Scrittore, pittore, giornalista e incisore Mino Maccari fu uno spirito ribelle e anarchico che non è facile inserire in un’ideologia ben definita. Fu senza dubbio fascista e rappresentò una sorta di fascismo che s'ispirava all'origine rivoluzionaria del movimento, al momento precedente di quella deriva reazionaria che condusse al regime. Mino Maccari credette nel fascismo. Fu volontario in guerra e partecipò nel 1922 alla marcia su Roma. Laureato in giurisprudenza Iniziò a collaborare nel 1924 al “Selvaggio”, rivista fondata a Colle Val d'Elsa da Angelo Bencini, per assumerne due anni dopo la direzione.
La rivista ebbe posizioni critiche nei confronti del regime. Il fascismo “critico” di Maccari era tradizionalista, popolare, cattolico, antiborghese, antiamericano, antidealista e antimodernista. Un fascismo che ripudiava le mode dei pennacchi e degli orbaci, e che guardava al lavoro manuale, artigiano e artistico. Un fascismo che si opponeva a industrialismo e urbanizzazione. Per Maccari il fascismo fu, ben presto, una sorta di “rivoluzione tradita” Lo squadrismo avrebbe dovuto annientare lo stato borghese.
Quando si accorse che il terreno era impraticabile scrisse l'articolo di fondo “Addio al passato”, in cui indicava le linee editoriali della rivista che non doveva più essere portavoce di un fascismo agonistico, ma dedicarsi all’arte e alla satira. “Gli episodi politici o pseudopolitici, i loro sviluppi e le loro vicende, non ci interessano più: non c’è che l' arte. L' arte è l' espressione suprema dell' intelligenza”.
Sulle pagine del quindicinale, Maccari distribuì il suo estro in prose, poesiole, motti, facezie, epigrammi, firmando col suo nome e con gli pseudonimi di Fottivento, Tritamacigni, Orco Bisorco, illustrandoli con incisioni di grande qualità, che la critica ha avvicinato a Grosz e a Daumier.
La rivista ebbe tra i suoi collaboratori Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Achille Lega.
Il “Selvaggio” pur dichiarando di non volersi più occupare di politica, rimase una voce critica del costume fascista e della società borghese che l'aveva prodotta. Maccari e i suoi sodali de “Il Selvaggio si caratterizzarono per una lunga polemica con la cultura ufficiale. Negli anni tra il 1933 e il 1938 “il Selvaggio” denunziò i pericoli del militarismo e la minaccia del nazismo e si oppose coraggiosamente alle dottrine del razzismo, sottoscritte e appoggiate da numerosi intellettuali. Negli anni del consenso il Selvaggio fu una voce fuori dal coro. La rivista condusse con vigore le sue battaglie per difendere, tra tolleranza e censura, l’autonomia dell'arte e della critica.
Il Selvaggio fu una palestra importante per alcuni dei giovani più promettenti della generazione che maturò tra il 1930 e il 1940.Ebbero spazio sui fogli de Il Selvaggio artisti come Giorgio Morandi, Renato Guttuso, Quinto Martini, Orfeo Tamburi e narratori come Arrigo Benedetti, Mario Tobino, Romano Bilenchi, Elsa Morante.
“Maccari sempre selvaggio” presenta opere significative a testimonianza della qualità dell'artista, del suo tratto veloce, della sua narrazione espressionista, ironica e dissacrante. La mostra è una buona occasione per riflettere sulla storia artistica toscana del Novecento. In questa linea di ricerca si sta muovendo con grande serietà l'Associazione Spazio Dinamico Arte che intende, anche in futuro, proporre momenti espositivi abbinandoli a dibattiti e interventi storico critici.