David di Michelangelo: l'uso non autorizzato dell’immagine

L'intervento del Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini, a seguito delle recenti polemiche

Redazione Nove da Firenze
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12 marzo 2014 14:15
David di Michelangelo: l'uso non autorizzato dell’immagine

di Cristina Acidini Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze L’uso dell’immagine del David di Michelangelo da parte della società produttrice di armi Arma.Lite.Inc. (Illinois) sta suscitando, com’era da aspettarsi, un vivace dibattito, che ha visto intervenire anche l’On. Ministro Dario Franceschini per sollecitare il ritiro della pubblicità in cui la statua marmorea, indiscusso simbolo dell’arte rinascimentale italiana, imbraccia una potente arma da fuoco. Non è mancato chi è intervenuto a difendere quella pubblicità, apprezzando la creatività post futurista della manipolazione visiva, così come chi ha elencato casi precedenti di utilizzo dell’immagine del David come testimonial di questo o quel prodotto, adombrando un atteggiamento di tolleranza della Soprintendenza. Dunque è il caso di chiarire alcuni aspetti di questa tema. Da quando, grazie a Internet e a vari strumenti di diffusione digitale, le immagini delle opere d’arte circolano con estrema facilità e sono alla portata di un’utenza planetaria, si sta affermando (o cerca di affermarsi) il concetto di “pubblico dominio”, secondo cui un capolavoro celebre appartiene all’umanità e non all’istituzione che ne è responsabile: sarebbe di conseguenza riproducibile all’infinito, senza richiesta di permessi e senza pagamento di diritti. Non è così: non lo è almeno nella normativa italiana, che prevede procedure di autorizzazione e l’applicazione di un canone (o anche, per scopi culturali, l’esenzione).

Ricordiamo a proposito la controversia che ha avuto luogo alcuni anni fa con Wikipedia, sito dove attualmente circolano immagini di opere d’arte, scaricabili anche in alta definizione e che, in nome del pubblico dominio, dichiarava libere da diritti le immagini delle opere conservate nei musei statali. Tale “equivoco” è adesso parzialmente risolto in quanto viene segnalato, anche se ancora non in modo sistematico, di fare attenzione al fatto che alcune giurisdizioni potrebbero proibire o limitare l’uso delle immagini. A partire dalla Legge Ronchey (L.

n. 4/93) e le successive modifiche fino al più recente Codice dei Beni Culturali (D.lgs n. 42/2004), la normativa italiana prevede anche che l’utilizzo delle immagini sia autorizzato dopo una attenta valutazione della idoneità della proposta. Gli accostamenti con i prodotti devono essere rispettosi dell’integrità e dignità culturale delle opere, e quindi le immagini non devono essere manipolate e le suggestioni devono essere, per così dire, sostenibili entro una sfera di rispetto dei valori delle opere stesse. Ma può accadere che un soggetto commerciale decida di promuovere i propri prodotti accostandoli a immagini di opere d’arte di portata universale e per questo da tutti immediatamente riconoscibili, a giudizio suo o dello studio pubblicitario di riferimento.

Il messaggio promozionale da trasmettere è che la presunta perfezione del prodotto sia paragonabile a quella artistica dell’opera. Per quanto riguarda Firenze, la Nascita di Venere di Botticelli ed il David di Michelangelo sono i soggetti maggiormente utilizzati per questo scopo, a volte con manipolazioni e deformazioni, altre con l’introduzione di accessori estranei (appunto, i prodotti commerciali). A seconda dei casi, quando è interpellata, la Soprintendenza, concede o meno l’autorizzazione, o chiede modifiche.

Quando non è interpellata (e succede spesso), se viene a conoscenza di un uso non autorizzato, interviene col soggetto commerciale chiedendo la rimozione di immagini ritenute lesive, o la regolarizzazione a norma di legge se invece gli usi sono ritenuti consoni. Naturalmente nella società dell’immagine è pressoché impossibile che tutto ciò che compare possa venire a conoscenza dei nostri uffici, e perciò volentieri accogliamo segnalazioni. E torniamo all’immagine del David. Tra i tanti “interventi” effettuati negli anni più recenti, la si fece rimuovere dall’esterno dei bagni chimici mobili dei cantieri stradali (dov’era in compagnia della solita Venere e di altri capolavori).

Si raggiunse un accordo con il soggetto produttore dei prosciutti, che accolse l’invito di togliere dalla spalla della statua l’insaccato portato a mo’ di zaino e di escogitare un accostamento più sostenibile tra il prodotto e l’immagine. Si continua a dissuadere nei confronti degli utilizzi (non autorizzati) in cui al David vengono “fatti indossare” capi di abbigliamento, occhiali, copricapo, gioielli e quant’altro, non senza maliziosa enfasi sulle parti intime. Certo, per rimanere in tema, le armi a nostra disposizione sono spuntate, perché non sono previste sanzioni per chi contravviene: e tanto più fuori d’Italia, nel quadro di una complessa normativa internazionale.

Con l’auspicio che una modifica della legge preveda l’inserimento di sanzioni almeno in Italia, la nostra risorsa più efficace resta una moral suasion, che non di rado convince il diretto interessato a non insistere con un’iniziativa che, a fronte di un’attrattiva epidermica e effimera, svilisce il capolavoro originale che è patrimonio dell’umanità. È questa la strada che mi parrebbe di dover percorrere anche con l’azienda statunitense.

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