Politica italiana: tra vincoli continentali e fine della stagione bipolare

Perché i partiti simulano una contesa elettorale maggioritaria, nascondendo con ipocrisia all'elettorato di riferimento gli impegni assunti dal nostro paese in sede UE?

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
03 febbraio 2013 14:40
Politica italiana: tra vincoli continentali e fine della stagione bipolare

di Nicola Novelli La campagna elettorale per le Politiche 2013 sarà, probabilmente ricordata, come una stagione di ipocrisia, una stagione in cui l'opinione pubblica è stata tenuta volontariamente all'oscuro della reale posta in palio nella contesa politica. Uno stato di cose determinato da necessità imposte dal quadro economico internazionale e dall'assenza nella classe dirigente nazionale di coraggio politico sufficiente a accompagnare l'elettorato, con parole di verità, verso il necessario cambiamento del paese. Le contraddizioni della politica italiana Due contraddizioni saltano agli occhi dell'osservatore spassionato nell'attuale propaganda: 1) i messaggi politici prevalenti suonano come chiamate ideologiche agli elettori di riferimento, nonostante che gli schieramenti partitici molto difficilmente, stando ai sondaggi attuali, avranno possibilità di governare con le alleanze proposte al voto; 2) la legge elettorale attuale, di impostazione maggioritaria, non impedisce la presentazione di liste che con il loro numero annunciano una nuova stagione politica, strutturata con evidenza in forma proporzionale. Approfondiamo la prima contraddizione.

In apparenza i due grandi schieramenti che si contendono il favore dell'elettorato sono PD-Sel e PDL-FdI-Lega Nord. Entrambi non sono al momento accreditati di sicure possibilità di successo e non soltanto per la presenza di altre forze che ne limitano l'ascesa. Il problema principale sono le ambiguità di due alleanze tra forze solo parzialmente omogenee dal punto di vista programmatico. Partito di Berlusconi e forze satelliti detenevano la più cospicua maggioranza parlamentare della storia in alleanza con la Lega di Bossi.

Ma proprio le loro manifeste contraddizioni programmatiche hanno posto fine alla precedente legislatura. La ricomposizione strumentale di questa frattura risulta poco credibile nella prospettiva di governabilità che l'Unione Europea si attende in Italia. Giudizio non dissimile si può esprimere sull'alleanza del Partito Democratico con Sinistra e Libertà. Non passa giorno che si manifestano contraddizioni programmatiche tra le due forze alleate, prima di tutto circa il rilievo che i due partiti intendono dare alle raccomandazioni di politica economica indirizzate dalla Commissione Europea al nostro paese. Veniamo al secondo aspetto, quello elettorale.

Stando ai sondaggi attuali, sono scarse le probabilità che l'alleanza PD-Sel, tanto meno quella di Centrodestra, possano governare con i soli propri seggi parlamentari la prossima stagione politica. L'impossibilità di cambiare in corsa la legge elettorale ha imposto scelte ideologiche nella formazione degli schieramenti. Ma per la prima volta in 20 anni l'aggregazione di Centro, guidata da Mario Monti, ha la possibilità di risultare determinante nella formazione di una stabile maggioranza parlamentare.

Ciò avviene anche in concorso con il sorgere di proposte elettorali nuove ed esterne agli schieramenti, ci riferiamo alla Lista Cinque Stelle, a Rivoluzione Civile e Fare Fermare il Declino, che sembrano poter raccogliere tra il 10 e il 20% dei consensi elettorali. Con il risultato di limitare a non più del 70% dei voti il consenso dei due schieramenti egemoni nella Seconda Repubblica. Se il centro montiano dovesse conquistare più del 10% dei seggi parlamentari, con rappresentanze, anche minime per le menzionate forze esterne agli schieramenti, è impossibile nei numeri che uno dei due schieramenti da solo possa governare.

E se il centro ritorna determinante nella formazione della prossima maggioranza parlamentare è assai probabile che possa conservare questa privilegiata posizione anche nella successiva legislatura, decretando così la fine della ventennale stagione maggioritaria della politica italiana. Proiettiamoci allora in congetture politiche. Se lo schieramento guidato dal PD non avesse numeri sufficienti e dovesse scendere a patti con Mario Monti è plausibile un accordo programmatico che tenga Nicki Vendola in maggioranza? E se l'appoggio di Sel dovesse venire meno, quale altra forza parlamentare diventerebbe indispensabile per formare una maggioranza di governo autosufficiente? Il rischio è che, dopo una feroce contesa elettorale, all'opinione pubblica venga riproposto uno scenario parlamentare emergenziale non dissimile da quello governato sinora proprio dal “tecnico” Mario Monti.

Uno scenario che -certo- non avrebbe lunga vita e che, dopo il congresso del Partito Democratico, da tenersi tra l'autunno 2013 e l'inverno successivo, sfocerebbe inevitabilmente in nuove elezioni politiche, da indire magari in concomitanza con le consultazioni europee del 2014. Con il senno di poi, l'esito decisivo della movimentata stagione delle primarie del Centrosinistra, potrebbe venire riletto con qualche rincrescimento anche da versanti inattesi. Il vincolo economico e le richieste della UE all'Italia La crisi economica che imperversa in Europa da quasi cinque anni torna a imporre un vincolo esogeno all'Italia simile a quello che condizionò lo scenario politico nazionale sino al 1989.

Per 40 anni la contrapposizione tra superpotenze impedì al nostro paese l'alternanza democratica tra schieramenti. Oggi è l'adesione ai trattati dell'Unione Europea che pare imporre un vincolo esterno superiore alla governabilità italiana. Difficilmente il governo nazionale potrà essere conquistato da una forza politica che non condivida integralmente i principi incarnati dai più recenti trattati europei. Pena l'uscita del paese dal consesso comunitario. L'Europa non sembra ancora aver completato il cammino di uscita dalla fase di crisi economica epocale che la attanaglia.

