"Cabane de Projections" di Hugues Decointet al Teatro di santa Caterina di Prato dall'8 giugno al 2 luglio

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
08 giugno 2001 14:03

La mostra è allestita in un teatro. Gli oggetti come le immagini, non sono mai là dove ci si aspetta. Così la mostra si articola attorno ad una piccola opera, un piccolo decoro trasparente, costruito al centro della sala, che separa come un "filtro" lo spazio degli spettatori (piano inclinato) e la scena.
Le pareti sono fatte di pellicola trasparente con toni arancio (con le gelatine che si usano per le luci teatrali e cinematografiche) Dietro alla capanna, lo spazio abituale degli spettatori rimane oscuro: si scorgono fotografie di personaggi (una specie di casting), di schizzi di ambientazioni scenografiche ed un video di un "avvistamento"di paesaggio.

Davanti alla "cabane cabine", una specie di messa in scena di immagini: una luce azzurrata, la proiezione di immagini di una mano che dipinge un affresco su uno schermo di tela... o altre immagini di un "paesaggio dipinto" una finestra luminosa.
Così come il fermo - immagine, il rallenty, la dissolvenza, perturbano la nostra percezione abituale delle immagini e ci interrogano sulla loro origine, la loro natura, il loro destino. Se molti artisti utilizzano un frammento isolato proveniente dai mass media per trascriverlo in pittura (da Robert Longo a Sarah Morris), altri utilizzano la fotografia per ritagliare dei dettagli di pittura che arrivano ad essere cinematografici.

E’ il caso di Hugues Decointet, che mantiene un rapporto particolare fra il cinema e la pittura attraverso procedure grafiche ibride. La sua opera plastica nasce da un rapporto di dettagli non molto diverso da una ricerca di tessitura, di costruzione basata sul lavoro a maglia.
In Bleu (Pasolini peut-être),2000, 2min Hugues Decointet prende un dettaglio di una scena del Decamerone di Pasolini (1971) che mostra una mano che dipinge una tela con un pennello. Il fermo immagine rompe la sequenza classica di 24 immagini al secondo.

L’illusione del movimento è restituita dalla sovrapposizione di tre diapositive leggermente decentrate e proiettate a dissolvenza incrociata. Questo lavoro di spiazzamento, di prelievo e ricostruzione, apre delle nuove relazioni fra lo spettatore e l’opera, non solo come delega di autorità, ma come economia collettiva. E questa è la trasformazione radicale: l’artista diviene compositore, riorganizza, ricicla. La nozione di opera diventa quella di svolgimento e l’autore diventa interprete.

E’ il passaggio da una cultura differita a un arte del tempo reale.

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