Al Cinema Vacci Tu - Louise Michel, la fiaccola dell'anarchia

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 aprile 2009 18:12
Al Cinema Vacci Tu - Louise Michel, la fiaccola dell'anarchia

[Louise-Michel, Francia, 2008, Commedia, durata 90'] Regia di Benoît Délepine, Gustave Kervern Con Yolande Moreau, Bouli Lanners, Robert Dehoux, Albert Dupontel, Philippe Katerine, Mathieu Kassovitz, Tamara Kafka, Catherine Hosmalin, Benoît Poelvoorde, Pierre Renverseau.
“Prendiamoci allora il nostro posto e non aspettiamo d'averlo. Sono quindi anarchica perché solo l'anarchia può rendere felici gli uomini e perché è l'idea più alta che l'intelligenza umana possa concepire, finché un apogeo non sorgerà all'orizzonte” - Louise Michel
Le operaie di una fabbrica tessile della Piccardia (regione della Francia al confine col Belgio) un giorno si vedono regalare dal loro capo dei camici nuovi col nome ricamato sopra, a dimostrazione della volontà di andare avanti nonostante la crisi economica, ma la mattina seguente, giunte al lavoro, trovano lo stabilimento completamente vuoto: durante la notte la fabbrica è stata smantellata poiché l'attività è stata trasferita altrove.

Alcune di loro decidono di mettere in comune la misera liquidazione spettante per creare una loro attività, e dopo alcune proposte scartate, accolgono l’idea della taciturna e misteriosa Louise (la grandissima Yolande Moreau), di ingaggiare un killer (Bauli Lanners) per uccidere il loro ex-capo.
Questo il plot di Louise-Michel, terzo lungometraggio (dopo Aaltra e Avida) di Délepine e Kervern, due autori comici cresciuti alla scuola dell’irriverente programma Tv “Groland”, grottesca, surreale ed esilarante commedia nera diventata subito un caso in Europa: acquistata dalla Fandango dopo alcune irripetibili proiezioni al Festival di Roma nella sezione Extra, ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival, il Premio per la sceneggiatura al Festival di San Sebastian e il Premio del pubblico al Festival di Amiens, riscuotendo ovunque un’accoglienza straordinaria.


Realizzato con un budget molto contenuto, in Francia e nel resto del mondo è diventato quasi subito un cult per la sua carica trasgressiva, che fa dell'ironia e della creatività le proprie ricchissime armi. I due registi dichiarano di essersi ispirati a un reale fatto di cronaca avvenuto in Francia: neanche 24 ore dopo aver regalato camici nuovi a tutte le operaie della sua ditta, il padrone chiudeva la fabbrica. “Noi poi abbiamo incontrato quelle operaie e abbiamo chiesto loro come mai non gli fosse venuto in mente di uccidere il padrone.

E loro ci hanno risposto che ci avevano pensato ma che non sarebbe servito a nulla. Questo dimostra quanto la classe operaia è più civile dei padroni.”
Disoccupazione, crisi economica, rapporti di potere, danno la fotografia di un’attualità che più calda non si potrebbe (si pensi ai sequestri di industriali e di manager che si stanno susseguendo in questi giorni…). Sono gli sviluppi di un malessere ormai prossimo alla saturazione, “bisogna essere stupidi per essere ottimisti nel 2008” , diranno i due registi a fine lavorazione.

Il film rimesta nelle contraddizioni del presente senza compromessi “politicamente corretti”, totalmente sopra le righe, miscela politica e humor nero attraverso una rivoluzionaria anima anarco-punk di cui abbiamo certamente bisogno.
Uomini e donne vittime sacrificabili di uno spregiudicato sistema finanziario che annulla, fiacca e risucchia la sua stessa carne: la dittatura del capitale che mercifica la vita degli esseri umani, demolisce codici, schemi e valori dei singoli individui.

Un Male talmente disumanizzante che non è neppure possibile identificare il “vero” padrone: la contaminazione impalpabile di finanza, economia e politica che domina ormai le nostre vite e il mondo intero fa si che il “padrone” come entità fisica sia a questo punto inafferrabile, indefinibile, dato il gioco di scatole cinesi che racchiude Società, Holding, Fondi, Gruppi economici ecc.ecc. "Una volta sapevi che il padrone lo trovavi nel castello, oggi, come nel film, non si riesce nemmeno a sapere chi è” ; dopo aver fatto fuori il proprietario della fabbrica in Piccardia infatti i nostri antieroi scoprono che il “vero” capo starebbe a Bruxelles, poi in Lussemburgo, poi ancora nel paradiso fiscale dell’isola di Jersey, e sono disposti anche a viaggiare fuori dalla Francia su una barca di clandestini pur di trovarlo.

Non a caso F. Pliskin de Le Nouvel Observateur definisce questo piccolo gioiello di film: “una favola squisita sull’evanescenza della responsabilità”.
In questo panorama grottesco e disumano, le regole, le sicurezze e le convenzioni sono scompaginate, persino le identità sessuali sono intercambiali, i malati terminali di cancro vengono inviati ad uccidere il manager di turno per dare significato alla propria esistenza e ogni situazione è al limite del non-sense. Tutto diventa atto di ribellione ad un ordine, anche il ribaltamento sessuale: in un mondo che è un labirinto di roulotte scassate dove tutti fanno fatica a trovare la strada per tornare a casa, persino le distinzioni fra etero, omosessuali e transgender sono anacronistiche vestigia del passato.