Eppure in questi anni l'Unione ha fatto molti passi avanti, varando strumenti vincolanti di governo condiviso. Il dibattito continentale sembra ridursi alla dicotomia rigidità tedesca/lassismo mediterraneo, dimenticando le scelte decisive prese anche grazie all'intelligenza del presidente italiano della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Nel giugno del 2012 è stata elaborata una visione del futuro d'Europa, basata su alcuni pilastri che tendono all'integrazione economica e fiscale dei paesi aderenti.

Alcuni elementi di rafforzamento della governance UE specie sui paesi dell'area Euro sono già in atto, in realtà, dal dicembre 2011. I 6 regolamenti/direttiva validi per tutti i paesi dell'Unione li vincolano all'osservanza del Patto di stabilità sia dal punto di vista correttivo, che preventivo, attraverso la revisione delle procedure sanzionatorie anti-deficit e la valutazione degli indicatori di squilibri strutturali delle singole economie. Al Six-pack si affiancherà il Trattato di Stabilità che introduce l'impegno costituzionale al pareggio di bilancio per tutti i paesi aderenti e il coordinamento anticipato delle politiche fiscali e macroeconomiche, con l'obbligo per i paesi membri di sottoporre all'approvazione della Commissione Europea i programmi di convergenza delle politiche economiche, persino prima della loro approvazione da parte dei parlamenti nazionali. E' grazie a questi vincoli che i paesi mediterranei hanno ottenuto dall'Unione l'impegno ad assistere gli stati in difficoltà finanziaria, o sotto pressione dei mercati.

Grazie allo European Financial Stability Facility e al European Stability Mechanism, il continente potrà contare su un supporto comunitario della forza di quasi 1.500 miliardi di euro in ogni evenienza di crisi finanziaria nazionale. Naturalmente la concessione dei prestiti è condizionata al rispetto del Fiscal Compact. Come dire: aiuto solidale in cambio di finanze pubbliche virtuose. Ma in Italia quali forze politiche possono garantire con coerenza questo impegno all'Unione? Silvio Berlusconi, pur di non tradire le promesse elettorali lassiste ha preferito soccombere alle contraddizioni dall'alleanza con la Lega Nord.

Al di là della crisi di credibilità elettorale che lo attanaglia, non è possibile immaginare come potrebbe rappresentare per la Commissione Europea un interlocutore autorevole. Stesso discorso per Nicki Vendola e i suoi proclami anti-UE. E' compatibile questo atteggiamento con l'alleanza con il PD, al di là della retorica ideologica del responsabile economico Stefano Fassina, ormai voce marginale nella propaganda elettorale? Emendato il PD dalla chiamata identitaria, tipica della stagione elettorale, non sembrano restare alternative ad una alleanza di governo con Scelta Civica montiana.

Allora perché le due liste continuano quotidianamente a contrapporsi? Perchè i leader del PD non hanno coraggio di raccontare al proprio elettorale il vero cammino di cambiamento che il paese è chiamato a intraprendere dai vincoli comunitari? La segreteria del partito, in occasione delle primarie, si è permessa il lusso di dissipare la spinta di rinnovamento incarnata dalle proposte del sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Alla luce degli scenari post-elettorali questa rinuncia potrebbe suonare come un clamoroso spreco di energie umane, pregiudicando ed accorciando l'orizzonte temporale della legislatura. L'ipocrisia della retorica elettorale fa chiamare “Agenda Monti” un elenco di impegni che in realtà la Commissione Europea ci chiede di adempiere almeno dall'estate del 2011, quando il gran rifiuto berlusconiano provocò la successiva caduta del suo governo.

Gli stessi impegni si ritrovano ammantati di connotazioni più solidariste anche nel programma del PD e, con accentazione sui diritti civili, in quello presentato da Matteo Renzi per le primarie del Centrosinistra. La Commissione Europea è da tempo esplicita. I disequilibri caratteristici della società italiana sono: 1) l'assenza di crescita di produttività del lavoro; 2) il basso tasso di occupazione femminile (specie nelle giovani famiglie con figli) e giovanile (a causa di una complicata transizione tra istruzione e lavoro); 3) l'elevato tasso di abbandono scolastico e la scarsa attenzione alla formazione e all'aggiornamento lavorativo; 4) la struttura del sistema fiscale sbilanciata sulle imposte sul lavoro.

Con una peculiarità tutta nazionale: il sistema industriale italiano ha continuanto a perseguire un mix produttivo in disperata concorrenza con i paesi in via di sviluppo, nonostante il declino della produttività a causa dei costi relativamente elevati, l'eccessiva regomentazione dei mercati, la diffusa corruzione della burocrazia pubblica, l'inefficienza della giustizia civile. Non ci sono alternative, senza una nuova classe dirigente in grado di convincere il proprio elettorato ad accettare e attuare riforme in cambio di sviluppo, la crisi politica italiana è lontana dall'essere risolta.

E la sfida non consiste solo nell'introdurre riforme di sistema nel programma di governo, ma nella capacità di realizzarle davvero in armonia tra parlamento e società civile. Le resistenze conservatrici trasversali all'arco parlamentare e alle classi sociali non dovrebbero avere il sopravvento sugli impegni comunitari già assunti dal nostro paese. Pena l'uscita dell'Italia dal consesso continentale e la perdita di quelle tutele economiche a garanzia delle future crisi di finanza pubblica a cui qualunque governo nazionale non saprebbe come rinunciare.

Sarebbe bello vedere finalmente una classe dirigente giovane e moderna raccontare all'opinione pubblica queste ineluttabili verità, possibilmente prima e non dopo gli appelli al voto.

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