Il caso Zaki e l’uso della custodia cautelare in Italia

Intervista a Vincenzo Musacchio su un tema molto delicato

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
31 agosto 2021 15:07
Il caso Zaki e l’uso della custodia cautelare in Italia

di Lucia De Sanctis

Intervista a Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies di Newark (USA). Oltre ad essere ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra, nella sua carriera, il giurista è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.

Professore cosa ne pensa di ciò che sta accadendo in Egitto a Patrick Zaki?

Siamo di fronte ad una barbarie senza precedenti che in Egitto purtroppo interessa e coinvolge molte persone nel suo stesso stato e in molti casi in condizioni anche peggiori. Lo Stato egiziano non rispetta i diritti fondamentali della persona umana violando qualsiasi regola minima esistente in trattati e convenzioni internazionali. Rilevo, tuttavia, una stortura sulla quale non posso tacere. Con questo Stato barbaro e dittatoriale molti Paesi “civili”, tra cui l’Italia, fanno affari d’oro vendendo persino armi e navi da guerra.

Mi chiedo e chiedo al lettore come può uno Stato democratico criticare, giustamente, il sistema giudiziario egiziano e al tempo stesso fare affari con chi non rispetta i diritti umani minimi? In gioco c’è la libertà personale di un innocente. La domanda nasce spontanea, avrebbe detto un noto presentatore dei miei tempi: vale più il rispetto dei diritti umani e della libertà individuale o il fare affari guadagnando ingenti somme di denaro per le casse dello Stato in barba alle regole democratiche scritte e non scritte? Io credo debbano prevalere i diritti umani e la libertà personale: questo è il mio pensiero sul caso dello sfortunato Patrick Zaki.

In Italia invece cosa accade sul terreno dell’uso della custodia cautelare in carcere?

Partirei senza esitazioni da un dato inconfutabile: nel triennio 2018-2020 le persone sottoposte a misure cautelari del carcere o degli arresti domiciliari assolte o prosciolte sono state 12.582. I dati provengono dalla Relazione al Parlamento del Ministro della Giustizia e sono aggiornati al primo quadrimestre dell’anno 2021. Questi dati a mio avviso ci dicono che l’istituto delle misure cautelari personali necessiti di una rimodulazione secondo criteri reali di extrema ratio. L’uso di un simile strumento restrittivo della libertà personale di un soggetto, ricordiamolo, per legge, ancora innocente, va rivisto e al più presto.

Lei su cosa inciderebbe in un’eventuale riforma?

Guardi io non sono un processualpenalista, ma ritengo che i punti che meritino un efficace “labor limae” siano quattro: 1) la gravità del reato (vanno rivisti i delitti che giustifichino la custodia cautelare in carcere); 2) la persistenza o meno delle circostanze aggravanti o attenuanti (che possono attenuare o meno il ricorso alla custodia cautelare in carcere); 3) l’effettiva valutazione sulla capacità a delinquere della persona sottoposta a indagini; 4) il verificare se la persona sottoposta a indagini sia in grado di estinguere le obbligazioni di natura civilistica. Ritengo questi siano alcuni punti preliminari su cui si possa iniziare un serio dibattito in dottrina e in giurisprudenza.

Secondo lei l’uso eventualmente eccessivo della custodia cautelare in carcere può incidere sul sovraffollamento carcerario?

Guardi, io le ripeto quello che mi diceva il mio maestro e amico Giuliano Vassalli. Quando nei nostri lunghi colloqui parlammo proprio di questi aspetti, appresi un fatto nuovo: nelle nostre carceri non si distingue tra chi è in fase di esecuzione pena (condannato) e chi invece è in fase di applicazione di misura cautelare (presunto innocente). Vassalli sosteneva che queste due situazioni non fossero compatibili tra di loro. Io penso non solo che non siano compatibili ma che l’esecuzione in carcere dovrebbe essere diversa e diversificata.

Custodia cautelare o meno, le carceri italiane restano lo stesso un grave problema da risolvere, come si spiega questo baratro in cui il sistema carcerario è caduto in questi anni?

La risposta ancora una volta è nei numeri. Siamo lo Stato membro dell’Unione europea (a parità di popolazione) con più persone in carcere senza processo: 19.565 (Fonte Istat 2018 ultimo dato utile). A parte la vergogna di avere così tanti detenuti in attesa di giudizio, sarebbe anche il caso di domandarsi quanto costa avere in carcere quasi ventimila persone, parte delle quali usciranno o per decorrenza dei termini o perché innocenti. Quello dei costi della carcerazione preventiva è un tema che, forse per la sua inciviltà di fronte al tema dei diritti della persona, è poco affrontato.

Diamo un dato: l’Italia spende per loro oltre cinquecento milioni di euro l’anno, una cifra che può essere considerata come parte dei costi economici della lentezza della giustizia. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 29 febbraio 2020, in Italia i detenuti erano 61.230, a fronte di una capienza a norma delle carceri pari a 50.930 posti. Credo che basterebbe un uso meno automatico della carcerazione preventiva per cominciare a svuotare in parte le carceri e porre rimedio all’attuale sovraffollamento carcerario, a maggior ragione oggi in tempo di pandemia da Covid-19.

Su questi temi in Parlamento purtroppo non si discute più.

Esiste un istituto che si possa applicare nell’immediato per provare a risolvere questi problemi?

Ancora una volta una possibile risoluzione dei problemi la propose Giuliano Vassalli circa trent’anni fa e fu poi ripresa più volte negli anni successivi ma mai attuata: si tratta della cd. “lista d’attesa”. In sostanza, si dovrebbe stabilire con legge che qualora tu Stato non possa garantire uno spazio sufficiente in carcere per l’imputato in attesa di giudizio aspetti per rinchiuderlo fino a quando questo spazio non l’avrai. La norma si dovrebbe applicare ovviamente per i reati meno gravi in conformità a una serie di requisiti tassativi, ricordandoci che siamo sempre di fronte a non colpevoli sino alla condanna definitiva, come recita testualmente l’articolo 27 della Costituzione. Occorrerebbe naturalmente investire anche sulle strutture delle carceri e su una nuova e più adeguata edilizia penitenziaria adeguata ai tempi moderni.

Che cosa pensa dell’opportunità di concedere amnistia e indulto?

Sono contrario. Sono favorevole invece alla depenalizzazione di molti reati inutili, facendo in modo che si vada in galera di meno e solo quando c’è una reale pericolosità sociale. Sono stato sempre contrario alla custodia cautelare in carcere e favorevole alle pene alternative e domiciliari in tutti i casi ove sia possibile. Occorrono nuove carceri, più dignitose e rieducative. I cittadini tuttavia devono sapere che lo Stato punisce chi va punito. Tolleranza zero per mafie, terrorismo, corruzione ed evasione fiscale. Chiuderei con una bellissima frase di Charles-Louis de Secondat (a molti noto come Montesquieu) il quale affermava quanto segue: “Ogni pena che non derivi dall’assoluta necessità è tirannica”. Il requisito della “extrema ratio” dunque torna centrale nel dibattito tra gli studiosi.

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