In tutta la Toscana meno negozi, più bar, ristoranti e strutture ricettive

Confcommercio ha presentato oggi a Roma la quinta edizione dell’indagine sulla demografia d’impresa effettuata a livello nazionale. I dati fotografano la situazione a livello regionale negli ultimi dodici anni, dal 2008 al 2019. Sono stati osservati 120 comuni, di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi più popolosi

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 febbraio 2020 14:23
In tutta la Toscana meno negozi, più bar, ristoranti e strutture ricettive

Sempre meno negozi, sempre più bar, ristoranti e strutture ricettive. Il trend che ormai da oltre dieci anni sta ridisegnando la demografia delle imprese nelle città italiane è in atto anche in Toscana. Lo confermano i risultati dell’indagine effettuata dall’Ufficio studi di Confcommercio, presentata oggi (giovedì 20 febbraio 2020) a livello nazionale a Roma, alla presenza del presidente Carlo Sangalli.

Ad illustrare i dati regionali è il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni: “tutte le principali città toscane rispettano l’andamento nazionale, che vede in calo costante la rete distributiva sia nei centri storici sia nelle periferie. Di contro, c’è l’exploit di pubblici esercizi e ricettività, che aumentano con percentuali a due cifre un po’ ovunque”.

In generale, le città capoluogo di provincia della Toscana hanno perduto negli ultimi dodici anni 1.272 esercizi commerciali, dei quali 434 nei centri storici (-7,1%) e 838 fuori (-7,9%), passando dalle 16.748 unità del 2008 alle 15.476 del 2019. Di contro, hanno ‘acquistato’ oltre 2 mila attività fra bar, ristoranti e strutture ricettive, delle quali 700 nei centri storici (+21,7%) e 1.341 fuori (+28,8%), passando dalle 7.894 totali del 2008 alle 9.935 del 2019.

Nel caso di Firenze, negli ultimi 12 anni il commercio al dettaglio ha perduto un totale di 258 imprese, passando dalle 5.092 imprese del 2008 alle 4.834 del 2019. E se le prime a scomparire in modo più marcato erano state quelle del centro (passate dalle 1.851 del 2008 alle 1.743 nel 2016, poi risalite di cinque unità per arrivare alle 1.748 di fine 2019), adesso stanno arretrando anche quelle delle altre aree (erano 3.241 nel 2008, 3.183 nel 2016 e 3.086 nel 2019, con una perdita di quasi cento unità solo negli ultimi tre anni).

“Segno”, spiega Marinoni, “che la scomparsa dei negozi ora non è più legata, come lo era qualche anno fa, agli affitti troppo alti, per cui molte aziende avevano preferito trasferirsi in periferia, o al cambiamento demografico in corso, con il centro storico sempre più povero di residenti e preso d’assalto dal turismo. Un fatto che rendeva certo più appetibile per un imprenditore aprire un bed and breakfast o un bar piuttosto che un ferramenta. Adesso”, prosegue il direttore di Confcommercio Toscana, “a determinare l’arretramento dei negozi sono la riduzione dei consumi e la pressione fiscale ancora troppo alta che grava su imprese e famiglie e che impedisce di liberare risorse per la crescita”.

A cedere il passo, sia a livello nazionale che toscano, sono soprattutto botteghe di alimentari e bevande, negozi di abbigliamento, calzature, mobili e articoli per la casa, librerie, ferramenta e negozi di giocattoli. Ma è in calo anche il commercio ambulante. Reggono bene invece, anzi sono in crescita, farmacie, tabaccherie, negozi di computer e telefonia. “Qui ha voce in capitolo il cambiamento dei costumi e quindi dei consumi, con le persone sempre più connesse e interessate alla comunicazione, al web e alla salute”, commenta Marinoni. Riguardo alla ubicazione dei negozi, i centri storici restano le aree preferite per chi vuole investire in un’attività commerciale.

“Lo stato di salute del tessuto commerciale è una delle variabili più importanti da misurare per qualificare la vita delle comunità locali”, sottolinea la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini, “la desertificazione commerciale priva i cittadini di servizi importanti ma soprattutto genera disagio sociale, insoddisfazione, insicurezza. Perché una strada illuminata da vetrine e insegne fa meno paura. Non solo: il deterioramento della rete dei negozi di vicinato abbassa anche il valore immobiliare di interi quartieri, con una perdita di ricchezza che diventa tangibile per tutte le famiglie. Ecco perché Confcommercio monitora con attenzione la demografia delle imprese, cercando un’alleanza con tutti i Comuni per la salvaguarda della distribuzione tradizionale, sia in sede fissa sia su area pubblica, perché anche fiere e mercati sono vitali per le nostre città”.

A livello nazionale Confcommercio nel 2015 ha siglato con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) un protocollo per la rigenerazione urbana, rinnovato proprio lo scorso anno, con l’obiettivo di riaffermare il ruolo centrale del terziario di mercato nello sviluppo delle città. “La partita del commercio”, spiega la presidente Lapini, “si vince solo se si accompagnano le misure di tutela e valorizzazione dei negozi con progetti più ampi in materia di urbanistica, recupero di spazi e aree dismesse, coesione sociale, innovazione, reti territoriali, infrastrutture, mobilità e rilancio turistico. Insomma, ci vogliono risposte integrate ed è per questo che le Amministrazioni Comunali hanno un ruolo centrale”.

