Giovedì i 100 anni dalla scissione socialista da cui nacque il PCI

Luca Milani (Presidente del Consiglio comunale): “Proprio oggi la scomparsa del Senatore Emanuele Macaluso, l’unico che era ancora in vita della segreteria di Togliatti”

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 gennaio 2021 17:53
Giovedì i 100 anni dalla scissione socialista da cui nacque il PCI

“Oggi ci ha raggiunto la notizia della scomparsa del Senatore Emanuele Macaluso l’unico ancora in vita della segreteria di Palmiro Togliatti, e storico dirigente comunista. Un’altra memoria storica che ci lascia, uno dei tanti anziani che hanno, bene o male, contribuito a far diventare questo paese quello che è e verso i quali tutti noi dovremmo portare maggiore rispetto e considerazione; è grazie a loro se oggi viviamo in un Paese Democratico e Libero.

La storia del PCI – ricorda il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – è la storia del nostro Paese ed il dibattito pubblico che si è aperto in occasione di questo centenario è l’occasione per approfondire in maniera più obiettiva la storia d’Italia. Basta ripercorrere brevemente alcuni passaggi storici per rendersi perfettamente conto di quanto sia stato importante per determinare quello che siamo oggi.

Il 21 gennaio 1921 si tenne a Livorno il XVII Congresso del Partito Socialista: la frazione comunista guidata da Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci, che non riteneva più possibile continuare a rimanere nel vecchio partito, abbandonò i lavori e si riunì nel congresso fondativo del Partito Comunista d'Italia-sezione dell’Internazionale Comunista.Con le leggi speciali, “fasciste”, del 1926 tutti i partiti e i sindacati furono dichiarati illegali e anche il Pcd'I fu parzialmente decapitato, coi suoi dirigenti imprigionati o inviati al confino: lo stesso Gramsci restò in carcere dieci anni e morì subito dopo essere stato liberato, nel 1937.

Decisivo fu il contributo dei comunisti durante la Resistenza: le Brigate Garibaldi furono le principali formazioni combattenti (a cui si affiancarono i raggruppamenti organizzati da Giustizia e Libertà, dal PSI e dalla DC, e quelli senza uno specifico orientamento politico) e dei circa 45.000 partigiani morti oltre 30.000 erano comunisti.

Con il rientro in Italia nel 1944 di Palmiro Togliatti da Mosca, il PCI era il partito nuovo, solido, flessibile, determinato, moderno, fedele alla concezione leninista ma proiettato nel futuro e, soprattutto, concentrato nell’analisi della situazione italiana grazie al contributo teorico fondamentale, contenuto nelle pagine, densissime e uniche, scritte da Gramsci: quei Quaderni del carcere che restano una delle grandi opere del pensiero novecentesco.

Nel 1947, nel clima della Guerra fredda, le fortissime pressioni dell’amministrazione americana portarono Alcide De Gasperi a rompere l’unità nazionale e il PCI fu estromesso dal governo e confinato all'opposizione: nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948 si ebbe la conferma del nuovo corso politico, con la vittoria della DC sul Fronte Popolare formato da comunisti e socialisti.

La nuova Italia, dunque, nasceva dopo un lungo periodo di dittatura e una sanguinosa guerra civile, con una Costituzione avanzatissima, frutto della straordinaria lucidità e lungimiranza dei membri dell’Assemblea Costituente (presieduta dal comunista Umberto Terracini), ma la logica dei blocchi definita a Yalta condizionò per oltre cinquant’anni la vita politica italiana, appunto impedendo che al governo vi fosse il fisiologico avvicendamento tra forze conservatrici e progressiste, come avvenuto normalmente in altri paesi.

Fu in ogni caso una stagione di grandi trasformazioni e novità, con l’Italia investita dal miracolo economico, ma anche percorsa da importanti cambiamenti nel costume e nella vita civile. La forza e la credibilità del PCI – continua il presidente Luca Milani – non risiedevano solo nella straordinaria capacità di mobilitazione, che vedeva l’apice nelle Feste de l’Unità, nel continuo lavoro per creare consenso intorno alle lotte popolari ma, soprattutto, nell’essere davvero un organismo di massa che, pur tra mille contraddizioni, cercava senza sosta di migliorare se stesso e il mondo.

Non a caso i migliori intellettuali dell’epoca aderirono al PCI o gli furono vicini. Occorre però ricordare che nel ‘56 vi fu anche la drammatica rivolta degli ungheresi contro il regime filosovietico e che il PCI si schierò decisamente a fianco dell’URSS. L’allora direttore de l’Unità, Pietro Ingrao, molti anni dopo confesserà di non perdonarsi quella posizione, e anzi di considerare l’atteggiamento assunto dal PCI (che provocò l’uscita dal partito di molti militanti, soprattutto intellettuali) il più grave errore commesso dal partito nella sua lunga, e gloriosa storia.

