Nel concerto diretto da Pesko, Bartok oscura la celebrazione di Weill

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
26 ottobre 2000 11:21
Nel concerto diretto da Pesko, Bartok oscura la celebrazione di Weill

Al centenario della nascita e al cinquantesimo anniversario della morte di Kurt Weill il Teatro del Maggio ha reso omaggio con il concerto sinfonico che Zoltan Pesko ha diretto ieri sera al Teatro Comunale. Il Concerto per violino e orchestra di fiati op.12, eseguito per la prima volta a Parigi 1925, è opera di un Kurt Weill ancora allievo di Ferruccio Busoni. "Piccolo ebreo molto intelligente che certamente farà strada", scriveva il maestro toscano, che infatti tre anni dopo sarebbe nato il sodalizio vincente con Bertolt Brecht e "L'opera da tre soldi" interpretata dala moglie di Weill, Lotte Lenya, e poi "Mahagonny" e "Sette peccati capitali".

Con l’avvento del nazismo sarebbe venuta l’emigrazione negli Stati Uniti d’America, dove Weill avrebbe scelto la strada di film e musicals.
Il Concerto per violino era affidato ai virtuosismi di Cristiano Rossi e del suo violino Montagnana del 1725 (con cui il violinista “fiorentino” si è esibito in un fuori programma, “Tempo di Valzer” di Prokovief). Ma la scelta di eseguire un lavoro di Weill poco conosciuto per celebrare i suoi anniversari, incastonandolo poi fra due lavori pressoché coevi come la Suite dal balletto "Il mandarino meraviglioso" di Bartok e la "Sinfonietta" di Janacek, entrambi scritti nel 1926, forse non ha giovato alla celebrazione.

Nel senso che l’intenzione era di proporre un concerto-ritratto del secolo appena trascorso, fra il crollo dell'impero austro-ungarico e il Terzo Reich, ma il tutto ha finito per esaltare soprattutto l’immoralità” cruda del balletto di Bartok, apprezzatissimo nell’esecuzione di Pesko. Nel 1926, la prima del Mandarino meraviglioso all’Opéra di Koln provocò uno scandalo memorabile in ragione dell’immoralità del soggetto scabroso e tragico che si conclude con l’assassinio del protagonista.
Composta tra il 1918 e il 1919, e più volte rielaborata, oggi la Suite trasmette tutta la sua atmosfera di mistero, che Bartok realizza accostando colori e timbri affascinanti.

E’ proprio cercando la sottigliezza e gli equivoci, senza sottolineare la facile nota di esotismo, che Pesko ha proposto ieri sera con successo la Suite come uno dei capolavori del ventesimo secolo, quasi più audace del “Sacre du printemps”.

In evidenza