Le categorie uomo/donna dipendono dalla domanda di mercato; e quel trattino nel titolo interposto tra Louise e Michel altro non è che un modo per affermare che ciò che è personale è anche politico. Louise una volta era JeanPierre, un ex-galeotto che ha dovuto assumere sembianze femminili per trovare lavoro. Stessa sorte per Michel, a sua tempo Catherine, divenuta uomo a seguito di un bombardamento ormonale in tenera età a fini sportivi, “in entrambi i casi sono vittime. A noi piace raccontare la storia di perdenti.

E di personaggi persi, che è quello che siamo anche noi oggi: tutti smarriti.” Louise e le altre agiscono per rivendicare un torto e non hanno da barattare altro che sopravvivenza e dignità.
“Con questo ovviamente non voglio invitare gli operai a uccidere i padroni: ma a sfoderare un po' di maleducazione, di cattiveria, sì. Perché arrabbiarsi, ogni tanto, fa anche bene: resti povero, ma riacquisti la tua dignità" . In Italia nessuno le racconta queste cose, con l’eccezione forse di “Fuga dal call center”, ma si tratta comunque di una produzione e distribuzione indipendente.

Politicamente scorretto dal punto di vista visivo e narrativo, grottesco e incendiario, è questo il cinema di cui si ha bisogno oggi, un cinema che disturbi i “manovratori”.
Louise-Michel fin dal titolo dichiara la sua rabbia, la sua ansia di lotta, giustizia e libertà: i nomi dei due protagonisti, uniti, formano il nome e cognome di un’ insegnante rivoluzionaria, figura cardinale del movimento anarchico francese a cui infatti è dedicato il film. Esiliata in Oceania dopo aver partecipato alla Comune di Parigi, combatte per i diritti dei lavoratori rivendicando la parità dei salari senza distinzione di sessi, nella sua biografia si legge: “fonda la "Lega delle donne", entra ed esce di prigione, fa conferenze, lavora, apre scuole libere praticamente ogni volta che le è possibile, raccoglie fondi, quando necessario sa anche sparare”.

Délepine e Kervern, incontentabili cinefili, citano Bunuel, Gilliam, Kaurismaki, i Dardenne, i Coen e la comicità surreale dei Monty Python; a prova di ciò basta il prologo: il film comincia con un fallimentare tentativo di cremazione accompagnato dalle note dell’ Internazionale, per poi procedere su questo terreno, come a dire che prima di una lettura realistica della storia viene la sua carica di potenzialità provocatoria, la sua dirompente irriverenza.
In questo consiste lo spirito anarchico e destabilizzante: situazioni e gag altamente improbabili trattate con “quotidianità”, con uno sguardo freddo e distaccato che le trasformi invece nella cosa più naturale al mondo. Grandangoli e camera fissa, azioni lasciate fuori campo, colori un po’ slavati come quelli dei cieli del nord, sonoro in presa diretta, libertà d’improvvisazione, utilizzo di attori presi per la strada (le operaie sono vere e si vede: dalle facce, dai corpi, dagli anni di lavoro scolpiti nelle loro posture e nei loro occhi), estetica minimale scarnificata da ogni orpello registico, sono i tratti distintivi di uno stile che si ribella all’omologazione delle aspettative del mercato e dei gusti del pubblico.

“Vogliamo combattere l’ingiustizia e preferiamo i disadattati rispetto agli artisti e agli intellettuali, di cui il cinema francese non sembra poter fare a meno. Charlie Chaplin faceva ridere, ma contemporaneamente privilegiava gli ultimi e stigmatizzava la meccanizzazione e il fascismo: noi vogliamo fare la stessa denuncia sociale, ridendo a denti stretti.”
Grandissimo punto di forza di questo film risiede nei suoi incredibili attori, tutti strabilianti nel riuscire a catturare in modo convincente l’essenza dei loro personaggi. Individui ormai sperduti, che non si trovano più dove dovrebbero stare; a un certo punto del film Michel dice: “è importante essere il capo di se stessi”…probabilmente non capisce neanche lui cosa stia dicendo, ripete solo quello che ha sentito senza coglierne appieno il significato.

Ma tutti con una presenza scenica così forte e potente che non hanno neanche bisogno di parlare! Oltre ai due protagonisti si pensi ad esempio alla cugina di Michel colpita dal cancro, interpreta da una poetessa che i due registi hanno incontrato per caso mentre giravano il film precedente, che anche quando rimane sullo schermo per dieci minuti senza parlare ha una presenza e uno sguardo talmente seducenti che rendono le sue scene davvero magnifiche.
Come Aki Kaurismäki, il grande regista dei dimenticati, dei reietti, i due cineasti ci raccontano il malessere esistenziale di personaggi emarginati al fondo della società: interpretati egregiamente e con granitica ottusità da Yolande Moreau e Bouli Lanners, i due protagonisti sono laidi, ruvidi, goffi, sgradevoli ed inermi perdenti che grazie a questo tipo di cinema trovano una patria, una memoria, una identità.


Laura Iannotta

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