Scarsa piovosità: una riflessione dei Geologi sulla gestione delle acque

Maria Teresa Fagioli, presidente dell'Ordine: «Facile tirare in ballo i cambiamenti climatici Quello di cui ci si dimentica però è la cialtroneria ovvero sperpero dell’acqua, di cui le perdite acquedottistiche sono la voce scandalosamente prevalente»

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 aprile 2012 18:42
Scarsa piovosità: una riflessione dei Geologi sulla gestione delle acque

«Corretta e consapevole programmazione della gestione della risorsa idrica superficiale e sotterranea». Per Maria Teresa Fagioli, presidente dell'Ordine dei Geologi della Toscana non ci sono dubbi. Oggi ha poco senso parlare di siccità o di cambiamenti climatici. Quello che occorre è saper gestire e conoscere l'acqua che abbiamo a disposizione. «Si parla poco di acque sotterranee perché invisibili – continua la presidente Fagioli -perché è più difficile comprenderne il comportamento.

Ma non bisogna dimenticare che la maggior parte dell’acqua distribuita dagli acquedotti è acqua sotterranea. Per non parlare poi degli usi irrigui, domestici e industriali che l’acqua la prendono quasi esclusivamente dal sottosuolo». Più facile è invece ripetere tormentoni come “emergenza idrica”, parlare di razionamento dell’acqua, tirare in ballo l’imponderabile, i cambiamenti climatici. «Quello di cui ci si dimentica però è la cialtroneria ovvero sperpero dell’acqua, di cui le perdite acquedottistiche sono la voce scandalosamente prevalente».

C'è, dunque, da ripensare ad una strategia per l'acqua, «quella superficiale, relativamente semplice da vedere, e quella sotterranea per la quale ci vuole più impegno, impegno ripagato dalla migliore qualità e minore vulnerabilità». Per Maria Teresa Fagioli «se l’acqua è importante davvero allora si devono trovare soldi per gli studi che evitino di mettere industria, agricoltura e cittadini a secco. E non c’è bisogno di esser geologi o ingegneri idraulici per capire che non si può gestire, progettare o programmare senza dati, o con dati scarsi e non attendibili».

Soluzioni particolari non ce ne sono, quello che occorre è «un piano coordinato, con priorità dettate dal reale potenziale della risorsa e dal minimo costo logistico. Non dalla logica del mega progetto, le cui pretese economie di scala finiscono sempre per non compensare gli sprechi dell’opera faraonica». La vera ricetta è di «monitorare e gestire con l’attenzione che merita la risorsa acqua. Chi dice che non ci sono soldi per gli studi sulla risorsa idrica dimostra solo la propria ignoranza, se non peggio, visto che sulle emergenze c’è sempre un manipolo di furbi pronti a lucrare».

Quello che non va, invece, è quanto fatto dalla Regione, che al tavolo tecnico istituto lo scorso febbraio per varare una serie di iniziative per ottimizzare l’uso delle risorse disponibili e monitorare l’evoluzione della situazione. «Sono stati chiamati tutti i controllori (Regione, Province, Ato, Arpat, Autorità di bacino) e i controllati (gestori del ciclo delle acque) ma non i rappresentanti di organismi competenti ed indipendenti, quali mondo delle professioni ed istituzioni accademiche». La gestione dell'acqua si inserisce poi nel contesto più generale di gestione del territorio.

Nel bacino dell’Arno sono state censite ad oggi circa 27mila frane tra attive, quiescenti e non attive. Di queste meno del 10% incide su insediamenti o infrastrutture. Per queste si parla di dissesto; il resto è naturale evoluzione del rilievo. Il dissesto, in atto o probabile, esiste quindi solo come potenzialità del fenomeno di recare danno ai beni e alle cose. Insomma, la tutela del patrimonio idrico non può non andare di pari passo con la gestione del rischio idrogeologico e la tutela del paesaggio.

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