi anni tra opposti schieramenti è stato improntato piuttosto alla polemica e ad assunti ideologici indimostrati che a alla tramvia reale, quella fatta di elettrodi e carrozzeria, conducenti e passeggeri. Forse vedendola finalmente transitare davvero sul tracciato in tanti si saranno domandanti: “Chissà con che frequenza passerà?”, oppure “Chissà quali saranno gli orari effettivi di inizio e fine del servizio giornaliero?”.

Perché sono queste le risposte che determinano l'effettiva rispondenza dell'investimento alle esigenze della città, e non se, ad esempio, il convoglio è bello, oppure rumoroso. A tante domande poste una risposta precisa non è ancora stata data. Altrimenti la maggioranza dei partecipanti al referendum dello scorso anno non avrebbe preferito optare per un pregiudiziale No. Segno evidente che il progetto tramvia non ispirava un'irrevocabile fiducia. Se a monte della decisione tramvia fosse stato sviluppata un'analisi approfondita dei flussi urbani di mobilità, non ci sarebbero state così tante controversie sul tracciato.

E come valutare il rapporto costi benefici se l'opinione pubblica fiorentina non ha capito bene quanto è costata la realizzazione della prima linea? E tanto meno quanti soldi nostri impegnerà il suo efficace utilizzo, con un transito di convogli regolare e frequente, in fasce orarie le più ampie possibili. Insomma per esaminare seriamente, e non ideologicamente, il rapporto costi benefici di questo progetto bisogna poter valutare in maniera corretta le sue conseguenze urbanistiche, lo studio dei flussi di mobilità, l'ammontare dell'investimento finanziario, il costo effettivo di costruzione e di gestione con oneri diretti ed indiretti, il numero di alberi abbattuti, come pure il numero di veicoli eliminati dalla strade e la riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico conseguente. Forse presto questi dubbi saranno superati dai fatti.

Di parole però ne sono già state spese già troppe. Eppure a noi sembra che siano mancate quelle più dotte e profonde, che hanno a che fare cioè con la visione urbanistica della città che vogliamo. Per intendersi: di città con la tramvia in Europa ne abbiamo viste molte. Eppure né dal punto di vista urbanistico, né da quello del sistema di mobilità sono tutte uguali. Ci siamo domandati davvero che tipo di città abbiamo e in che modo vogliamo cambiarla? Oppure ci siamo dibattuti in un astratto contenzioso su una tramvia che non esiste? Che è come litigare sul vino con cui vogliamo cenare, senza domandarci quale sia il menù. In viale Nenni e in viale Aldo Moro il tram sembra scivolare con leggerezza lungo il tracciato, ma non sembra servire adeguatamente un'area urbana, che non è prossima ai binari.

All'opposto in viale Talenti il tram passerà in mezzo alle case, ma la dimensione della carreggiata è adeguata a sopportare binari e mezzi gommati? E quanti flussi pedonali attuali saranno ostacolati perché trasversali dal tracciato di ferro protetto da cordoli? Tramvia: spazio pubblico, o privato? C'è un tema focale che a Firenze sembra essere stato del tutto dimenticato. Il tracciato passa totalmente su un area già pubblica e che con i binari diverrà un po' meno pubblica.

Chiariamo: una strada asfaltata è uno spazio pubblico integrale che può essere percorso formalmente in maniera gratuita da tutti, pedoni, biciclette e veicoli a motore. La tramvia è sì un'infrastruttura di mobilità collettiva, ma è a pagamento e subordinata ad una gestione privata. In sostanza con la tramvia si è proceduto ad una riduzione degli spazi pubblici e liberi in città. Sì noti che quasi in concomitanza con questo progetto un altro progetto di privatizzazione integrale, a Porta a Prato, ha trasformato l'infrastruttura pubblica dell'area ferroviaria in spazio privato di edilizia residenziale. In città negli ultimi anni sembra ridursi sempre più lo spazio liberamente condiviso perché le casse degli enti locali sono esangui e la loro gestione è difficile.

Sempre più spazi cintati, delimitati, privatizzati, messi all'asta. Sembra un processo naturale e irreversibile. Ma la condivisione di ampi spazi collettivi è uno dei fondamenti della nostra civiltà politica, prima ancora che istituzionale. Per molti di noi sembra scontato godere di una piazza, o di un parco pubblico, di strade ad ampie corsie, o di giardini di infanzia, ma non è sempre stato così, non lo è in alcune regioni italiane (pensate al Mezzogiorno) e la conquista di questi spazi pubblici, oggi usuali, è spesso costata un prezzo elevato ai nostri predecessori. Le fasi di conquista di spazi pubblici anche in area urbana hanno coinciso con eventi storici cruciali.

A Firenze fondamentalmente possiamo riferirci al periodo dell'Unità nazionale, che produsse la pubblicizzazione del patrimonio Mediceo-Lorenese, per mano di una corona, quella Sabauda, che trasferì la capitale a Roma. Ancora un grande apporto al nostro patrimonio condiviso è il frutto della nazionalizzazione dei beni ecclesiastici dopo Porta Pia. Tanti luoghi comuni fiorentini sono invece il portato della nascita dei movimenti popolari di massa, quello operaio-socialista e quello del solidarismo cattolico.

Sino ad arrivare alla guerra di liberazione che in Toscana pubblicizzò il patrimonio immobiliare del Partito Fascista. Sessantacinque anni fa i nostri nonni dettero il sangue per riconquistare alla città tanti spazi che oggi sono scontati luoghi di condivisione. Per decenni questo enorme patrimonio è stato un bene collettivo e più, o meno, condidivo. Da qualche anno, sembra non interessare più a molti. Non apprezzarne il valore significa svenderlo al peggior acquirente. Qualcuno che, non ben intenzionato, potrebbe trovarsi a “rivendercelo” a prezzo elevato. Insomma, sarebbe meglio, staccare il naso dai finestrini di questo tram e guardare oltre, nella prospettiva di città futura che si delinea più oltre.

Siamo sicuri di aver ben riflettuto sul modello di città che vogliamo, o in cui al contrario non vorremmo ritrovarci a vivere?

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