Teatro: Peter Brook, martedì 24 e mercoledì 25 maggio, alla Pergola

Il monumentale spettacolo basato sul Mahābhārata

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
23 maggio 2016 00:08
Teatro: Peter Brook, martedì 24 e mercoledì 25 maggio, alla Pergola

Martedì 24 e mercoledì 25 maggio va in scena alla Pergola il grande teatro internazionale. A distanza di trent’anni dal suo Mahābhārata, opera memorabile e monumentale, il maestro della scena Peter Brook torna con Battlefield al celebre poema epico indiano, uno dei testi fondamentali della religione induista. Con lo stesso scarno linguaggio del capolavoro dell’85 – niente scena, elementi e colori naturali – medesimo l’adattamento di Jean-Claude Carrière, rivisto con Marie-Hélène Estienne, solo 4 attori, Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O’Callaghan, e un musicista, Toshi Tsuchitori, Battlefield racconta la guerra di sterminio nella famiglia dei Bharata tra i cinque fratelli Pandava e i cugini Kaurava.

Yudishtira, il re dei Pandava, ne esce vincitore, ma guardando intorno la morte e la distruzione provocata, ammette la sua sconfitta.

“In guerra una vittoria è una sconfitta – afferma Peter Brook – voglio raccontare la storia di Battlefield per far capire a Obama, Hollande, Putin e a tutti i presidenti cosa succede dopo la battaglia. Se tu sei un leader e sostieni una guerra devi sapere che farai milioni di morti, anche se vinci”.

Il Mahābhārata è il più ampio poema epico non solo dell’India, ma di tutta la letteratura mondiale. La sua messa in scena nel 1985 (circa nove ore) lasciò senza fiato, per semplicità e profondità, il pubblico del Festival di Avignone. Oggi Peter Brook con Battlefield trova la possibilità di far rivivere sul palcoscenico quelle stesse fascinazioni in un atto unico di poco più di un’ora, che arriva alla Pergola in esclusiva regionale martedì 24 e mercoledì 25 maggio. Una storia di violenza e rimorso che interroga il nostro tempo e riflette i conflitti che straziano il mondo. Una guerra di sterminio che si consuma tra fazioni della stessa famiglia, i Bharata, per una storia universale che ci insegna ancora, inaspettatamente, ad aprire gli occhi di fronte alla realtà.

“Gli Indiani dicono – annota Peter Brook – che ogni cosa è contenuta nel Mahābhārata, e se non è nel Mahābhārata non esiste. Questo grande poema epico di migliaia di anni fa è cresciuto negli anni assimilando le più importanti idee cosmiche e metafisiche, accanto alle cose più semplici della vita di tutti i giorni. La terribile descrizione della guerra che si consuma nella famiglia dei Bharata, con “dieci milioni di morti”, può far pensare a Hiroshima o alla Siria oggi”.

Londinese, classe 1925, due figli (uno regista, l’altra attrice) Brook ha segnato la storia degli ultimi decenni con storici spettacoli che vanno da Shakespeare a Weiss (il leggendario Marat / Sade), da Oliver Sacks a Beckett, ma è stato anche autore di importanti saggi (in particolare sui suoi rapporti con un altro maestro, Jerzy Grotowski) e regista cinematografico (Il signore delle mosche del 1963). Quando più di trent’anni fa, dopo l’esperienza del teatro africano, decise di affrontare ilMahābhārata (che sarebbe divenuto poi anche un film ridotto da nove a tre ore e a cui avrebbe partecipato, come unico attore italiano, Vittorio Mezzogiorno), lui aveva forse una visione meno pessimistica del futuro. Adesso, a 91 anni, rimasto vedovo (sua moglie era l’attrice Natasha Parry), pare cogliere il tempo in maniera diversa. “Nessuna nostalgia — chiarisce – se ho deciso di riproporlo è perché ce n’è bisogno”.

Dunque, Battlefield è un grande affresco sull’esistenza umana dove ritroviamo espressi, in modo moderno e incalzante, i quesiti della nostra vita attraverso il racconto della grande guerra fratricida che dilania la famiglia Bharata. Da una parte sono schierati cinque fratelli, i Pandava, dall’altra i loro cugini, i Kaurava, i cento figli del re cieco Dhritarashtra. Entrambi usano terribili armi di distruzione. Alla fine del conflitto prevalgono i Pandava, il più anziano dei quali, Yudishtira, deve salire al trono con il peso di una vittoria macchiata dalla distruzione. Il re Dhritarashtra, che ha perso tutti i suoi figli, e il nuovo re, suo nipote Yudishtira, condividono lo stesso bruciante dolore. Infatti, sia Yudishtira che Dritarashtra, il vecchio re, preda dell’angoscia e del rimorso, si interrogano sulle azioni passate cercando di dipanare il bandolo delle proprie responsabilità.

“Vogliamo parlare di quello che accade – spiega Peter Brook – dopo la battaglia. In entrambi gli schieramenti, i leader attraversano un momento di profondo dubbio; chi vince afferma: “la vittoria è una sconfitta”; chi perde ammette: “avremmo potuto evitare questa guerra”. Nel Mahābhārata alla fine i leader hanno la forza di porsi queste domande. Per questo la reale platea a cui ci rivolgiamo è composta da Obama, Hollande, Putin e da tutti i presidenti”.

La ricchezza della lingua di questo testo epico senza tempo e i suoi racconti sempre sorprendenti, permettono quindi di trasferire al presente una storia che, seppur appartiene al passato, riflette al contempo gli aspri e durissimi conflitti del nostro presente. La grande lezione del regista inglese è quella di raccontare una carneficina con solo quattro attori Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O’Callaghan (tre africani e un irlandese capaci, come dice il maestro, “di cuore e arte”) e un musicista, Toshi Tsuchitori, in uno spazio spoglio illuminato da una luce rossa che allude al sangue versato (le luci sono di Philippe Vialatte, i costumi di Oria Puppo).

“Quando guardiamo i notiziari – precisa Peter Brook – siamo arrabbiati, disgustati, furiosi. Ma nel teatro ognuno può vivere attraverso tutto questo e uscire più sicuro, coraggioso e fiducioso nel poter affrontare la vita. Per me il teatro è la possibilità di vivere, per un’ora o due, in un luogo di raccoglimento insieme al pubblico, un’esperienza condivisa affinché ognuno possa sentirsi rigenerato dai propri pensieri”.

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