Tra le proposte avanzate da Confcommercio:

  • a livello locale, la promozione di accordi tra la rete del Sistema Confcommercio e le Amministrazioni comunali, anche con il coinvolgimento di ampi partenariati locali, per realizzare progetti che valorizzino il commercio come parte integrante dello sviluppo e dell'identità urbana, secondo logiche di co-progettazione della città;
  • a livello nazionale, la definizione di un Piano pluriennale per la rigenerazione urbana, dotato di un Fondo ordinario statale, per garantire la qualità fisica e infrastrutturale delle città e dare certezze a chi decide di investire in ambito urbano;
  • a livello europeo, l’attuazione dell’Agenda urbana dando continuità al Programma nazionale per le città metropolitane, individuando misure di sostegno a favore delle piccole e medie imprese che operano nelle città e rilanciando la Strategia Nazionale per le Aree Interne.

I dati di Siena

“In Italia ci sono poche grandi città e molte città medie e piccole, con centri storici dal patrimonio storico-artistico ineguagliabile - fa notare Confcommercio Siena - E’ un unicum da cui partire per disegnare un futuro di trasformazione per il nostro paese, rafforzare le economie urbane e contrastare la desertificazione commerciale. A partire dalla rinnovata intesa con ANCI per la rigenerazione urbana, Confcommercio vuole favorire a livello locale, la promozione di accordi tra la rete del Sistema Confcommercio e le amministrazioni comunali, anche con il coinvolgimento di ampi partenariati locali, per realizzare progetti che valorizzino il commercio come parte integrante dello sviluppo e dell'identità urbana, secondo logiche di co-progettazione della città.

A livello nazionale, la definizione di un piano pluriennale per la rigenerazione urbana, dotato di un fondo ordinario statale, a livello europeo, l’attuazione dell’agenda urbana individuando misure di sostegno a favore delle piccole e medie imprese che operano nelle città”

Entrando nel dettaglio, per quanto riguarda il commercio al dettaglio ci sono anche delle sorprese in positivo. Per esempio, per quanto riguarda i prodotti alimentari e le bevande si contavano nel 2008 38 attività in centro e ce ne sono nel 2019 44, fuori dal centro invece ce ne erano 41 e nel 2019 40, una lievissima decrescita dunque. Anche nel settore dei tabacchi trend in aumento: erano 19 gli esercizi nel 2008 in centro e sono 22 nel 2019, fuori dal centro erano 30 nel 2008 e 31 nel 2019.

In aumento anche il commercio al dettaglio che si occupa di informatica e telecomunicazioni: erano 3 nel centro nel 2008 e sono 5 nel 2019, fuori dal centro erano 8 nel 2008 e dopo undici anni sono 14. Trend in equilibrio e in leggero incremento per le farmacie: 7 in centro nel 2008 e 9 nel 2019, 9 fuori dal centro nel 2008 e 9 nel 2010. Stesso andamento per il commercio al dettaglio al di fuori di negozi, banchi e mercati: c’erano 4 attività in centro e 11 fuori dal centro nel 2008, ce ne sono sempre 4 in centro e 16 fuori nel 2019.

In decrescita sono gli esercizi non specializzati: 21 nel 2008 in centro e 13 nel 2019, erano 30 fuori dal centro nel 2008 e sono 21 nel 2019. In decrescita anche la vendita di articoli culturali e ricreativi in esercizi specializzati: erano 43 in centro nel 2008 e sono 29 nel 2019, fuori dal centro ne risultavano 49 nel 2008 e nel 2019 31. Anche per i carburanti si scende: nel 2008 ne risultavano 1 in centro e 24 fuori, nel 2019 non ce ne è nessuno in centro e sono 20 quelli fuori.

Hanno invece un trend diversificato attività come quelle che vendono “altri prodotti per uso domestico in esercizi specializzati”: nel 2008 ce ne erano 27 in centro e 56 fuori, nel 2019 ne risultano 34 in centro e 41 fuori. In questo caso, dunque, le attività non sono cresciute in numero assoluto, ma sicuramente sono aumentate in centro storico. Invece le attività che vendono altri prodotti in esercizi specializzati diminuiscono in centro e crescono fuori: nel 2008 ce ne erano 166 in centro e 125 fuori, mentre nel 2019 se ne trovano 146 in centro e 127 fuori da questa area. Stesso trend per il commercio al dettaglio ambulante che nel 2008 contava 12 attività in centro e 18 fuori mentre a fine 2019 ne conta 9 in centro e 19 fuori.

Arrivando agli esercizi dediti all’accoglienza, come detto sono tutti dati in crescita. Vanno verso l’alto i numeri della ricettività degli alberghi in particolare fuori dal centro storico viceversa bar, ristoranti è nel centro storico che si collocano in via privilegiata e qui crescono tanto. Venendo ai dati, nel 2008 si contavano 65 alberghi in centro e 102 fuori. Nel 2019 ce ne sono 71 in centro e 111 fuori. Per quanto riguarda bar e ristoranti se ne contavano nel 2008 163 in centro e 193 fuori, ce ne sono invece nel 2019 ben 200 in centro e 201 fuori.

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