Fallaci: polemiche a Firenze e Roma

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 settembre 2006 13:29
Fallaci: polemiche a Firenze e Roma

La morte di Oriana Fallaci ha scatenato le polemiche tra le forze politiche di Firenze, sua città natale. Il centrosinistra almeno per il momento non vuole che il nome di Oriana Fallaci possa essere iscritto sulla toponomastica cittadina.
“Perdiamo una rivoluzionaria, una donna che ha vissuto la pace armata e le guerre del secondo Novecento seguendo la bussola della passione e della libertà”. Lo afferma il presidente del Consiglio regionale, Riccardo Nencini, che aprirà la seduta odierna dell’Aula con il ricordo di Oriana Fallaci, la grande giornalista scomparsa a Firenze venerdì scorso.

Una donna, aggiunge il presidente, “sempre fuori dal coro e anche per questo solitaria”, “uno dei molti giornalisti-scrittori scomodi che la Toscana ha generato, come Malaparte, Terzani, Montanelli”.
Nencini si dichiara pronto “ad assumere tutte le iniziative possibili in accordo con la famiglia di Oriana Fallaci, perché il ricordo della grande giornalista non si disperda”, e disposto, sempre se la famiglia lo vorrà, “ad ospitare gli scritti e i libri della Fallaci nella Fondazione del Consiglio regionale”.

In omaggio a “un’inviata, una donna libera che ai filoni culturali e ideologici dominanti nel secolo scorso ed ai potenti di ogni età non ha mai fatto sconti”.

«La Fallaci è stata un poliedro dalle mille facce -ha affermato ieri in Palazzo Vecchio il capogruppo dello SDI Alessandro Falciani- spesso troppo numerose per permettere di classificarle in una sola categoria. Fervente antifascista a soli dieci anni aderì a Firenze, nella brigata Giustizia e Libertà con compiti di vedetta.

Nel 1967 l'esperienza giornalistica in Vietnam che racconta il conflitto tra il Golia americano e il Davide vietnamita. Nel 1973 conosce il partigiano greco socialista Alekos Panagulis, e lotta con lui contro il regime dei colonnelli greci. Nel 1975 la Fallaci e Panagulis collaborano alle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Alla sua attività di reporter hanno fatto seguito le interviste a importanti personalità della politica: Pietro Nenni, Yasser Arafat, Henry Kissinger, Willy Brandt.

Nel 2004, in una sua intervista al Corriere della Sera, la Fallaci afferma "sul tema della giustizia sociale non potrei mai schierarmi con la squadra di calcio che ha nome destra". Il 14 dicembre 2005 il Presidente della Repubblica l'ha insignita della medaglia d'oro quale "benemerita della cultura". Una donna densa di contraddizioni, che possono essere racchiuse in una delle sue ultime frasi: "perché sono atea, grazie a Dio". Insomma una parabola complessa quella della Fallaci, nella quale l'unica certezza appare soltanto una: la passione che ha messo nel suo lavoro e nella sua produzione giornalistico letteraria.

E allora la pietà, la sua figura di donna di cultura internazionale non ascrivibile nelle divisioni tradizionali e stereotipate della politica italiana, deve indurre la città di Firenze a valutarne complessivamente la sua storia, riservandogli quella considerazione e quel riconoscimento che merita. Almeno ora che non c'è più».

«Mi sono chiesta di quali espressioni avvalermi -commenta la consigliera di Alleanza Nazionale Gaia Checcucci- quali accenti mettere e quali immagini utilizzare per riuscire a dare un'idea del grande personaggio che oggi commemoriamo, di questa grande donna, scrittrice-giornalista, questa fiorentina cittadina del mondo che ha portato con sé la fiorentinità nel mondo senza scadere nel banale, nell'ovvio, nelle frasi fatte, e farlo senza cadere in quei cliché in cui tutte le commemorazioni spesso cadono.