La grande forza di questo partito - fatta di idealità comuni, organizzazione, energia, disciplina, spirito di sacrificio, concretezza - talvolta gli fu quasi d’impaccio nel cogliere al volo le trasformazioni della società. Come nel caso del divorzio; quando però la DC e il MSI, guidati da Fanfani e Almirante, tentarono di rimediare, lanciando con grande clamore il referendum abrogativo (1974), il PCI mise in campo tutte le proprie risorse, svolgendo un ruolo decisivo.

Una vicenda analoga si svolse a proposito dell’aborto, delicatissima questione che dal movimento femminista venne posta al centro di una battaglia più generale contro l’oppressione e l’oscurantismo: ma anche in questo caso la forza comunista fu essenziale al tentativo di cancellare la legge 194 per via referendaria (1978). Sul piano elettorale il PCI registrò una crescita continua; il PCI, era anche il più grande partito comunista dell’occidente: e proprio per impedire ad ogni costo che il PCI andasse al governo, i servizi segreti statunitensi e italiani ispirarono, o addirittura in taluni casi gestirono direttamente, la strategia della tensione: un oscuro e complesso disegno - basato sullo stragismo e le provocazioni - volto a creare un clima di permanente disordine politico e sociale, tale da giustificare una forte svolta autoritaria. Una stagione fitta di misteri, depistaggi, regie occulte, disinformazione, servizi segreti fuori da ogni controllo, presunti golpisti.

Nel 1973, Enrico Berlinguer, Segretario del partito dal 1972 al 1984, prospettò una svolta politica epocale che allontanasse i rischi di degenerazione del sistema democratico, e che doveva necessariamente fondarsi sull’incontro fra le grandi forze politiche di ispirazione comunista, socialista e cattolica: è la nota proposta di “compromesso storico” tra PCI, PSI e DC. Per quanto riguardava la realtà italiana il Segretario del PCI – prosegue il presidente Luca Milani – fu il primo a denunciare l’esistenza di una “questione morale” che esigeva una radicale trasformazione dei rapporti, troppo spesso all’ombra della corruzione, fra amministrazioni pubbliche, aziende, forze politiche.

Questi sensibili elementi di apertura e di rinnovamento crearono intorno ai comunisti un nuovo clima di consensi, e nelle elezioni amministrative del 15 giugno 1975 il PCI aumentò di oltre 6 punti, arrivando, col 33%, a un passo dal 35% della DC. Il sorpasso elettorale sarebbe però avvenuto solo alle elezioni europee del 1984, subito dopo la morte di Berlinguer, col PCI al 33,4% e la DC al 33%. Ma furono anche gli anni di piombo: alcune frange della sinistra extraparlamentare ritennero che la lotta politica così com'era stata finora condotta, anche nelle forme più dure, era del tutto inefficace e quindi l'unico modo di combattere il capitalismo era la lotta armata.

Un disegno che non poteva che avere come uno dei bersagli principali proprio il PCI, nemmeno più “revisionista” ma solamente “traditore”. Le principali vittime del terrorismo furono in verità uomini dello Stato, imprenditori, giornalisti, ma quando in una fabbrica di Genova il sindacalista comunista Guido Rossa denunciò apertamente alcune connivenze col terrorismo, le Brigate Rosse lo uccisero. Un periodo terribile culminato nel momento più difficile della storia repubblicana, il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro, 1978.

Un momento drammatico e decisivo fu la morte di Berlinguer, nel giugno del 1984: i suoi funerali furono la più grande manifestazione della storia italiana e videro l’immensa partecipazione non solo del popolo comunista ma anche di cittadini i quali vedevano scomparire uno dei pochi uomini politici che, per serietà e onestà, erano riusciti ad acquisire la fiducia della gente.

La svolta decisiva è stata impressa al PCI fra l'89 e il '91 da Achille Occhetto, il quale decise, anche in relazione al crollo dell'URSS e dei regimi satelliti, di accelerare la trasformazione del PCI: un dibattito senza precedenti, appassionato e drammatico, attraversò il partito coinvolgendo centinaia di migliaia di militanti, quelli per il sì, cioè favorevoli all'opzione apertamente socialdemocratica proposta da Occhetto, e quelli per il no, convinti della necessità di mantenere viva una forza comunista consapevole della propria storia.

Questo breve percorso storico – conclude il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – credo che ci aiuti a comprendere veramente e pienamente che la storia del PCI è dentro la storia d’Italia; non dobbiamo avere nostalgia e vivere questo centenario nel rammarico di ciò che è stato e non c’è più, commiserandoci perché si stava meglio quando si stava peggio. L’eredità del PCI è un eredità pesante perché ci ha lasciato una immensa raccolta di documenti, libri, immagini, testi e tesi, tutte testimonianze di valori e principi che forse vale la pene rileggere e rivivere oggi anche alla luce della pandemia che ci sta attraversando”.

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