Alle Oblate la parola al teatro di narrazione

L’incontro coincide con la programmazione dello spettacolo Tracce presso il Teatro Everest (dal 26 al 27 marzo). Oltre all’autore Marco Baliani, saranno presenti all’incontro Anna Di Maggio e Laura Croce.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
25 marzo 2010 19:29
Alle Oblate la parola al teatro di narrazione

Venerdì 26 marzo ore 17:30 Cooperativa Archeologia propone per Ipertesti l’incontro col pubblico di presentazione del libro “Ho cavalcato in groppa ad una sedia” (Titivillus 2009): 20 anni di riflessioni e pensieri sull'arte del racconto di Marco Baliani, inventore del teatro di narrazione. L’incontro coincide con la programmazione dello spettacolo Tracce presso il Teatro Everest (dal 26 al 27 marzo). Oltre all’autore, saranno presenti all’incontro Anna Di Maggio e Laura Croce. Baliani nel 1989 con “Kohlhaas” ha inventato il teatro di narrazione - seguendo la strada aperta da Dario Fo con il Mistero buffo (1969) - di cui è tutt'oggi uno dei massimi esponenti insieme a Marco Paolini ed Ascanio Celestini.

Il teatro di narrazione prevede che alcuni attori-autori si presentino sulla scena senza lo schermo del personaggio, ma anzi con la propria identità non sostituita per raccontare storie, senza rappresentarle. In “Ho cavalcato in groppa ad una sedia” Marco Baliani traccia un bilancio dell'esperienza teatrale con la quale egli ha posto le basi di questo modo di fare teatro. Un bilancio e, allo stesso tempo, una riflessione sugli sviluppi del percorso artistico di una delle più interessanti voci del teatro italiano.

“Contro una società che brucia le esperienze in un vortice di banalità, che uniforma il sentire secondo canoni pubblicitari, che appiattisce la percezione del mondo secondo schemi opachi, che costringe l’immaginazione a misurarsi col solo manifestarsi della realtà, contro tutto questo salgo su una sedia e mostro l’invisibile. O tento di farlo. Che almeno per la durata di quelle parole, perse in un soffio nel momento stesso in cui vengono dette, ci sia la possibilità di scartare ed entrare in un altro tempo.

La battaglia continua e devo poter sempre immaginare che l’esito dello scontro possa essere incerto, che la macchina trituratrice si possa incrinare, un giorno, per il suono di una parola”, sostiene Baliani. “Il motivo per cui ho cominciato, più di venti anni fa, a trasformare l'atto teatrale in una narrazione era la ricerca di un linguaggio che mi permettesse di descrivere il mondo in una forma complessa, che uscisse dai consueti canoni teatrali della rappresentazione ma più ancora che rimettesse in gioco il modo di percepire la scena da parte dello spettatore” – sostiene Baliani.

“Quando racconto costringo a spostare la percezione dall'occhio all'orecchio, a privilegiare l'ascolto sulla visibilità. In una società ove tutto è visibile, spiabile, registrabile visivamente, la narrazione ricrea il mistero di un invisibile che si manifesta. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a indagare in quali e quante forme potesse avvenire l'atto del narrare. Ciò che all'inizio era un mio percorso individuale estremo, la ricerca di una forma per catturare la contemporaneità del nostro mondo, si è andato via via nel tempo trasformando in un modo di pensare la scena in forma collettiva, di condividerla con altri attori, di creare spettacoli corali, ove la narrazione intervenisse nella forma drammaturgica".

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