Come ricordare una donna che non avrebbe certo voluto essere al centro della scena proprio nel momento della sua morte e che - se potesse anche adesso- chiederebbe silenzio. Quel silenzio che lei ha scelto quando è venuta con il massimo riserbo a S. Chiara ed ha deciso di chiudere gli occhi da sola in compagnia del cupolone e dello skyline di Firenze che lei ha dimostrato amare più di ogni altra cosa forse pronunciando dentro di sé quelle parole che aveva preso in prestito d Anna Magnani e che dicono molto di più della sua personalità di tanti discorsi " Porca miseria è ingiusto morire dal momento che siamo nati!".

Rigore, fermezza e grande semplicità sono le parole a cui assocerei la sua vita e che devono essere ricordate: perché di altisonante ci sono i suoi reportage di guerra, ci sono le sue interviste, ci sono i messaggi contenuti nei suoi libri, c'è la Fallaci personaggio che compie il suo lavoro dal fronte come mai nessuno aveva fatto prima facendo scuola per gli anni a venire ed affermandosi come donna in un mondo quale quello degli inviati di guerra fino ad allora esclusivamente maschile. Ha fatto diventare la donna giornalista un passo avanti agli uomini: le corrispondenze dal fronte e le interviste hanno fatto il giro del mondo in un periodo in cui la TV non aveva il ruolo che ha oggi.

Tutto ciò in modo tanto eclatante quanto c'era da denunciare, quanto schivo quanto c'era godere il successo e la fama che il suo lavoro le portava. Pensiamo alla sua vita privata vissuta per scelta al riparo dai flash dei fotografi, telecamere e giornali; al rifiuto di qualunque cosa che potesse portarla anche solo marginalmente alla ribalta dei media; alla sofferenza causata da quell'alieno che lei ha vissuto privatamente, quasi in solitudine per scelta; al suo modo di interloquire anche con personaggi famosi che lei ha intervistato o di rivolgersi ai contemporanei referenti politici ed istituzionali - ad esempio prima del social forum- con un modo ed un impatto tipico di chi ha in realtà un vero solo destinatario, una vera sola platea, un unico importante auditorium: quella della gente comune non vuole e non può perdersi nei rivoli e negli equilibrismi di una Politica che non sceglie.

Perché un soldato - è la definizione che dette di se stessa - che fa del rigore e della fermezza le proprie autentiche parole d'ordine anche nelle denunce e le battaglie che fa, non può permettersi alcun tentennamento, nessun compromesso, men che meno i tempi morti e le ubbie della politica politicante. " Chi non sta da una parte o dall'altra ( Guelfi o Ghibellini) in Italia diventa un peccatore....Sono fiera di non avere ombrelli politici, di non appartenere a nessun gruppo, o club o lobby, d'essere attaccata sia dagli uni che dagli altri.

E' il complimento più grosso che possa essere rivolto alla mia onestà ed alle mia palle. E voleta saperla tutta? Sono convinta che gli italiani estranei ai gruppi ed alle lobbies della mafia politica siano assolutamente d'accordo con me..." Ed è indubbio - qui non ci sono opinioni ma dati di fatto - che le sue denunce - vedi quella fiorentina contro il degrado della nostra città iniziata al tempo dei somali che campeggiavano al Duomo ed "urinavano" sul Battistero, ha risvegliato coscienze assopite ed ha portato al centro dell'attenzione e quindi del dibattito istituzionale il problema della preservazione della nostra città; I suoi ultimi libri hanno senza dubbio ridefinito la concezione del conflitto in corso ( piaccia o no) fra occidente e oriente senza concessioni a "se" e "ma", senza lasciare adito ad alcun relativismo, affrontando l'argomento con ferrea semplicità:siamo diversi e per questo incompatibili.

L'ecumenismo del politically correct con lei cessa definitivamente: il relativismo culturale che ha aperto la strada ad un concetto di inclusione troppo allargata si sta trasformando in perdita di identità ed è questo il pericolo che lei avverte e che non può tacere con i suoi modi e con le sue forme di comunicazione. E' la stessa Fallaci quando scrive dal fronte o quando scrive ne "la rabbia e l'orgoglio ": la sua verità è senza "se" senza "ma". Il punto vero è che la gente la ama, i fiorentini anche, e forse per primi, perché è proprio come loro.

La gente risponde e la risposta è molto più forte delle invettive della cd" cicale del potere" che ovunque stiano - a sinistra o a destra - non l'hanno mai sopportata e la attaccano Con lei, più che con ogni altro, stride la strumentalizzazione politico-partitica: le sue battaglie attraversano le coscienze indipendentemente dalle collocazioni politiche e sarebbe riduttivo, persino offensivo limitarne la portata ed etichettarle. C'è molto, molto di più in ballo. E' per questo che noi vogliamo ricordare una fiorentina come poche altre; un'italiana conosciuta nel mondo, che ha comunque esportato il nome di Firenze e che a Firenze, suo grande amore, ha scelto di tornare a morire.

I grandi amori come quello che lei aveva per la nostra città passano sempre anche attraverso momenti tempestosi, di litigio di contrapposizione. Ma non lasciamo che questo grande amore si porti dietro l'oblio, quale sarebbe se non trovassimo il modo di ricordare Oriana Fallaci con il nome di una strada o di una piazza. Sarebbe uno spregio che sono certa la città, i fiorentini non vogliono e non perdonerebbero».

«Da tempo mi chiedevo se Firenze fosse ancora una città tollerante e civile dopo che ha lasciato che Oriana Fallaci fosse sepolta senza fare niente per onorarLa -afferma il consigliere di Forza Italia Enrico Bosi- La risposta è chiara: non è né tollerante né civile.

Oriana era una grande fiorentina, una vera fiorentina, ma anche un personaggio di spessore internazionale, la giornalista italiana più famosa del mondo, una donna combattiva che, attraverso i suoi libri ed i suoi scritti, ha dimostrato la pericolosa irragionevolezza dell'Islam fondamentalista. E' morta come un pilastro dell'Occidente e come una paladina della sacralità della vita, e non, come vergognosamente ha scritto "Il Manifesto", una "invasata cassandra della civiltà europea". Si è arrivati al punto di offenderla in modo vergognoso, come ha scritto Giancarlo Bosetti su "Repubblica", dicendo che "amava la scrittura al punto di usare il suo cancro come rinforzo stilistico": cosa significhi quest'ultima frase è un mistero la cui soluzione lasciamo volentieri a chi l'ha scritta.

Il cancro è inoltre "protagonista", con una sorta di macabro parallelismo, dell'articolo a firma di Gad Lerner apparso sempre su "Repubblica". Mentre Tiziano Terzani, un caro e vecchio amico che ho però sempre contestato sul piano delle idee pur considerandolo un grande fiorentino, ha accettato il male come parte della sua esperienza fatta di "ricerca insieme terapeutica e spirituale, la Fallaci ha reagito al male "con rabbia" e ha "ridimensionato la medicina a mera tecnica". Terzani ha dato un contributo al "processo di umanizzazione della medicina", la Fallaci invece "ha incarnato da par suo la paura del cancro che corrode silenziosamente le nostre relazioni sociali".

E che dire poi del fondo di Natalia Aspesi, sempre su Repubblica, dove la vicenda dell'intensa relazione con Panagulis viene banalizzata e ridicolizzata dalla "storiella" del rifiuto di lavargli i calzini, come da lui richiestogli. Ma l'ultima perla è di Oreste Pivetta dell'"Unità secondo la quale l'eredità della Fallaci è l'aver insegnato agli italiani ad essere "razzisti senza vergogna". Chissà cosa direbbe dal cielo Oriana se potesse leggere simili bestialità che danno la misura della pochezza di questo pseudo intellettuali di sinistra.

Noi La ricordiamo, invece, come una donna coraggiosa ed agguerrita, che non si lasciava impaurire dalle minacce. Una donna che aborriva il linguaggio politicamente corretto. Una donna che lanciava in faccia la verità facendoti riflettere. Al nostro Sindaco, che Le ha rifiutato il Fiorino d'oro non possiamo che esprimere una parola: vergogna! Una vergogna che rimorde in tutti noi, perché io credo che in nessuna parte d'Italia un Sindaco di una città che avesse dato i natali ad una cittadina così illustre e famosa si sarebbe comportato così.

Voglio comunque, e concludo, ricordare Oriana con una frase che scrisse all'indomani dell'11 settembre: "Vi sono momenti, nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre". Grazie, Oriana. I fiorentini veri non ti dimenticheranno».

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